Ho iniziato a fare politica attiva nel Partito Democratico del Trentino. Era l’8 giugno del 2008. Quella nuova esperienza collettiva nasceva spinta dal vento dell’entusiasmo: più di dodicimila cittadini andarono a scegliere il primo segretario, centinaia di militanti si impegnarono nei seggi e in una straordinaria campagna che coinvolse ogni angolo del Trentino.
Elisabetta Bozzarelli, "Trentino", 8 maggio 2016
Vinse Alberto Pacher e io, poco più che ventenne, mi presentai in una delle liste che ne sostenne la candidatura. Nel Partito Democratico del Trentino avevo trovato la casa nella quale esprimere il mio desiderio politico, memore dell’insegnamento di Duccia Calderari, indimenticabile maestra, che fin da adolescente aveva spinto me e molti della mia generazione a “coltivare i grandi ideali”: lei, che aveva vissuto le peggiori tragedie del Novecento, sapeva che la politica, intesa come aspirazione collettiva, come confronto di idee, come volontà di trasformazione sociale, era l’unico antidoto al loro ripetersi.
Il Trentino nel quale quel PD nasceva - e che quel PD si proponeva di guidare attraverso l’azione di governo - era una sorta di anomalia nel panorama italiano: Silvio Berlusconi era tornato a Palazzo Chigi e in tutto il Nord il centrodestra a trazione leghista conquistava consensi crescenti. Qui nel nostro Trentino, anche grazie alle novità che in quella stagione il Partito Democratico riuscì a portare nel paesaggio politico, riuscimmo a proseguire in un esperimento in totale controtendenza rispetto all’onda conservatrice che aveva lambito ogni angolo d’Italia: come fondamento, un’idea di Trentino aperto al mondo, che investe con coraggio in ricerca e innovazione, che riconosce nell’istruzione e nella formazione il principale fattore di sviluppo, che mette in campo politiche sociali generative, che ha nel territorio il suo primo valore.
Con tutti i limiti e le difficoltà di realizzazione, quella capacità di guardare al domani ha permesso al Trentino di tener saldo il suo capitale sociale territoriale, fatto di coesione, fiducia, spirito cooperativo, solidarietà. In quella stagione si misero in campo forze ed energie nuove: cittadine e cittadini che non avevano alle spalle alcuna esperienza politica si unirono ad altri che rinnovarono, in un “luogo politico” nuovo, un’esperienza maturata dentro le tradizioni politiche del riformismo e del popolarismo trentino.
Fu quel rinnovamento, sano e maturo, che permise di dare linfa nuova al centrosinistra autonomista e di portarlo a vincere, nell’autunno successivo, le elezioni provinciali, in un clima non certo facile: il PD del Trentino superò il venti per cento e si propose come baricentro della coalizione, in un rapporto proficuo con tutti gli alleati. Oggi, a otto anni da quel momento fondativo, fatichiamo a trovare quell’entusiasmo originario, quasi non fossimo stati in grado di capitalizzare quel grande patrimonio che in parte avevamo costruito e in parte ci era stato dato in dote. Forse convinti che il consenso fosse una risorsa eterna e immutabile, e che al massimo il compito del Partito fosse quello di gestirlo, abbiamo cominciato a perdere il contatto con quel “popolo del PD” che aveva innescato un processo tutt’altro che scontato: non tanto e non solo in termini di consenso elettorale, ma soprattutto nella capacità di costruire una connessione reale con le comunità, in ogni territorio e a ogni livello della vita sociale, dal singolo cittadino alla società civile organizzata nelle mille forme che rendono vivo il nostro tessuto comunitario.
In questi anni, nel PD si è riflettuto troppo sui cavilli che garantissero il consenso interno, e si è investito troppo poco nella formazione di una classe dirigente che fosse in grado di rinnovarsi e di aggiornarsi, per dare risposte alla complessità di un presente che non può più aspettare. Come se ne esce, ora? Non certo con la somma algebrica di quelle correnti che hanno paralizzato l’azione del Partito, perché è un gioco a somma zero: per l’ennesima volta, è un’operazione che parla all’interno del PD, forse rassicurante, ma senza alcuna capacità di imprimere la svolta urgente e necessaria di cui ha bisogno non solo il Partito, ma un intero sistema politico che pare aver smarrito la capacità di guardare al domani, parlare alle generazioni più giovani e dare loro una credibile proposta di impegno, di fare del Trentino un luogo in cui vivere bene, uniti, felici. Le recenti elezioni austriache ci insegnano che, di fronte ai flussi inarrestabili di un mondo globale e interdipendente, non è con i vecchi strumenti della politica che fronteggi la crisi: serve una nuova “cassetta degli attrezzi”, che va costruita assieme alle mille intelligenze diffuse nella società e insieme a queste va usata per capire la realtà e per provare a cambiare in meglio la vita di tutte e tutti.