Con l’approvazione in provincia di Trento della legge istitutiva della Consulta, ha preso il via il complesso percorso destinato a condurre all’aggiornamento dello statuto di autonomia. Nella provincia di Bolzano è intanto iniziata la prima fase dei lavori della Convenzione, che prevede l’ascolto dei cittadini in assemblee pubbliche.
Francesco Palermo, "Trentino", 3 febbraio 2016
I due organismi hanno composizione parzialmente diversa, ma si tratta sempre di strumenti ausiliari dei Consigli, basati su una rappresentanza mista (politica, parti sociali, associazioni, esperti e società civile) e ispirati alla logica della democrazia partecipativa.
Logica che consiste nell’aprire alle istanze esterne al circuito rappresentativo senza tuttavia sostituirsi a questo. Nel dibattito che si è finora (poco) sviluppato sul tema si sono trascurati alcuni elementi che hanno invece estrema rilevanza istituzionale e politica, e che conviene ricordare.
Primo. Se la scelta di processi partecipativi non era obbligatoria. Lo era e lo è la revisione statutaria, prevista non solo dalla riforma che potrebbe entrare in vigore in autunno, ma anche da quella in vigore dal 2001. Insomma, la riforma dello statuto non è un lusso, un divertissement intellettuale o un cavallo di Troia del centralismo, ma un obbligo costituzionale. Finora non si è fatta per il timore che il Parlamento ne approfittasse per stravolgere un’eventuale proposta proveniente dai territori. Un potere che tuttora ha, e che andrebbe a perdere con l’entrata in vigore della nuova riforma, che introduce l’intesa per la riforma statutaria. Da novembre in avanti il Parlamento potrà rigettare le proposte, ma non potrà imporre nulla in modo unilaterale. Certo, se il processo fosse iniziato anni fa, ora le province avrebbero qualcosa di organico su cui trattare a Roma, in una fase in cui si sta ottenendo tutto, mentre nella prossima legislatura, complici i nuovi rapporti di forza risultanti dalla riforma costituzionale (ininfluenza del Senato) e dalla legge elettorale (maggioranza garantita alla Camera) il peso politico delle due province autonome e dei suoi rappresentanti sarà sicuramente minore. Ma questa è ormai storia passata.
Secondo. L’ascolto delle istanze della popolazione, nelle diverse modalità previste per i due organi, serve a consentire a tutti di partecipare e avanzare proposte. Ogni proposta è dunque ammessa, ma non va dimenticato che il quadro normativo prevede un processo di riforma dello statuto, non il suo stravolgimento. Quindi le proposte irrealizzabili non potranno avere seguito, almeno in questo contesto. La qualità del dibattito e delle proposte dirà comunque molto sulla società nel suo complesso. Sarebbe un peccato dover constatare che la partecipazione venga utilizzata da minoranze attive per promuovere le proprie istanze approfittando dell’inerzia di molti politici che, secondo la famosa formula degasperiana, guardano alle prossime elezioni anziché alle prossime generazioni, ma anche di troppi cittadini che guardano al massimo al prossimo weekend e mostrano di aver raggiunto un livello di indifferenza preoccupante.
Terzo. Vi è una differenza stridente e fondamentale nella genesi dei due organismi. A Bolzano la legge istitutiva della Convenzione è stata purtroppo approvata dalla sola maggioranza politica. È un handicap grave, perché ha generato il sospetto che fosse un percorso escludente anziché inclusivo. È stato certamente un errore della maggioranza, che non ha saputo allargare il perimetro, ma in parte anche dell’opposizione, che ha guardato più allo sgarbo ricevuto invece che all’interesse collettivo. A Trento invece si è partiti col piede giusto.
La legge è stata approvata a larghissima maggioranza, solo con 5 astensioni e nessun voto contrario. Significa che si è giocato meglio ma anche che c’è una indubbia maggiore condivisione (e riflessione) della necessità di aggiornare e rafforzare le regole dell’autonomia. Perché il processo funzioni servono buona volontà e spirito costruttivo degli attori coinvolti. Sono cose che non si possono imporre per legge. Ma sono precondizioni essenziali per un’autonomia che voglia mostrare di essere migliore di altri sistemi di governo.