La viabilità di Rovereto? «Entro questa legislatura saranno individuate le soluzioni». L'ospedale? «Dev'essere un centro di primo livello». La meccatronica? «Non è un cantiere edile, ma un progetto in divenire, che va riempito di contenuti. Non è un progetto della Provincia, ma della città». Ad una settimana dalla firma del protocollo d'intesa tra Comune e giunta provinciale, il vicepesidente Alessandro Olivi torna su uno snodo importante sul fronte amministrativo e politico.
C. Zomer, "L'Adige", 15 febbraio 2016
E mentre gli alleati del Pd sembrano guardare con grande interesse il mondo delle civiche, lui rilancia, parlando ai democratici: «Dobbiamo tornare in strada e riprenderci la città, nel senso di cittadini, associazioni, mondi ecoomici. Perché a Rovereto saremo anche all'opposizione, ma senza dimenticare che restiamo una forza di governo». È una chiaccherata «più da roveretano che da assessore provinciale», che ha il sapore di una discesa in campo. Ma a domanda precisa ride. Poi smentisce: «Faccio altro».
Il protocollo, si diceva. Secondo i detrattori è solo una copertina patinata. Secondo Olivi inaugura un metodo nuovo: «Aiuterà molto a risolvere problemi importanti, se Rovereto non giocherà una partita autonoma, ma dentro il sistema. Su questo c'è grande consapevolezza da entrambe le parti».
Ecco, i problemi. Partiamo dalla viabilità, che a queste latitudini scalda sempre i cuori.
«Serve una soluzione per l'attraversamento nord sud. Ma il nuovo modo di procedere del sindaco mi sembra buono: non è più la città che si presenta alla Provincia con una proposta cogente, prendere o lasciare. Si deciderà insieme».
Accordo un po' generico.
«No, perché ha cambiato il metodo. Non ci sono più alibi: si decide tutti insieme. I ritardi negli ultimi 15, 20 anni erano spesso dovuti a questo: idee che arrivavano a Trento e si potevano scartare perché non sostenibili, o perché si alzavano contrarietà da parte di qualcuno. Adesso tutti i problemi - fattibilità, efficienza e sostenibilità finanziaria - si dovranno risolvere nello stesso processo. Con una novità: la coalizione di governo provinciale si è impegnata con gli elettori: significa che entro la legislatura ci dovrà essere progetto e finanziamento».
I progetti non sono mai stati un problema: ne sono stati presentati sia alla giunta Maffei che a quella di Guglielmo Valduga.
«Si, ma ora sono tutti allo stesso tavolo. Non si può più giocare sulle ambiguità».
A proposito di ambiguità, mentre a Trento si procede sul Not, qui ci si chiede che futuro avrà il S. Maria del Carmine.
«Di fronte allo slittamento in avanti di almeno tre anni dell'inizio del Not e ad un Santa Chiara in una condizione di saturazione, il S. Maria non può scivolare lentamente verso una sorta di terzo genus tra il grande ospedale di Trento e quello periferico che lotta per la sopravvivenza. Non può essere lì in mezzo da qualche parte, né carne né pesce. Non possiamo avere solo Not e ospedali satelliti. Così come non credo che Rovereto possa diventare una clinica specializzata. Anche se è normale che le specializzazioni siano divise, perché i doppioni non possiamo più permetterceli, credo debba mantene un altro tronco del sistema, noi non riusciremo a frenare la mobilità passiva».
Per far questo servono investimenti. Per farli servono scelte coraggiose di sistema. Dai punti nascita in giù, non sembrano tempi illuminati.
«Certo, è assolutamente evidente che servano due ospedali forti per mantenere in vita una rete territoriale in cui non possiamo pensare di conservare tutto ovunque».
Ma le scelte servono ora. Ogni due mesi scriviamo di un medico che se ne va dal Santa Maria.
«La mia preoccupazione è questa, cominciamo a perdere come sistema in generale».
Tornando al protocollo firmato con il Comune, avete inserito anche il capitolo Meccatronica. Perché ribadirlo?
«Ho voluto che nel protocollo si ribadisse la necessità di lavorare sui poli innovativi di Meccatronica e Manifattura, perché Meccatronica non è un cantiere edile. Perché funzioni serve un costante contributo di idee e anche lo stimolo della città».
A margine dell'incontro, non sono mancate le riflessioni politiche. Sembrava ci fosse grande intesa tra Provincia e Comune.
«Le istituzioni vengono prima dei partiti. Quindi con il sindaco Francesco Valduga e i suoi assessori, quando mi siedo ad un tavolo, discuto con la città. O un ottimo rapporto. Un sindaco deve essere messo in condizioni di di operare al meglio. Diverso è il discorso sul piano partitico».
Come? Tutta la politica sembra pronta ad abbracciare i movimenti civici. Lei no?
«No. Non considero il civismo un soggetto politico, è una virtù sociale di cui sono dotati anche coloro che militano nei partiti. Non credo sia un movimento in via di consolidamento. Un partito, il mio partito, non deve fare la corte ai civici. Semmai deve porsi il problema di come rispondere agli elettori, a chi è convinto che ci sia bisogno di partiti più inclusivi. A loro offriamo noi una risposta».
Ma a Rovereto il progetto civico è nato 15 anni fa. Difficile definirlo una meteora. E il Pd non pare nel suo momento migliore.
«Il problema del Pd è che non è ancora riuscito a coltivare l'ambizione di diventare, né in Trentino né nella città di Rovereto, un progetto politico che crede nella possibilità di esprimere una cultura maggioritaria. Non è consapevole della propria forza, deve sempre fermarsi un minuto prima di compiere quell'ulteriore sforzo. Sono convinto che a Rovereto come a Trento possa invece diventare una forza in grado di allargare i suoi confini e interpretare un sentire maggioritario».
Come farlo, a Rovereto?
«Bisogna recupertare la voglia, l'umiltà di stare in mezzo alla gente. Non ribattendo colpo su colpo a quel che accade in consiglio comunale. La rete la crei fuori dal palazzo, non dobbiamo essere schiacciati sul dato amministrativo. E con i civici, il problema non è allearsi, ma competere. Dobbiamo dire: "Io ho queste idee su su valori, principi, proposte per la città. Voi quali avete? Se c'è convergenza non mi pongo il problema, saremo di più a pensarla così. E allora non sarò io a dover confluire nei civici, saranno gli elettori che si porranno il problema del fatto che coalizione che ha riguadagnato spazio, togliendo quel velo d'ambiguità tra civismo e partiti, tra i politici e i puri. Ma prima di ogni cosa devo recuperare il vincolo fiduciario con la città, poi sarà il soggetto che può federare attorno a se altre forze. Perché vocazione maggioritaria non significa autoreferenzialità. La coalizione è un albero. Ma il tronco deve farlo il Pd».