Egregio Direttore, dire che condivido il Suo editoriale domenicale potrebbe risultare fin troppo semplice e scontato: per chi, come me, ha l'onore di svolgere un ruolo di rappresentanza politica, inoltre, potrebbe essere persino letto come ipocrita e autoassolutorio. Perché non è un plauso o un facile consenso, credo, quello che ha cercato scrivendo quella dura, durissima critica al sistema politico trentino, ma più probabilmente una presa d'atto, uno scatto d'orgoglio, qualche possibile proposta di autoriforma.
Elisabetta Bozzarelli, "L'Adige", 14 aprile 2016
Troppe volte, infatti, la politica si è fermata all'analisi delle cose: ciò che non va, ciò che non funziona, magari integrandola con un qualche condizionale, «si dovrebbe», «bisognerebbe», ma senza mai avere la forza e il coraggio di fare un passo avanti. La metafora più efficace, purtroppo, è quella della polvere che finisce sotto il tappeto, fino a quando la superficie di casa diventa talmente impervia che si finisce per inciampare ad ogni passo.
Quanto sta avvenendo in Trentino da qualche tempo in qua, nel quadro del nostro sistema di rappresentanza democratica, rappresenta esattamente un continuo inciampare, segno evidente di una instabilità che non è salutare fingere di non vedere, e che merita al contrario una diagnosi rapida e un'altrettanta repentina cura.
I singoli casi sono solo il sintomo di un problema diffuso, che ha profondamente a che fare con le prassi di una politica che sembra essere entrata in una sorta di cortocircuito: le sue fragilità si traducono in perdita di legittimità, e la crisi di fiducia nei suoi confronti finisce per indebolirla ulteriormente, innescando un circolo vizioso che sembra impedire un urgente e necessario processo di riforma. Ha ragione, Direttore, quando scrive che la crisi della politica è legata soprattutto al progressivo decadimento della sua classe dirigente, e ha doppiamente ragione quando mette in guardia da un rischio enorme: per un'Autonomia come la nostra, che deve dimostrare quotidianamente la sua alterità, il suo essere qualitativamente diversa e migliore delle altre Regioni e dello stesso Stato - pena il fallimento di un modello sempre più basato sulla responsabilità e sulla capacità di garantirsi le risorse per le politiche di governo del territorio, di welfare, di sostegno all'istruzione e alla ricerca ? - è assolutamente necessaria una classe politica e amministrativa non solo competente e preparata, ma capace di assicurare trasparenza, affidabilità, rigore, in un processo costante di accountability responsabile di fronte ai cittadini.
Non è solo una questione di norme: quelle ci sono, sono severe, e se non sono rispettate vanno fatte rispettare.
Il fatto è che il progressivo disinvestimento nella politica e nei partiti, nei percorsi di formazione di una classe dirigente capace di rinnovarsi e non di perpetuare stancamente sé stessa, nei luoghi collettivi di analisi dell'esistente e di elaborazione di strategie di sviluppo, hanno portato ad un modello politico autoreferenziale e ormai quasi del tutto incapace di dialogare con la società, con il mondo del lavoro, con il sistema economico, con il terzo settore, con le tante intelligenze diffuse che animano le nostre comunità: una politica, di fatto, che crede che tutto si esaurisca nella costruzione di consenso e non - come sarebbe suo principale compito - nella creazione di senso, nella definizione di alleanze sociali ampie, nella riscrittura di un patto di fiducia tra rappresentanti e rappresentati che parli il linguaggio della contemporaneità, integrando una volta per tutte le forme migliori della democrazia rappresentativa con i più avanzati strumenti di partecipazione attiva.
In tutto questo io credo che i partiti siano ancora il principale luogo dove investire: c'è bisogno di più politica, di più governo, perché - come ha scritto Lei in modo molto chiaro - non è con il populismo delle facili risposte che si risolvono i problemi di una società frammentata e impaurita, ma con un rinnovato sforzo collettivo che certo non si esaurisce nell'azione politica, ma che in questa vede un'inevitabile leva per la trasformazione della società. Perché, non dovremmo mai dimenticarlo, fare politica non significa fare il proprio bene, e nemmeno quello del proprio partito, ma contribuire da singolo ad un disegno collettivo che ha al centro il bene comune, nel nostro caso il bene del Trentino.
Ecco allora che la crisi della politica deve trovare risposte dentro la politica ed i partiti per primi devono essere in grado di rinnovarsi e riformarsi: nella consapevolezza che se falliamo questa prova non ci sarà esame di riparazione, e la bocciatura sarà definitiva e irreparabile.