Forse si abusa della parola «crisi», ma è difficile non leggere l’attualità del nostro sistema politico attraverso questo paradigma interpretativo. Una crisi che parte da lontano e che ora si sta disvelando in tutta la sua evidenza. Al centro del vortice i partiti, entità politiche con un piede nel passato — in un secolo, il Novecento, che li ha visti protagonisti determinanti della scena pubblica — e con l’altro non ancora pienamente saldo sul futuro, incapaci come sono di riformare sé stessi, di immaginare una nuova forma, nuovi modelli di azione politica.
Alessio Manica, "Corriere del Trentino", 10 aprile 2016
In tale incapacità si trova la cifra della loro crisi e il sistema politico trentino non sembra essere in grado di emergere con un’alterità che, troppo facilmente data per scontata, in realtà fatica a dimostrare. Una terra che è stata per decenni laboratorio politico avanzato, sia in termini di policy che sul lato della politics, capace di esprimere innovative politiche di governo saldandosi ad una altrettanto innovativa architettura istituzionale e, spesso, politica. Penso alla stagione delle grandi riforme in campo di tutela ambientale e di governo del territorio successiva alla tragedia di Stava, possibile grazie ad un esperimento politico originale, che nulla aveva a che spartire con gli schemi nazionali; penso alla grande capacità di autocritica e rilancio da cui nacque Solidarietà, nei giorni del 1989 in cui a Berlino cadeva il Muro, un esperimento coraggioso che permise alla sinistra trentina di ricostruirsi sui valori di uguaglianza, nonviolenza, federalismo; penso all’esperienza — non ancora conclusa — del centrosinistra autonomista, che ha fatto sì che, per tutti gli anni della parabola berlusconiana e del dominio leghista a nord del Po, il Trentino sia rimasta una terra in grado di mettere in campo politiche tese all’equità, azioni di solidarietà, investimenti significativi in innovazione, ricerca, formazione. Sono tutti esempi di come la politica trentina sia stata capace di un «sussulto operoso» ogni qual volta la storia lo abbia imposto, per condizionamenti esterni o per necessità interne.
Quella spinta propulsiva all’innovazione politica, però, sembra ormai un lontano ricordo. La pietra tombale è rappresentata dalla trasferta romana di una parte del gruppo dirigente del Partito democratico del Trentino, ritenuta necessaria per benedire un nuovo segretario che garantisse uno scacchiere deciso a tavolino. Una trasferta che ha messo in luce, purtroppo, la volontà di abdicare definitivamente ad un differente racconto del nostro territorio e della nostra comunità rispetto agli schemi nazionali, quasi che — anche in questa provincia caratterizzata da una speciale autonomia, garantita da uno Statuto regionale la cui riforma rappresenterà la principale sfida dei prossimi anni — tutto dovesse ricondursi allo schema artificioso che vede la politica divisa in due fazioni: renziani e anti-renziani. Se così fosse, l’esistenza stessa del Pd del Trentino sarebbe di fatto inutile, ridotta a passivo megafono del governo nazionale, quando sappiamo invece quanta autonomia abbiamo, o meglio, quanto autonomia avremmo se solo fossimo in grado di esercitarla. Ecco allora che il congresso che abbiamo di fronte può rappresentare un nuovo banco di prova per un partito che ambisce ad essere la prima forza politica in Trentino, ma che per esserlo deve capire che — per bene che faccia Renzi — se non sarà in grado di esprimere una propria proposta di governo dell’Autonomia, rimarrà sempre marginale e subalterno.
Ho trovato ciò e una volontà di innovazione nel programma e nel percorso attorno al quale un gruppo di giovani e meno giovani amministratori locali e militanti del Pd ha espresso la candidatura di Elisabetta Bozzarelli. Un percorso che mira ad aprire e coinvolgere il partito oltre i confini delle stanze più quotate, che non parte dagli accordi ma dal confronto, che vuole spingere il Partito democratico a rapportarsi con la complessità dei problemi dei territori, che vuole ritornare popolare, che ambisce a rafforzare la sua riconoscibilità autonomistica. Come ha scritto anche Maurizio Agostini, in questo programma possiamo ritrovare lo spirito fondatore del Partito democratico del Trentino, che era nato come soggetto orgoglioso della propria autonomia, non fine a se stessa, ma tesa a garantire un futuro di benessere alle nostre comunità e un positivo esempio di buon governo al resto del Paese, in un’Europa che vorremmo sempre più delle regioni.