Missione romana per l’assessore Luca Zeni: l’obiettivo è sollecitare l’inclusione dei tumori pediatrici tra le patologie curabili con la protonterapia con la copertura del servizio sanitario nazionale, inserendo i trattamenti tra i Lea, i livelli essenziali di assistenza. Ma a Roma Zeni andrà anche per cercare una soluzione alla deroga sulla chiusura dei punti nascita di valle.
M. Romagnoli, "Corriere del Trentino", 8 marzo 2016
«Nei prossimi giorni sarò a Roma per una serie di incontri con il Ministero su diversi temi, tra cui quello dell’accreditamento e quello degli ospedali periferici» conferma Zeni, in partenza per la capitale.
Missione
«Sì, davvero una missione», risponde sorridendo l’assessore a chi gli chiede della sua trasferta. Ma il tono si fa subito serio e il riferimento è all’attività del Centro in via Al Desert, in pole position mondiale per quanto riguarda la tecnologia disponibile, ma con livelli d’attività ben al di sotto delle possibilità della struttura (Corriere del Trentino di domenica). «Quando la Protonterapia è stata costruita con un investimento importante — spiega Zeni — non c’era un accordo sui Lea. Negli scorsi mesi ci sono stati dei contatti con Roma e ci è stato garantito l’inserimento nel prossimo piano che ormai non dovrebbe tardare. Il nodo è ora come avverrà l’accreditamento. Parlo delle cifre, del tipo di patologie che potranno essere curate».
La negoziazione prosegue: «Abbiamo trasmesso dei documenti a Roma e a breve avrò una serie di incontri sul tema con il Ministro per capire come inserire nei Lea un certo tipo di patologie. Lo facciamo non per procurarci più pazienti, ma perché è accertato che ci sono certi tipi di tumori per cui funziona il trattamento con i protoni. Ad esempio quelli pediatrici». Proprio dall’eventualità di un’esclusione delle patologie dei bambini dai Lea era partita la critica di Maurizio Amichetti, direttore dell’unità di protonterapia. «È giusto che lui si preoccupi, lo capisco, il dialogo c’è: lo sollecitiamo sempre a trasmetterci istanze e documentazione. È importante l’evidenza scientifica» dice l’assessore.
Le difficoltà
Il responsabile della struttura di via Al Desert torna sull’argomento: «Ci si muove sempre più verso una medicina individualizzata, è ridicolo che il Ministero dica: “Trattiamo solo il tipo di tumore x e y”. Deve essere fatta una valutazione più fine». Amichetti prosegue: «Il centro oncologico di Houston è stato il primo a usare i protoni nel 2006 ed è il più grande con 18 macchine e 60 fisici: lì il 60% dei bambini è passato dalla cura con fotoni ai protoni. Si ritiene che il 70-80% dei tumori pediatrici da irradiare dovrebbero essere trattati con i protoni. In Italia non è previsto dai protocolli: è la solita scusa di un Paese dalla mentalità chiusa». Poi i numeri: «Su doppio turno e doppia camera, con il personale adeguato, potremmo curare 700 casi all’anno. L’assessorato ha autorizzato una quindicina di assunzioni; sei o sette dovrebbero riguardare il nostro centro. Le altre andranno in reparti collegati al nostro. In un anno abbiamo trattato più di cento pazienti. I costi di funzionamento però sono fissi, circa 10 milioni di euro all’anno. Facile capire che curare più persone significa rientrare maggiormente dei costi».
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Trento Negli Stati Uniti è il tipo di assicurazione sanitaria a stabilire se un dato tumore potrà essere trattato con la protonterapia senza esborso da parte del paziente; a Uppsala a pagare è il sistema sanitario svedese. In Germania basta dimostrare dosimetricamente che una terapia è meglio di un’altra per vedere coperta la parcella e nei dodici centri di trattamento del Giappone è lo Stato a farsi carico della sperimentazione e, accertato il funzionamento, la terapia viene erogata gratuitamente. Paese che vai, usanza che trovi. Il Centro di protonterapia di Trento è l’unico interamente pubblico al mondo: perciò la mancanza di accreditamento nei Lea stupisce i responsabili di altri centri stranieri.
Zuofeng Li dirige la protonterapia in Florida: «Da noi si tratta con la protonterapia il maggior numero di bambini al mondo — racconta — Su 8.000 pazienti annui 200 sono pediatrici. Il nostro centro ha dieci anni in più, mi fa molta gola il vostro. Forse fra quattro o cinque anni potremo montare anche noi la tecnologia della Tac su rotaia. Intanto ci arrangiamo con i nostri sistemi, ma se avessimo la tecnologia che c’è qui aumenteremmo di molto il numero dei pazienti». Prosegue: «Non per tutti i campi c’è l’evidenza del funzionamento della protonterapia come c’è per quello pediatrico, il governo è responsabile per la raccolta dei dati. A maggior ragione nel caso trentino in cui il centro è pubblico. Per me questi trattamenti sono importanti come le missioni che spediscono le persone sulla Luna. Non capisco come l’Italia possa pagare per avere una sua donna sulla Stazione spaziale internazionale, ma non per la protonterapia».
La Germania ha la maggior densità di centri di protonterapia in Europa: se ne contano cinque ad Heidelberg, Dresda, Monaco, Marburgo ed Essen. Qui lavora Xavier Vermeren («West German proton therapy center»): «Trattiamo per il 60% tumori pediatrici. Quanto alle patologie, il 60% delle neoplasie è rappresentato dai tumori della testa — dice — L’accesso ai trattamenti? È un sistema di assicurazioni private a permetterlo in Germania». I pazienti non mettono spesso mano al portafogli: «Per i tumori pediatrici non ci sono dubbi: basta una review e il pagamento è automatico. Anche la maggior parte dei restanti tumori viene rimborsata, ma se ciò non accade abbiamo la possibilità di discutere dei singoli casi con l’amministrazione della clinica. Capita pure che si tratti qualcuno pro bono o che stranieri paghino per essere curati da noi». Segue la valutazione sul caso trentino: «Il Centro è pubblico: dovrebbe essere il governo a riconoscere la protonterapia e a dire quali tumori si possano trattare. L’efficacia sui pediatrici è la più provata, mentre per quelli del seno la radioterapia funziona ed è più economica».