In uno dei quartieri storici di Madrid c’è un luogo dove, nell’Ottocento, si incontravano commercianti, scrittori, intellettuali, politici, giornalisti ed imprenditori per parlare di affari, di politica, di arte e di futuro. Quel luogo ha un nome: “Mentidero de rapresentantes”, cioè uno spazio in cui si parlava anche senza troppo riguardo per la verità.
Bruno Dorigatti, "Trentino", 25 febbraio 2016
Un posto insomma dove mentire era possibile e dove ciò che si diceva non era mai preso troppo sul serio. A volte ripenso a quel luogo e ho la netta sensazione che quella piccola piazza madrilena sia oggi riprodotta.
Precisamente, che sia oggi riprodotta, anche in scala ben più grande, dentro le Istituzioni comunitarie di Bruxelles e Strasburgo, che si trovano evidentemente ridotte, da esigenze politiche che possiamo definire davvero di basso cabotaggio, a “liberi mentitori”, ambiti cioè dove è lecito dire bugie senza incorrere in sanzione alcuna. E’ questa infatti la fotografia, a mio avviso, di quanto l’Unione stia perdendo di vista il suo orizzonte comune, per piegarsi invece alle esigenze delle sue singole componenti.
Ai grandi proclami pubblici volti a salvare l’unità europea, fa da evidente ed innegabile contraltare la confezione, quasi quotidiana, di proposte e di azioni che mirano alla distruzione di quell’unità tanto sbandierata a parole. Dai confini fra Mitteleuropa e mondo slavo fino alla City di Londra, passando attraverso le maglie della burocrazia comunitaria e gli interessi dei grandi gruppi bancari, sembra di assistere insomma al ripetersi, quasi stucchevole, di apparenze, di menzogne, di nascondimenti delle reali volontà, quasi che sotto la patina della storia di quest’ultimi settant’anni, le differenze culturali, ideologiche e politiche del “secolo breve” abbiano continuato a fermentare, portando infine ad ebollizione una straordinaria massa di contraddizioni irrisolte.
Il caso austriaco, che è in questi giorni all’onore delle cronache, sembra, in proposito, eclatante. Da potenza tutrice dell’Alto Adige ad apostolato militante di un’idea di tutela nazionale e di gelosa chiusura in sé stessa dentro confini, siano essi quelli del Brennero o del Tarvisio, che comunque non sono invalicabili. Se è indubbio che il carico di profughi abbandonato sulle spalle dell’Austria - peraltro in quella medesima solitudine nella quale l’Europa ha lasciato la Grecia e la stessa Italia, bene non dimenticarlo - gioca un ruolo non indifferente nella costruzione di una cultura del rifiuto da un lato e della riaffermazione della sovranità nazionale dall’altro, non è pensabile che le scelte politiche del Governo austriaco non abbiano a riverberarsi, almeno nel breve/medio periodo, sull’idea stessa d’Europa, indebolendola e rendendola sempre più ectoplasmatica. E lo stesso vale per la difesa ad oltranza delle spiagge di Dover, quasi che la Gran Bretagna non appartenesse, da immemore tempo, alla storia d’Europa; quasi che i suoi soldati non fossero caduti ad Yprès nella prima guerra mondiale o sul bagnasciuga normanno nel secondo conflitto universale.
Il problema dei profughi è, senza dubbio, una questione epocale e trasversale, ma proprio per tali ragioni non può essere affrontato con vecchie strumentazioni ideologiche e materiali, che anzi rischiano di evocare ancora il dramma dei campi di concentramento e della superiorità razziale. Se cioè da un lato non possiamo volgere lo sguardo altrove e vivere di menzogne, come già avvenne in Europa con lo sterminio del popolo ebraico e delle categorie “inferiori”, dall’altro non possiamo nemmeno permetterci di affrontare un simile nodo, soltanto con gli strumenti della solidarietà individuale e volontaristica o dell’accoglienza “irrazionale”. Ed è solo una riscoperta del valore unitario dell’Europa che può salvarci dal pericolo del ripetersi di orrori già purtroppo visti nel più recente passato.
Nel mio ruolo di cittadino sono un convinto sostenitore dell’Europa e della sua unitarietà, certo che quest’ultima rappresenti l’unica possibile via per un futuro accettabile per noi e, soprattutto, per i nostri figli. Sono veramente desideroso di vivere in un vero Stato europeo, democratico, solidale e federalista, con leggi vincolanti per tutti e con un governo eletto da tutti, ma so che ciò può realizzarsi solamente se l’Europa smette d’essere il “Mentidero de rapresentantes”, ovvero la somma indistinta di interessi di parte, per diventare invece il coagulo delle aspirazioni comuni e delle plurali culture ed identità che, da sempre, la compongono. Non è la velleità del sogno, ma il progetto delineato dai padri fondatori dell’Unione europea e da noi fin qui perseguito, nonché l’eredità migliore che potremo lasciare al futuro.