Grazie Presidente. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti, hanno già illustrato ampiamente le motivazioni che ci hanno spinto ad assumere questa iniziativa. Sono lieto che ci sia un’ampia convergenza sulla valutazione preoccupata, preoccupatissima, della situazione che si è creata in Corea del Nord e sulla necessità di assumere delle misure.
Michele Nicoletti, 11 febbraio 2016
LEGGI il TESTO DELLA MOZIONE
È vero, come hanno ricordato in particolare il collega Palazzotto e altri, che situazioni di violazione dei diritti umani e situazioni di ricorso a politiche autoritarie e totalitarie, rigurgiti di militarismo, politiche di aggressione, infrazione di trattati internazionali sono all’ordine del giorno purtroppo e non riguardano certo solo la Corea del Nord, però questa non può essere una giustificazione per ignorare i casi così gravi e drammatici, che ci sono stati anche direttamente raccontati.
L’iniziativa che noi abbiamo assunto è anche stata il frutto dell’ascolto, nel corso di una audizione presso la nostra Commissione affari esteri, Sottocomitato per i diritti umani, della testimonianza di Shin Dong-Hyuk, un esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, in visita nel nostro Paese, che è venuto presso le nostre istituzioni a raccontarci quello che lui ha subito e sperimentato, e noi non siamo semplicemente un luogo di ascolto, siamo anche un luogo di iniziativa politica e per questo ci è sembrato doveroso onorare la sofferenza di tante persone e la dignità che hanno saputo conservare, anche in condizioni disumane, trovando la forza per scappare e per rendere testimonianza di fronte al mondo delle violenze subite.
Noi riteniamo che tutta questa sofferenza e questa testimonianza andasse onorata. A ciò si è aggiunto poi negli ultimi mesi la preoccupazione, non solo per le violazioni dei diritti umani, ma anche il ritorno ad esperimenti nucleari. Giustamente è stato detto che non sappiamo esattamente che significato possano avere, ma questo rappresenta un elemento di grande preoccupazione e di grande inquietudine, che ha suscitato la condanna più ferma da parte della comunità internazionale e delle istituzioni internazionali, dell’Unione europea e del nostro Paese.
Perché ci preoccupiamo delle violazioni dei diritti umani in un altro Paese? Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una ingerenza in uno Stato comunque sovrano, ma noi riteniamo che dentro la nostra Repubblica, fin dall’inizio, all’interno della nostra Costituzione, vi sia un modo di intendere la politica che ha posto il rispetto della persona e la costruzione della pace tra gli elementi fondamentali, non solo all’interno dei nostri singoli Paesi, ma anche all’esterno, ammesso che sia ancora corretto parlare di interno ed esterno in un mondo che è sempre più un’unica comunità, per cui forse bisognerebbe parlare di una « politica interna del mondo », per usare una bella espressione di Habermas, più che di una politica interna e di una politica estera.
Questo è anche il modo con cui la comunità internazionale, la dottrina internazionale, il diritto internazionale, la migliore pratica delle politiche internazionali cercano di affrontare tali questioni. La sovranità non può essere più intesa come un potere assoluto e arbitrario di disporre della vita e della morte dei propri cittadini, ma va inteso innanzitutto come « responsabilità di proteggere »; con questa bella espressione la comunità internazionale ha voluto definire nella situazione contemporanea il compito della sovranità. Proteggere la vita umana, quindi, e laddove lo Stato sovrano e le autorità di un Paese non sono in grado di proteggere la vita umana, ma al contrario rappresentano una minaccia dell’esistenza stessa delle persone, delle loro libertà fondamentali, questa responsabilità di proteggere sta in capo alla comunità internazionale, che ha il dovere di prendersi cura di tutti gli esseri umani e di intervenire con gli strumenti adeguati per tutelare ogni vita.
Questa responsabilità di proteggere noi la vogliamo esercitare attraverso lo strumento principe del diritto, e questo è un altro cardine della politica internazionale del nostro Paese. Sostituire le ragioni della forza alle ragioni del diritto, per questo siamo preoccupati delle violazioni dei diritti umani e siamo preoccupati dell’uso di armi o di sperimentazioni su armi, che rappresentano una minaccia alla pace e una violazione delle convenzioni internazionali.
È la via del diritto l’unica che può garantire sicurezza alle persone, possibilità per loro di esprimersi liberamente, costruzione della pace. Nel racconto drammatico, che abbiamo ascoltato nella sottocommissione per i diritti umani, quello che ci ha colpito non è stata solo l’esperienza di campi di prigionia in cui la violenza era all’ordine del giorno, in cui l’arbitrio era l’unica regola esistente, nessuna possibilità di conoscere i capi d’accusa, di essere difesi, trovandosi come nuda vita alla mercé della violenza dell’altro, ciò che ci ha colpito era il racconto della fame. Lo hanno già ricordato alcuni colleghi, il regime della Corea del Nord è un regime che affama buona parte dei suoi cittadini.
L’esperienza della fame è un’esperienza così forte che, quando noi abbiamo chiesto a questo fuggitivo dalla Corea del Nord perché scappa, la motivazione prevalente era quella di cercare del cibo – lo ha riconosciuto con onestà –, tanto era stata ridotta la sua esistenza al bisogno primario di sopravvivere. Ed è questo esattamente che noi dobbiamo condannare nei regimi autoritari, nei regimi totalitari, nei regimi violenti, ossia questa disumanizzazione dell’essere umano, questa sua riconduzione all’essere un animale in cerca di cibo.
La seconda cosa è stata la rottura delle relazioni primarie. Ci ha raccontato come dentro questi campi di prigionia, ma in generale dentro questa società violenta e totalitaria, le relazioni primarie venissero infrante. Infatti, per avere un po’ più di cibo, per avere un po’ più di pace nessuno esita a denunciare il congiunto più stretto nella speranza di avere qualche cosa di più. Questa rottura delle relazioni primarie, familiari, la denuncia di figli, di padri, di madri per poter sopravvivere è uno dei più gravi pericoli dei regimi totalitari, ossia la distruzione del tessuto delle relazioni sociali e, quindi, non solo la violenza contro un singolo essere umano, ma la violenza contro quel tessuto che rende sempre di nuovo possibile la costruzione dell’umanità, non solo nell’oggi ma anche nel domani. Rispetto a questo noi non possiamo tacere. Noi abbiamo sperimentato nella nostra storia che cosa vogliono dire i regimi totalitari, anche se non di questa brutalità, e proprio questa esperienza ci deve dare l’energia per essere, in ogni parte del mondo, al fianco di chi si batte per i diritti umani.
La seconda questione riguarda gli esperimenti in campo nucleare. Dopo la spaventosa esperienza della Seconda guerra mondiale, in cui per la prima volta nella storia dell’umanità abbiamo sperimentato la possibilità non solo di dare vita all’umanità, ma di dare morte all’umanità attraverso questi strumenti di distruzione di massa, che non solo colpiscono il nemico, ma annientano ogni forma di vita nel presente e nel futuro, lo sforzo che noi, assieme a tutta la comunità internazionale, stiamo conducendo è quello di limitarli, con tutta la relatività degli strumenti a nostra disposizione, con tutte le contraddizioni che ben conosciamo. Però la comunità internazionale ha fatto dei passi avanti significativi. Penso anche alle recenti trattative con l’Iran, in cui il tema del nucleare è stato all’attenzione della comunità internazionale e in cui di nuovo, pure in presenza di contraddizione, non ci siamo stancati di ricercare possibili intese, nella convinzione che l’utilizzo e la costruzione di questi strumenti sia il male assoluto all’interno della nostra storia comune.
Per questo noi dobbiamo non solo esprimere la nostra preoccupazione e la nostra condanna, ma chiedere con forza la possibilità di un controllo. Quello che è lo strumento fondamentale, anche a livello internazionale, sia nel campo dei diritti umani che nel campo del controllo del nucleare, è la possibilità di accedere ai Paesi, di avere trasparenza. Questo è quello che la comunità internazionale non deve stancarsi di chiedere. Noi denunciamo non solo le violazioni, ma anche la non disponibilità della Corea del Nord a garantire l’accesso della comunità internazionale e dei suoi rappresentanti per verificare le violazioni dei diritti umani. Per questo io ringrazio i colleghi che sono intervenuti, esprimo di nuovo soddisfazione per la convergenza che si è realizzata e raccolgo l’invito che è stato fatto a occuparci non solo di questo caso, ma di tutti i casi di violazione dei diritti umani e di minaccia nei confronti della pace.
Spero che dal voto di oggi possa nascere per il Parlamento e per il Governo italiano un nuovo impegno per la pace nella nostra comunità internazionale.