Il fronte per arginare la liberalizzazione degli orari dei negozi e l’apertura delle domeniche, si allarga. Dopo la presa di posizione del presidente del Sait, Renato Dalpalù che auspica un’autoregolamentazione per la chiusura o l’apertura a rotazione della grande distribuzione e dopo la richiesta precisa delle sigle del commercio (Filcams-Cgil, Cisl Asgb) che si sono riunite venerdì a Bolzano, di abrogare il decreto Monti sulla liberalizzazione dell’apertura dei negozi, la parola passa alla politica.
S. Mattei, "Trentino", 1 maggio 2016
La politica deve farsi carico di questa battaglia, nella quale sono i lavoratori a rimetterci in qualità della vita e in diritti, visto che le nuove assunzioni tendono ad imporre il lavoro domenicale, talvolta non pagato adeguatamente. All’assessore al lavoro e commercio della Provincia Alessandro Olivi, abbiamo chiesto se ci sono passi in avanti in questa direzione.
Assessore Olivi, che strada intendete percorrere per arrivare ad un accordo che regoli le aperture domenicali della grande distribuzione? Le strade percorribili sono due. La prima è quella di un accordo su base territoriale, visto che ora c’è la richiesta anche da parte dei sindacati altoatesini di porre un freno alla liberalizzazione. Ai responsabili della grande distribuzione regionale va chiesto un ripensamento. Si tratta di dare un segnale di responsabilità e di maturità del nostro territorio, per affermare una qualità della vita che la liberalizzazione del decreto Monti ha minato.
Gli esiti del decreto “Salva Italia” sono solo negativi? Direi di sì. Se l’obiettivo di Monti, quando ha varato il decreto nel 2011, era quello di incrementare i consumi, questo è fallito. Il risultato è stato peggiorare le condizioni di lavoro, la precarietà dei lavoratori obbligati a turni penalizzanti ed all’obbligo di lavorare la domenica, senza adeguati aumenti. Da tempo infatti non si riesce ad arrivare al contratto integrativo della categoria. In più, la vera mossa subdola è stata ispirarsi alle direttive comunitarie in materia di concorrenza, espropriando così le Regioni della competenza in materia di commercio.
Come si può allora imporre un modello regionale che rifiuta questa logica della concorrenza a tutti i costi, che penalizza di fatto la piccola impresa ed i lavoratori? Prendendo spunto dalla proposta di Dalpalù che si era detto disponibile a ripensare alle aperture domenicali, ho in programma di riunire imprenditori e sindacati. Farò a breve una comunicazione e spero che si faccia l’incontro entro metà maggio, nella speranza che si riesca ad affermare un modello alternativo, che investe la qualità della vita e l’autonomia dei territori. Un sistema così omologato verso il basso l’abbiamo solo noi in Europa ed nei tanto decantati Paesi nordici, non ci sono certo orari così liberalizzati. Anzi, a Monaco la domenica i negozi sono chiusi, come in gran parte dell’Austria e della Francia.
Nel precedente incontro nel 2013 ci sono state resistenze e non se ne è fatto niente. Sono cambiate le condizioni? Allora si era arrivati ad un percorso con categorie e sindacati, con l’accordo di Confesercenti, Unione commercio e cooperazione, ma alla fine si tirò indietro Poli ed è saltato tutto. Purtroppo si è creata un’emulazione progressiva, per cui se una catena apre, tutti si adeguano perché pensano che altrimenti perderanno i clienti. Ma non è così, è dimostrato che se chiudi qualche domenica, la gente se ne sta tranquilla.
L’altra strada, qual è, se non avrà successo il patto tra i commercianti? Penso che la soluzione sia a livello legislativo. La commissione dei dodici si riunirà il 13 maggio ed ha già all’ordine del giorno il ripristino dell’autonomia in materia del commercio delle Provincie. Chiedo con forza che la commissione approvi il testo senza paura. Il problema sarà poi che passi al vaglio del governo, perché si tratta di aggirare quanto surrettiziamente ha introdotto il decreto Salva Italia, appellandosi alla normativa comunitaria della tutela della libera concorrenza. Monti così ha espropriato sia le Regioni della loro competenza ed ha impedito che ogni territorio stabilisse un proprio modello. L’unica strada che vedo è che lo Stato dica: garantiamo i principi della concorrenza, ma in materia di orari rimanga la competenza regionale. O passa la norma o Trento e Bolzano devono fare una battaglia e proporre una legge per un modello diversificato in materia di orari.