Terzo Statuto, manca un'idea

Nel dibattito per il Terzo Statuto colgo un paradosso: più si enfatizza l'importanza della riscrittura dello Statuto di Autonomia chiamando alla partecipazione e meno si vedono le idee che dovrebbero riempirlo di contenuto.
Roberto Pinter, "L'Adige", 1 febbraio 2016


All'inizio del terzo millennio ero convinto che si dovesse riscrivere lo Statuto per ricollocare le specialità nel ridisegno federalista (poi svanito), per renderlo attuale rispetto alle innovazioni apportate dalle numerose norme di attuazione e soprattutto per ridefinire un rapporto certo con lo Stato rispetto alle risorse e alle competenze della Autonomia. 
Il presidente Dellai, che in questo era in buona compagnia, non riteneva che fosse il momento giusto, che non c'erano le condizioni politiche per avviare la revisione. Sbagliando perché allora eravamo più forti e necessari nel rapporto con il Governo nazionale di quanto non lo siamo adesso, ma forse l'errore era legato da una parte ad una convenienza, un periodo transitorio molto favorevole alle nostre risorse finanziarie, dall'altra ad una difficoltà vera, quella di trovare l'unità di intenti con la Provincia di Bolzano.
Oggi siamo obbligati ad aprire la revisione dello Statuto in un contesto decisamente peggiorato rispetto alle disponibilità del Governo e del Parlamento e senza peraltro che si sia ridotta la distanza tra Trento e Bolzano, nonostante le intese politico elettorali e la presidenza di un esponente Patt. Sono convinto che l'enfasi data alla necessità di partecipazione sia in realtà una coltre di fumo rispetto alla difficoltà reale di trovare una sintesi tra le ragioni di Trento e quelle di Bolzano. Le differenti procedure adottate, convenzione e consulta, le differenti modalità partecipative, non sono come ha cercato di dire Rossi una ricchezza, un segnale di pluralismo, ma solo un indicatore del differente approccio che rischia ovviamente di indebolire la capacità contrattuale del nostro sistema rispetto al nazionale. Credo sarebbe più onesto e trasparente dire che c'è un problema piuttosto che aprire una contorta e penso sostanzialmente improduttiva fase di partecipazione. A Bolzano abbiamo visto che la prima uscita si è tradotta in ghiotta occasione per piantare bandierine e rimarcare le incomunicabilità, un po' come succede con le primarie sempre più occupate da istanze di parte invece che dalla ricerca del bene comune. Ma penso che questo non sia un incidente bensì la naturale conseguenza di una partecipazione e di un dibattito fini a se stessi e rispetto ai quali chi governa le istituzioni o meglio chi ha il potere di definire un accordo con Roma non è in realtà interessato.
La partecipazione funziona quando c'è un processo reale, quando c'è una motivazione e una tensione, mentre oggi in Trentino come in Regione solo con un artificio si potrà dire che la popolazione è interessata a riscrivere l'Autonomia.
E questo non solo perché non è propriamente il tempo per i cittadini di sentirsi partecipi di qualcosa ma perché la classe dirigente non da segni di vita, non offre stimoli e non sa dove andare.
Ma veramente possiamo decidere il ruolo della Regione o la sua soppressione attraverso una consulta o una convenzione? Se non siamo riusciti in 40 anni a trovare un'idea con la quale mantenere la Regione e renderla utile senza compromettere il rapporto con la popolazione di lingua tedesca e se non si fa lo sforzo di provarci a livello politico, perché mai dovrebbero riuscirci i consultori?
Non è solo la Regione il problema, ci sarebbe bisogno di ridisegnare le autonomie alla luce di decenni di norme di attuazione che hanno di fatto riscritto lo Statuto svuotando oltre alla Regione gli enti locali e le tante forme di democrazia diretta, per concentrare tutto nelle mani dei governi provinciali, ma come è possibile se lo stesso vento che spira a Roma spira anche da noi, prova ne è lo svuotamento ulteriore delle comunità locali e delle forme di autogoverno e anche il connivente e colpevole silenzio degli amministratori locali.
Come sarebbe utile provare a ridefinire uno Statuto che non sia solo una difesa rispetto agli appetiti centralistici, ma anche progetto innovativo dove protagonisti non siano solo ed occasionalmente gli elettori ma costantemente e realmente le comunità locali e le nuove articolazioni sociali ed economiche di questo territorio.
Servirebbe provare a dire come si possono riarticolare poteri e funzioni in un epoca della globalizzazione difendendo e facendo evolvere le migliori forme di partecipazione popolare che questo territorio ha conosciuto. Allora avrebbe senso chiamare alla partecipazione, non per far finta di riempire un contenitore che vuoto non è, ma come condivisione e verifica di un'idea di autonomia. Solo che questa idea oggi non si vede e non emergerà certo dalle barocche procedure di revisione dello Statuto.
Penso piuttosto che l'elaborazione di un'idea di autonomia, da non confondersi con un accordo programmatico elettorale, dovrebbe essere il contenuto distintivo di una coalizione e la priorità per gli eletti come per le rimanenti rappresentanze delle forze politiche e delle forze sociali. Solo a fronte di una idea si potranno poi chiamare gli abitanti di questa regione a dire la loro, prima non ha molto senso.