La recente approvazione della legge che istituisce la Consulta per lo Statuto speciale del Trentino Alto Adige/ Südtirol sta producendo, fra i suoi primi effetti, un significativo innalzamento della riflessione politica. I contributi importanti di Francesco Palermo, Marco Boato e, non ultimo, Roberto Pinter, con il loro portato di speranza, dubbi, critiche e suggestioni mi sembrano il segnale di una certa vitalità del dibattito che ruota attorno al delicato tema di una prossima revisione statutaria.
Bruno Dorigatti, "Corriere del Trentino", 2 febbraio 2016
Credo che se i protagonisti della società, ancora prima che della politica, contribuiranno all’ampliarsi di questo confronto, allora non sarà comunque stato vano lo sforzo fatto fin qui per evitare che il centralismo neostatalista possa prendere il sopravvento e ridurre le autonomie speciali dentro il vuoto e falso confine del privilegio.
Se chi richiama l’urgenza di un’idea nuova di autonomia, ancor prima che di un progetto di revisione di competenze e deleghe, coglie il segno del confronto che si sta avviando, è necessario interrogarci proprio sui possibili profili dell’autonomia del futuro. Ridurre infatti un’esperienza collettiva di così grande peso e portata storica a un mero erogatore di risposte immediate alle quotidiane microistanze, valligiane o corporative, è già di per sé uno svuotamento dell’autonomia. A parole, quando affermo ciò, raccolgo spesso consensi e assensi trasversali e diffusi. Poi però, osservando lo scorrere della realtà, mi accorgo che, come spesso accade, si tratta di un’accettazione teorica e di principio che difficilmente si traduce in concreto.
L’istituzione della Consulta non sarà la panacea di ogni male e nemmeno il laboratorio del futuro. La Consulta non sarà nemmeno l’antro del mago Merlino dove tutto si risolve in breve e con pozioni magiche: di certo, però, non mi rassegno a immaginarla come la piazza del dibattito inutile o della chiacchera atteggiata, quanto piuttosto come un luogo per una prima — e non facile — elaborazione di un pensare comune, collettivo, condiviso.
Tale spazio di confronto dovrà essere in grado di porci in sintonia con Bolzano, consapevoli dell’indissolubilità dei nostri destini e delle nostre aspirazioni, senza operare solo per sottili «distinguo», senza posporre le decisioni, senza rinviare le scelte e senza attendere il compiersi del fato secondo l’antica abitudine del «quieta non movere».
Una classe dirigente degna di tale nome oggi non può, davanti alla delicatezza del momento, chiamarsi fuori e delegare ad altri il dovere di superare i preconcetti e i reciproci pregiudizi, di farsi carico dell’incedere della modernità e dell’accelerazione dei tempi della storia, di guardare al di là delle convenienze momentanee, delle basse strategie del consenso immediato o delle rivendicazioni di improbabili primogeniture; il dovere, insomma, di assumersi quelle responsabilità alle quali siamo stati chiamati dalla fiducia elettorale e dal nostro percorso singolo e di gruppo.
Certo, nessuno si nasconde i rischi insiti in un simile processo, nel quale rappresentanza e partecipazione cercano di trovare un efficace equilibrio. D’altronde la democrazia stessa, comunque la si voglia utilizzare, è irta di ostacoli proprio perché concede dignità alla pluralità delle opinioni. Eppure è sempre stata l’assunzione di tali rischi che ha permesso lo sviluppo e la crescita delle comunità e degli individui.
Non solo la classe dirigente è tuttavia chiamata all’assunzione di nuove responsabilità. Anche la società trentina deve infatti fare la propria parte. Qui mi attendo il contributo costruttivo delle categorie economiche, delle organizzazioni sindacali, della cooperazione, dei mondi del sociale, della cultura, della solidarietà e dell’associazionismo, i quali costituiscono il tessuto connettivo del Trentino e che, al pari della politica, concorrono alla qualità stessa della nostra autonomia. Nessuno insomma può «chiamarsi fuori», consapevoli che è questa la fase del coraggio e della speranza e che solo noi possiamo essere gli artefici del nostro domani. Nella certezza, infine, che il passaggio è obbligato, magari doloroso, complesso e difficile, ma ineludibile, come lo sono solo i momenti di svolta e di cambiamento.
Rinunciare oggi a tale sforzo necessario, ricadendo dentro l’apatia delle derive verso il basso e il conferimento di deleghe in bianco a terzi, significa non solo abbandonare ogni idea di prospettiva futura, ma pure tradire la nostra storia, le nostre tradizioni e valori, la nostra cultura e, in fondo, noi stessi e l’intera comunità. Per tali ragioni le porte del Consiglio provinciale si aprono oggi a un’idea di cittadinanza partecipe, in una sorta di chiamata collettiva alla costruzione di un «new deal» alpino con il quale affrontare l’incerto e sconosciuto tempo che verrà.