Domenica prossima, 17 aprile, si apriranno le urne anche in Trentino - dalle 7 alle 23 - per lo svolgimento del referendum abrogativo sulla durata delle trivellazioni in mare, che nello specifico prevede la cancellazione - mediante un unico quesito - dell'articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006 numero 152 (Norme in materia ambientale).
"L'Adige", 14 aprile 2016
Il comma 17 stabilisce che sono vietate le nuove «attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» entro le 12 miglia marine delle acque nazionali italiane, ma stabilisce anche che gli impianti che esistono già entro questa fascia possono continuare la loro attività fino alla data di scadenza della concessione. Il referendum, quindi, non riguarda nuove trivellazioni, ma la possibilità per gli impianti già esistenti di continuare a operare fino a che i giacimenti sottostanti non saranno esauriti.
Per quanto riguarda i partiti trentini a favore del sì, a partire dai Verdi, per continuare con Forza Italia, il sì al referendum serve per dare un segnale forte in direzione dello sviluppo delle rinnovabili e dell'abbandono deli carburanti fossili. Per il sì, a dispetto di quanto sostenuto da Matteo Renzi, che è per l'astensione, il capogruppo in Consiglio provinciale del partito del presidente del consiglio, Alessio Manica, andrà a votare ed è per il sì. La maggioranza di governo si divide, visto che il Patt e l'Upt sono agnostici rispetto al referendum e non danno indicazioni di voto. L'Upt, oggi, al Muse ha organizzato per le 20.30 un incontro sul referendum con un dibattito tra un rappresentante per il sì, cioè Marco Ianes, e uno per il no, Paolo Baggio.
A livello nazionale secondo i vari comitati «No-Triv», appoggiati dalle nove regioni che hanno promosso il referendum e da diverse associazioni ambientaliste come il Wwf e Greenpeace, le trivellazioni andrebbero fermate per evitare rischi ambientali e sanitari. Tra i sostenitori del no al referendum si sottolinea che continuare l'estrazione di gas e petrolio offshore limita l'inquinamento: l'Italia estrae sul suo territorio circa il 10% del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.
Una vittoria del sì, secondo i comitati, avrebbe poi delle conseguenze negative sull'occupazione di chi lavora nel settore.
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Chiesa per il voto, Governo «astenuto», M. Ciangherotti, "Trentino", 15 aprile 2016 di Matteo Ciangherotti
TRENTO “Andate a votare e difendete l'ambiente”. “Astenetevi, il referendum sulle trivelle è inutile”. Due proclami, più che indicazioni di voto, che provengono da due poli distinti della società. La prima voce, quella pro partecipazione, giunge dalla Diocesi di Trento che come molte altre Diocesi italiane, sulla stessa linea della Curia romana, ha accolto con favore il quesito referendario che domenica sarà presentato agli italiani. Stop alle concessioni “ad libitum” sulle trivellazioni (quelle già in essere, di nuove la legge non ne prevede) di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalle coste. Sì? No? Mi astengo. Chi resterà alla larga dalle urne è la maggioranza, compatta, del governo Renzi. Compreso il senatore “trentino” del Pd Giorgio Tonini: “Penso che sia un quesito modesto nella sua portata e ambiguo nel suo significato; non adrò a votare”. Chi, invece, domenica dovrebbe recarsi ai seggi, in modo altrettanto compatto, sono i cristiani. “I cristiani hanno l'obbligo di pensare, riflettere e partecipare; quando c'è un appello al voto, prenderne parte è importante”, ammette don Rodolfo Pizzolli, delegato vescovile per la Pastorale sociale e lavoro, compresi il settore ambientale e la salvaguardia del creato. “La Diocesi di Trento non ha espresso nessuna valutazione ufficiale su questo referendum – chiarisce Pizzolli – ma la posizione è chiaramente quella di essere delle persone che custodiscono l'ambiente e che si impegnano al massimo perché dal punto di vista energetico si passi in fretta dagli idrocarburi alle fonti rinnovabili. Noi come Diocesi, in tal senso, abbiamo anche fornito un esempio concreto con gli interventi fatti in Duomo e sul sistema di riscaldamento e illuminazione del nuovo centro culturale”. Bando ai fossili, dunque.
“Ma con calma”, spiega Tonini. “Qui non è in discussione la politica energetica del governo – dice il senatore dei democratici – che è, tra l'altro, la stessa di tutti gli italiani. Il referendum pone una questione inutile. Perché siamo tutti d'accordo sull'attuare un processo serio di riconversione energetica che porti il nostro Paese a essere indipendente dal petrolio, ma per farlo ci vuole tempo. Non si può rinunciare da un giorno all'altro al contributo dei fossili. Già abbiamo detto no al carbone, ma per il petrolio e soprattutto per il gas dobbiamo aspettare. E se una parte di queste risorse si possono estrarre dal nostro territorio, io non vedo nessuna ragione valida per bloccarle”. Questione di punti di vista. “Un'economia basata sugli idrocarburi non ha prospettive e fa i suoi danni – continua Don Pizzolli -; non va certo demonizzata perché ha consentito all'umanità una fase di prosperità, ma oggi abbiamo a disposizione tutte le tecnologie per superarla definitivamente”. Le quote di gas e petrolio estratte attualmente nella Penisola sono minime e contribuiscono in modo modesto al fabbisogno energetico complessivo (non raggiungono il 10%). Ma allora perché – visto che siamo tutti d'accordo sulla riconversione – non rinunciarvi fin da ora? Interessi? Opportunità politiche? Posti di lavoro? “Credo che il dibattito su questo referendum sia stato fin troppo strumentalizzato – conclude Tonini – e trovo un po' sciocco che si chiamino i cittadini a esprimersi su questo quesito; che vinca il sì o il no alla fine non cambierà nulla. Io poi quella legge l'ho votata in aula, è assurdo ora che mi comporti diversamente”.
Trivelle, maggioranza in ordine sparso, S. Pagliuca,"Corriere del Trentino", 13 aprile 2016
TRENTO Mancano pochi giorni al cosiddetto referendum delle trivelle, la consultazione popolare che chiede agli italiani di decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare entro 12 miglia dalla costa, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come previsto attualmente, oppure fino al termine della concessione. Una chiamata alle urne, per la prima volta, nella storia d’Italia, avanzata dalle Regioni. Nove, per l’esattezza: Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto.
«Ma la questione trivelle riguarda tutto il Paese e non solo le regioni promotrici» chiarisce fin da subito Elisabetta Bozzarelli, consigliera comunale di Trento candidata alla segreteria del Pd, determinata nel votare sì il prossimo 17 aprile. Sì, ovvero: «Voglio che allo scadere delle concessioni vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio». Come mai? «Perché la questione ambientale è urgentissima e nessuno può tirarsi indietro» afferma la consigliera. Già, nessuno. Eppure, il leader del suo partito, nonché presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha invitato a boicottare le urne. «Professare l’astensionismo è antidemocratico» bolla però senza mezzi termini Bozzarelli.
Ma qual è la posta in gioco: l’ambiente, l’economia o entrambe le cose? Nei mari italiani, a oggi, vi sono 135 piattaforme e teste di pozzo, di queste 92 entro le 12 miglia, più o meno a 20 chilometri da terra, dalle quali si estrae soprattutto metano: nel 2015 hanno contribuito al 28,1% della produzione nazionale di gas e al 10% di quella petrolifera, soddisfacendo il 3-4% dei consumi di gas e l’1% di quelli di petrolio (dati ministero dello Sviluppo economico). Qualora si interrompessero le estrazioni, quindi, l’Italia dovrebbe aumentare le importazioni da altri Paesi, come Libia ed Egitto, che già oggi perforano nel mar Mediterraneo. L’Italia, infatti, non è l’unico Paese a trivellare in mare: il Regno Unito conta 486 pozzi, l’Olanda 181, la Danimarca 61. A distanza, con meno di 10 impianti l’uno: Germania, Irlanda, Spagna, Grecia, Romania, Bulgaria, Polonia. A cui si potrebbero aggiungere Croazia, Malta e Cipro che farebbero compagnia ad altri stati che già trivellano nel Mediterraneo, come i citati Libia ed Egitto, ma anche Algeria e Israele.
Non solo: secondo Greenpeace, fervente sostenitrice del «sì», nei mari italiani operano circa 100 piattaforme, a gas e a petrolio, non soggette ad alcun tipo di controllo. «I petrolieri estraggono fonti inquinanti nei nostri mari e nessuno controlla. Alla faccia della “normativa severissima” che secondo il governo regolerebbe il settore: le attività di estrazione di gas e petrolio offshore assomigliano a un far west» dichiara, infatti, Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.
Bisogna riconoscere, però, che nella storia italiana vi è stato un solo grande incidente: nel 1965 al largo di Ravenna, quando la piattaforma Paguro, di proprietà dell’Eni, saltò in aria in fase di installazione causando la morte di tre persone, senza però gravi danni ambientali, visto che il giacimento era di gas.
A livello economico, invece, nel 2015 tutte le estrazioni, sia su mare che in terra, hanno prodotto un gettito da royalties di 325 milioni, anche se, precisa il ministero dello Sviluppo, la parte derivante dalle piattaforme entro le 12 miglia è di soli 38 milioni.
La questione, dunque, è complessa da più punti di vista e divide: a Trento come a Roma. Così ecco, scettico, il pensiero di Lorenzo Dellai, Scelta Civica: «Spingere sulle rinnovabili è corretto, ma il referendum in questione non è fondato. Se vincesse il “sì” ci sarebbero molti più problemi che non se continuasse l’estrazione. Io non andrò a votare o comunque, qualora decidessi di andare, voterei no. Anche se non faccio alcuna campagna pro-astensionismo».
Tentato dal «no» è anche il segretario del Patt, Franco Panizza: «Deciderò con il mio partito, intanto a livello personale sono abbastanza orientato verso il non andare a votare o il votare “no”. Credo, infatti, che le estrazioni vadano comunque fatte».
Come per tutti i referendum, comunque, anche il caso trivelle avrà un seguito solo se almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto esprimerà nelle urne la propria preferenza. Quanto alle chiusure, in caso di vittoria dei «sì», non sarebbero immediate: una prima chiusura potrebbe aversi nel 2018, l’ultima nel 2034, scadenza delle concessioni nei pozzi di Gela, Sicilia.