«Se mi chiedono di tornare in politica? Sì certo, capita. Ma no grazie, ogni storia ha un inizio e una fine». Alberto Pacher, da due anni tornato al suo lavoro di psicologo, non ci pensa minimamente, nonostante qualcuno - ad ogni scontro o scossone dentro il Pd trentino, di cui è stato primo segretario, correva l’anno 2008 - ripensi a lui e alla sua stagione di sindaco e vicepresidente della Provincia.
C. Bert, "Trentino", 7 febbraio 2016
Chi è convinto, con rimpianto, che con lui oggi il Pd guiderebbe la Provincia. E chi ne agita lo spauracchio del ritorno.
Pacher, partiamo da qualche messaggino che gira secondo cui lei potrebbe tornare in campo, ora che Dellai ha strappato con l’Upt. C’è ancora chi le chiede perché ha lasciato la politica? Certo che succede, e io spiego a tutti che ho fatto il mio tempo e adesso faccio altro nella vita.
Nessuna tentazione qualche volta di tornare indietro? No.
Lorenzo Dellai ha detto che il centrosinistra autonomista come coalizione è finito. Lei cosa pensa? Condivido. È chiaro che una fase è finita, che era un po’ l’anomalia trentina e come tutte le fasi politiche era in parte legata alle persone. Che il ricambio di persone porti ad un riassetto di impostazione è in parte fisiologico. Certo a me pare che in questo periodo ci sia un deficit importante di pensiero politico nella coalizione, per lo meno di pensiero politico condiviso. Ci sono percorsi separati e in assenza di un disegno generale ogni singolo tema diventa dirimente, con una fatica complessiva per la coalizione. E vedo un rischio.
Quale? Non possiamo più dare per scontato che certi mondi che sono sempre stati il terreno da cui il centrosinistra ha tratto ispirazione e forza, restino legati a noi per sempre. Penso ai mondi della solidarietà, della cooperazione, del volontariato. Manca una visione che possa ispirare anche queste realtà. Il processo di identificazione nel leader forse può funzionare a livello nazionale, di certo non su scala locale. E deve preoccuparci l’indebolimento delle strutture intermedie (associazioni, cooperazione, le forme di mutualità) che rappresentano il tessuto connettivo della nostra comunità.
Eppure il Trentino ha avuto per 15 anni una leadership ininterrotta, quella di Dellai. E oggi? Sicuramente c’è stata per molti anni e Dellai per indole è accentratore e decisionista. Ma tutto si può dire fuorché che non avesse una visione politica, e su questa le cose si aggregavano.
Qualcuno mette in guardia dal pericolo di occupazione e spartizione del potere, in primis da parte del Patt. È un pericolo insito nella politica e che solo la definizione di obiettivi superiori può attenuare, perché spinge ad andare a cercare interlocutori autorevoli anche fuori dal nostro territorio.
Dai Comuni alla pubblica amministrazione, il presidente e la giunta rivendicano molte riforme approvate. Cosa manca? Non basta questo. Penso al tema della sanità. Io credo che questo tema non può essere affrontato solo in termini di contenimento della spesa, riguarda il tema del territorio e della distribuzione dei servizi.
Sui punti nascita di valle la giunta è stata accusata di non avere il coraggio di sfidare il consenso. È d’accordo? Serve un’idea più strutturata. C’è il rischio che il Trentino perda la sua peculiarità che è quella di aver evitato lo spopolamento della montagna. Guardando al bellunese e alle Alpi lombarde, il quadro è preoccupante. La politica ha davanti a sè una grande opportunità: il processo di revisione dello Statuto. Se non diventa un processo inerziale di tipo giuridico, può essere un’ottima occasione per pensare al futuro, e per far partecipare i cittadini, e questo dà una forte responsabilità ai partiti.
Parliamo di congressi. Cosa ha pensato della rottura nell’Upt? Mi sembra che il congresso dell’Upt abbia più detto no a Dellai che sì a qualcos’altro. Osservo naturalmente dall’esterno, ma non ho visto un pensiero integrato con le altre forze della coalizione.
Il Patt, dopo aver pescato a destra e a sinistra in vista delle ultime comunali, ora rilancia il partito dei trentini. Cosa ne pensa? Il Patt vuole allargare i suoi confini ed è normale per un partito. Quello che bisognerebbe fare è trovare assieme, rilanciandole, le ragioni per cui un pensiero democratico e riformista come quello del Pd, rafforzi il legame col pensiero autonomista. Non semplicemente con un processo di sottrazione reciproca.
Veniamo al Pd trentino. Sta seguendo il dibattito interno? Sarebbe bello che arrivasse al congresso non come una sezione del Pd nazionale ma con un pensiero proprio che parte dalla specificità della realtà trentina. Mi pare che il tema oggi sia chi sarà il nuovo segretario, ma il Pd per diventare davvero leader sul territorio deve provare ad esprimere una sua visione.
Ma fa bene chi nel Pd oggi punta a rivendicare la leadership della Provincia nel 2018? Tutto dipende dal giudizio che si dà su chi guida oggi la Provincia. Quando sarà il momento, il Pd e la coalizione dovranno fare una valutazione della leadership. Mi sembra che anche questa discussione sia figlia di una debolezza del pensiero collettivo della coalizione, per cui ognuno pensa al suo pezzettino.
Che impressione le fa sentir parlare di congresso unitario del Pd, lei che se n’è andato per lo scontro dentro il partito? Io sono molto d’accordo che qualcuno cerchi di superare una frattura interna che è oggettiva ed è la madre della sconfitta alle primarie del 2013. L’importante è che questo si faccia non solo attorno a una figura ma attorno a un pensiero. Vanno chiariti degli aspetti di fondo. L’unità dovrà essere su una posizione politica, non su una persona.
Pensa che dovrà chiarirsi tra essere partito di governo o di opposizione? Più che decidere se è di lotta o di governo, dovrà decidere qual è la visione del Trentino nella quale ci riconosciamo.
Veniamo al Comune di Trento, dove la crisi della coalizione è ancora più evidente... Si percepisce una fatica ancora più forte di pensiero generale e mi dispiace tanto perché la città di Trento non può che essere il traino del Trentino. Faticano le forze politiche a ragionare di un’idea di città. Non può essere il congresso di un partito a determinare le sorti di un progetto. Si deve riprendere un’idea di città più forte e innovativa.
La Trento di Pacher era la Trento che sognava. Ma c’erano altre risorse. Cosa risponde? Il piano regolatore è l’ambito in cui si può dare un’idea di città ma questo prescinde completamente dalle risorse finanziarie. Se c’è un disegno, le risorse prima o poi verranno. Altrimenti diventa una gestione quasi commissariale.
Da cittadino, prima che da ex sindaco, è preoccupato per la sicurezza in città? Da sempre questo tema è caricato, ma sarebbe sciocco non vedere che un problema c’è, di zone della città percepite come meno sicure. È la contraddizione di ogni area urbana. Il Comune ha fatto passi giusti sul recupero di piazza Dante e la palazzina Liberty, ci sono altre zone in cui bisognerà inventare qualcosa del genere.
Il rimpasto di giunta può servire? Se è solo per rispecchiare l’esito di un congresso, non serve a niente. Se serve a rilanciare un progetto, tutto si può fare. Gli accordi si possono anche riscrivere su una base politica e non solo di opportunità. Il sindaco deve rinforzare il proprio patto con i partiti per cercare un rilancio politico, è l’unico modo per contenere almeno in parte le spinte individuali.