Michele Nardelli, 18 novembre 2009
L’Unione per il Trentino, il soggetto politico nato intorno a Lorenzo Dellai e all’idea che il PD non possa rappresentare l’insieme del centro sinistra, ha tenuto il suo primo congresso.
Credo si debba riconoscere con onestà che l’aver dato vita a questo soggetto politico si sia rivelata una scelta giusta, che ha permesso alla coalizione del centrosinistra autonomista di vincere le elezioni del novembre scorso e di mantenere una positiva asimmetria del quadro politico locale rispetto a quello nazionale, in grado di intercettare una parte di voto che, anche in Trentino, alle elezioni politiche oscilla verso i partiti del centro destra.
La fatica di innovare
A tale asimmetria Lorenzo Dellai ha provato a far corrispondere anche un profilo politico con una forte impronta territoriale, e pur tuttavia nella base sociale ed elettorale dell’UpT tale impronta è intesa prevalentemente come tutela del “partito degli amministratori” piuttosto che esprimere un’innovazione culturale capace di sintonizzarsi sugli elementi di qualità e di unicità del territorio. Un’impronta che non a caso fatica a costruire una nuova classe dirigente ed un disegno politico innovativo per il Trentino. Tanto che di fronte alla necessità di cambiare rispetto ad alcune scelte sbagliate del passato (penso all’agricoltura intensiva e ad una zootecnia dove prevaleva la quantità alla qualità, penso al turismo concentrato sui grandi numeri – e impianti – di una sola stagionalità, penso ad un’industria senza qualità priva di qualsiasi riferimento alle filiere produttive a vocazione locale…) si preferisce tamponare piuttosto che innovare.
Appare esemplare a questo riguardo la vicenda del salvataggio delle Funivie Folgarida Marilleva dopo il crac finanziario dovuto alle spericolate iniziative di Bertoli e soci, dove lo stesso Dellai nulla ha potuto di fronte ad un alleanza di potere che tendeva a salvaguardare i propri interessi. Lo stesso si potrebbe dire per l’operazione “salva cantine” o per quella relativa al Caseificio di Fiavé, altrettanti esempi che testimoniano l’urgenza di “cambiare passo”, tanto sul piano del pensiero che della classe dirigente.
Cambiare lo schema di gioco
Contestualmente ho guardato con attenzione ai contatti per far sì che il modello politico trentino potesse far scuola sul piano nazionale. Problema reale ma che, anche in questo caso, richiede più uno scarto di visione che capacità di manovra. Nell’intervista a “L’Espresso” di qualche mese fa nella quale lanciava il suo progetto politico territoriale, Lorenzo Dellai poneva il problema, testualmente, di “cambiare lo schema di gioco”. Ho inteso questa espressione con la volontà di farla finita con il bipolarismo ed introdurre idee e contenuti in grado di sparigliare, scompaginando appartenenze e mettendo in campo energie oggi largamente estranee alla politica. Far emergere nelle realtà territoriali di questo paese le espressioni vive della società, dando così risposte originali tanto alla “questione del nord” quanto al bisogno di un “nuovo meridionalismo” per sostenere il riscatto della gente perbene contro il blocco di potere trasversale (e inquinato) che occupa il Mezzogiorno. Fare, in buona sostanza, quel che da tempo va suggerendo Giuseppe De Rita: il ritorno alla terra come paradigma per abitare la globalizzazione senza subirne gli effetti di omologazione e di spaesamento. Un disegno, quello territoriale, che (e in questo Dellai ha probabilmente ragione) con difficoltà il PD è in grado di rappresentare in quanto partito nazionale che fatica a far sua quella cultura federalista che a Roma proprio non riesce ad attecchire. Un disegno che, certo, avrebbe avuto ed ha bisogno di tempi più distesi, diversi da quelli che il vecchio schema di gioco tende ad imporre.
Qualcosa che non riesco a riconoscere nell’“Alleanza per l’Italia” presentata in questi giorni. Cosa centra Rutelli con l’impronta territoriale? Che bisogno aveva Dellai di questa accelerazione, comprensibile solo proprio nell’imporsi del vecchio schema di gioco? Un’operazione che viene vista come interna al Palazzo, tanto è vero che chi vi aderisce sono pezzi di una nomenclatura marginalizzata (e rancorosa).
Un tempo disteso
Il fattore tempo è, in effetti, decisivo. Lo è per Rutelli che in previsione di una (possibile?) rottura dell’attuale compagine di governo prova a candidarsi come perno di una nuova alleanza. E questo comporta l’accelerazione imposta in questi giorni. Ma è decisivo anche per un progetto di cui io stesso avverto la necessità, capace di intercettare le istanze migliori della società italiana e che oggi faticano a riconoscersi nell’attuale rappresentazione politica, pur rinnovando (ma fino a quando?) la propria speranza di cambiamento attraverso la partecipazione – malgrado tutto – alle primarie del Partito democratico. E questo comporterebbe – all’incontrario – un tempo disteso, una capacità di ricognizione e di riconoscimento dei territori e delle loro qualità, un lavoro di sintesi politica originale all’insegna della sostenibilità come atto d’amore verso la terra. Penso alle università, penso ai luoghi della ricerca, dell’innovazione e del lavoro. Ma anche ad una dimensione europea, che richiede anch’essa il tempo giusto per “scollinare” il Novecento e le sue culture politiche…
Se vogliamo davvero cambiare lo schema di gioco, uscire dalla contrapposizione politica senza idee imposta dal “fattore Berlusconi”, dobbiamo ripensare la nostra agenda di lavoro. In primo luogo facendo sul serio del Trentino un laboratorio, questa volta non di nuove aggregazioni politiche, ma di idee nel saper affrontare, così come abbiamo iniziato a fare con la finanziaria 2009, la crisi globale e i nodi di prospettiva che investono un’economia schiacciata dalla sua dimensione finanziaria, la scuola dell’autonomia e la necessità inderogabile di un sistema di formazione permanente, un diverso approccio ambientale nel rapporto con l’uso responsabile delle risorse. Ed insieme quelli della partecipazione, della coesione sociale, delle identità locali nella cornice delle grandi trasformazioni che segnano il tempo in cui viviamo. Pensandoci come parte di un’Europa delle regioni piuttosto che aggregazione di Stati che non intendono cedere sovranità, né verso l’alto, né verso il basso. Declinando l’autonomia non come privilegio ma come opportunità di autogoverno responsabile di ogni territorio. E, infine, dando vita ad una stagione di sussidiarietà politica regionale, affinché la politica trovi sul territorio le energie e le idee per un nuovo patto nazionale ed europeo.
Così il Trentino avrà gli occhi addosso non solo per la sua anomalia politica, per l’uso dinamico della sua autonomia o per le eccellenze che abbiamo saputo costruire, ma anche per le strade innovative che avremo saputo intraprendere.
Michele Nardelli
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