«Sì, ci sono alcuni aspetti da definire. Mi riferisco anzitutto alla clausola d’uscita per le Bcc che non vorranno aderire alla banca capogruppo. Non è ben chiaro cosa succeda del patrimonio, che è risorsa indivisibile delle cooperative. Sono certo che il confronto in aula introdurrà gli aggiustamenti necessari».
G. Colletti, "Trentino", 21 febbraio 2016
Giorgio Tonini, presidente della commissione bilancio di Palazzo Madama, ha seguito con attenzione prima la gestazione della riforma del credito cooperativo e, poi, le obiezioni e le frizioni scatenate dalle “sorprese” contenute nel testo di Palazzo Chigi firmato dal presidente Mattarella domenica 14 febbraio, al ritorno dagli Stati Uniti.
«Un altro decreto di San Valentino, come quello di Craxi che nel 1984 cancellò la scala mobile» scherza. «Stavolta, però, credo che ci siano le condizioni per modificare ciò che è utile modificare». Il testo martedì prossimo sarà incardinato nella commissione finanze della Camera ed inizieranno le audizioni. Federcasse e le centrali cooperative chiedono con forza che si modifichi la norma sulla clausola d’uscita, a loro giudizio troppo permissiva, si salvaguardi l’indivisibilità del patrimonio che le banche “in uscita”, versando un’imposta del venti per cento, potrebbero trasferire nelle costituende spa. «Sono punti da chiarire. Ricordo, tuttavia, che il decreto non si occupa solamente di Bcc, ma anche della cartolarizzazione delle sofferenze, del regime fiscale nelle procedure di crisi, della gestione collettiva del risparmio. Con ciò voglio segnalare che il governo ha fatto uno sforzo importante per riorganizzare il sistema bancario, su sollecitazione della Bce certamente, ma destinato, attraverso il rafforzamento delle banche, a proteggere i conti pubblici e la stabilità dell’economia».
Un intervento di sistema, non solo destinato alle Bcc... «È così. Cito solamente il tema della gestione delle sofferenze. Il ministro Padoan ha trovato una positiva soluzione tra le richieste di Bruxelles, sensibilissima ad ogni accenno di aiuto di stato, e la garanzia pubblica utile per eliminare le sofferenze dai bilanci delle banche».
E poi la riforma del credito cooperativo. «Va vista nel quadro della riorganizzazione dell’intero sistema. È la strada per rafforzare le Bcc e dare vita al terzo polo bancario nazionale, un colosso cui spetterà un ruolo da protagonista. Un percorso che è stato condiviso da movimento cooperativo, Banca d’Italia e ministero».
In Trentino c’è chi teme la “nazionalizzazione” delle Casse Rurali e la perdita del controllo su risparmi ed investimenti. Quanto all’Alto Adige è stata ignorata l’autonomia, concordata nella prima stesura del decreto, delle Raiffeisen. «Credo che il caso dell’Alto Adige troverà soluzione senza particolari problemi. Invece, giudico coraggiosa la decisione del gruppo dirigente trentino che ha optato per la soluzione nazionale. Non entro nel dibattito interno alla cooperazione, ma la reputo la decisione giusta: non è realistico immaginare un sistema bancario chiuso tra confini così stretti. Sarebbe debole e destinato ad essere incorporato da altri. L’autonomia, per crescere, non deve chiudersi, ma confrontarsi con il mondo. Non lo dico io, lo diceva Bruno Kessler ed oggi è ancora più vero».
E la questione della clausola d’uscita? «Va definita meglio, immagino che si discuterà sui requisiti, ma la possibilità di non aderire ad un’unica capogruppo deve restare. Sull’indivisibilità del patrimonio delle cooperative, invece, la chiarezza deve essere assoluta. Così com’è stato formulato il testo -s’è visto con le obiezioni sollevate in questi giorni- lascia troppi margini d’ambiguità. Il patrimonio non può essere privatizzato, appartiene alle generazioni di cooperatori che lo hanno accumulato, è un diritto tutelato dalla Costituzione. Sono certo che la conversione in legge del decreto chiarirà ogni dubbio».