Signor Presidente, gentili Colleghe, ed egregi Colleghi,
prendo la parola, in discussione della manovra finanziaria della Provincia autonoma di Trento per l’anno 2016, con la certezza della centralità assoluta di questo dibattito, dal quale traggono origine, non solo le scelte economiche di intervento pubblico, ma anche – e forse soprattutto – le linee sulle quali andrà ad orientarsi la politica provinciale per l’immediato futuro.
Lucia Maestri, 16 dicembre 2015
Nessun confronto d’Aula infatti possiede i caratteri programmatori e d’impianto come il ragionamento collettivo attorno al bilancio previsionale della nostra autonomia ed è con tale consapevolezza che desidero ringraziare, prima di ogni altra considerazione, il sig. Presidente della Provincia, l’intera Giunta provinciale, gli Uffici che a questo documento hanno lavorato con competenza e professionalità.
Ciò premesso, mi pare di assoluto rilievo evidenziare anzitutto la portata di una manovra finanziaria che, fatti i conti con la progressiva contrazione dei gettiti, e con l’impossibilità tecnica di applicazione dell’avanzo di amministrazione, in ossequio al disposto normativo in materia di equilibrio di bilancio, ha potuto dispiegarsi nella sua interezza al riparo, grazie al patto di garanzia, della precedente reiterata azione di intervento statale.
E’ da sottolineare lo sforzo fatto dalla Giunta provinciale per il conseguimento dei due obiettivi di fondo del documento di bilancio; il mantenimento degli interventi a favore della comunità, sia in termini quantitativi che qualitativi, con un’attenzione non secondaria alla tutela del reddito disponibile; il sostegno convinto e deciso alla crescita economica, in un’ottica generale di allentamento della pressione fiscale.
Come dovrebbe apparire evidente ad una lettura non pregiudiziale la manovra mette in campo politiche di intervento diffuso, diversamente da quanto avviene nelle Regioni a statuto ordinario, dove la contrazione della spesa incide subito sul versante dei sevizi e del sostegno alle imprese ed al reddito .
La manovra, agendo sulla diminuzione della pressione fiscale, agevolando famiglie e imprese, conferma le scelte, le strategie di fondo che già hanno caratterizzato l'azione di governo di questa Giunta e di questa maggioranza.
Strategie che, come confermano i dati Istat sull'occupazione (con un tasso di occupazione al 68,1 %, cresciuto di circa un punto e tre, ed una disoccupazione che si attesta attorno al 4,8% livello più basso dalla fine del 2012), hanno consentito al Trentino di scollinare (anche se ancora non definitivamente) gli effetti della grande crisi che ha colpito il mondo e l'Italia intera.
La pur importante strategia della detassazione, non può, però, essere considerata, "da sola" formula salvifica. Il Trentino ha saputo, infatti, affiancare ad essa, la capacità di dialogo tra decisore politico e corpi intermedi che stanno mostrando, diversamente che nel resto del Paese, di sapersi misurare efficacemente con vincoli, compatibilità e urgenze delle decisioni. Corpi intermedi che, in questo modo, appaiono in grado di ottemperare al loro prezioso ruolo di servizio a sostegno delle attività imprenditoriali e dei lavoratori.
Stiamo andando forse controcorrente; posto il fatto che la disintermediazione degli interessi è divenuta prassi particolarmente significativa. Ne dovremmo andare fieri, poichè lo strumento della negoziazione non solo ha consentito di innovare strumenti di welfare (sostegno al reddito, previdenza integrativa, politiche di riqualificazione dei lavoratori disoccupati, ) e azioni di tenuta in termini di investimenti imprenditoriali, ma ha consentito e consente al Trentino di essere ancora "Comunità" non semplice sommatoria di individui portatori, uno ad uno, di interessi contrapposti e difficilmente conciliabili.
E' questo essere "Comunità" a ben vedere, che certifica il nostro particolare statuto di Autonomia, che lo innerva, che lo rende davvero Statuto Speciale.
La manovra interviene, inoltre, sul versante di un più rigido controllo della spesa corrente; dei costi dei servizi gestiti sia direttamente che indirettamente dalla Provincia; dell’efficienza delle gestioni pubbliche sul piano degli investimenti, dove sembra farsi strada una politica di qualificazione crescente della spesa, informata a rigorosi criteri di selettività e di priorità, pur necessitando di uno sforzo di analisi sugli effetti, in termini di ricaduta economica, delle azioni di sostegno finanziario promosse dal bilancio provinciale.
Va da sé un complessivo giudizio positivo alla manovra di bilancio proposta dalla Giunta provinciale all’esame dell’Aula, pur senza nascondere le criticità ed i problemi aperti su alcuni versanti delle politiche d’intervento.
Sento però l’esigenza di ribadire la necessità di sviluppare ulteriormente azioni chiare, coerenti e conseguenti, traducendole in linee capaci di identificare una nitida direzione di marcia, raccogliendo anche il positivo stimolo all’approfondimento e al far proprio il metodo della programmazione, quale filosofia di governo.
Senza programmazione infatti non c’è prospettiva credibile e senza prospettiva non c’è futuro, ma solo la continua ricerca di “risposte-tampone” alle emergenze quotidiane.
Mai come in questi ultimi anni è apparsa, in tutta la sua evidenza, l’antitesi fra gestione del presente e domanda di cambiamento. Su questo terreno anche la nostra autonomia dispiegata ha rivelato, infatti l’irrilevanza di ogni politica dei “due tempi”, quella cioè che interviene oggi senza interrogarsi sul domani e sugli effetti che l’intervento attuale produrrà sul proseguo dello sviluppo.
Già, il tempo d’oggi ci consegna la sensazione che “ciò che conta” sia solo il tempo presente, l’immediato, il salvaguardare il nostro benessere (di individui, di comunità) o ciò che di esso abbiamo la percezione sia rimasto.
E questo tempo, il nostro tempo, pare confinare la politica tutta, dentro la tentazione di stringere problemi, che si avvertono come nuovi, dentro vecchie formule di ricerca del consenso immediato, qualunque sia l’argomento in esame.
Quasi la politica stesse per scrivere un manifesto di rinuncia alla sua stessa funzione che altro non è se non la costruzione di un comune destino; “sottoposta per natura alla lacerazione delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell’errore, costantemente in agguato (Tonino Bello; Cristiani e Politica 1987.)
L’essere interpreti e protagonisti attenti della storia della nostra Autonomia, ci deve spronare a non indulgere alle facili e insidiose scorciatoie del tempo presente, a logiche e meccanismi obsoleti, a formule che attengono più gli equilibri sottili dentro le forze politiche che al destino della nostra Comunità.
L’essere intrepreti e protagonisti attenti della storia della nostra Autonomia, deve stimolarci a misurarci, in modo convinto e competente, sul più impervio terreno della innovativa sperimentazione, di idee, progetti, strumenti, che possano divenire (come in parte sono già divenute) terreno avanzato di riferimento di politiche di respiro nazionale, e che possano costituire l’aggiornata carta di identità di una Autonomia speciale.
Ritengo che questo sia un modo intelligente, se non il modo, per rispondere ai ripetuti attacchi provenienti da alcune regioni a statuto ordinario, che, per difendersi da un marcato centralismo romano e non distinguendo il declinarsi delle diverse autonomie speciali, le ritengono mero fattore di privilegio, e non il manifestarsi di una storia, almeno la nostra, con profonde e ramificato protagonismo di autogoverno di una comunità.
Comunità come insieme di città e valli, di centro e periferia, chiamata ad aggiornare la sintassi dello stare insieme, dentro un territorio il Trentino, per altro chiamato a sfide globali che presuppongono unità.
Ritengo fuorviante informare il dibattito politico, e le sue conseguenti scelte amministrative, del tema di un supposto e reiterato "scontro" tra centro e periferia.
Per almeno tre ordini di motivi.
Il primo: perchè così facendo rinnegheremmo la spina dorsale delle politiche della nostra Autonomia fin dalla sua nascita che ha fatto dell'integrazione tra centri presupposto in grado "consentire preventivare interventi di iniziativa pubblica e privata, capaci di esprimere simboli, modelli e garanzie suscettibili di promuovere omogeneità culturale (Kessler 1967 pup)
Il secondo: perchè misconosceremmo il valore delle comunità, il loro portato storico, le loro necessità di cambiamento registrate anche dalla convinzione che oggi nessuno può fare da solo. (a cosa risponde se non a questa convinzione l'istituzione del fondo strategico di comunità?)
Il terzo: perchè alimenteremmo artatamente la concezione di una città capoluogo fagocitante, concezione non corrispondente al dispiegarsi di una Trento al servizio di una comunità più vasta; Trento capace, come lo deve essere, di farsi carico di quel di più di responsabilità richiesta ad una città capoluogo che, non da oggi pratica, con il resto del territorio, relazioni di reciprocità.
Credo che alla politica sia attribuito il compito di "tenere unito" il senso della comunità trentina dato che la "localizzazione del centro può anche essere articolata su più nuclei urbani o distribuita su assi con punti di specializzazione fra loro integrati (Kessler Pup 1967).
Ciò valga per la sanità, come per qualsiasi altro tema che informa il benessere quotidiano della vita di ogni cittadina e di ogni cittadino.
Con un accorgimento però: che la doverosa razionalizzazione delle funzioni, sia conseguente all'aver esperito tutte le strade possibili al mantenimento dei servizi in condizione di assoluta sicurezza, e che la doverosa razionalizzazione delle funzioni non si spinga fino alla contrazione, irrimediabile, della vocazione territoriale di alcuni servizi , oserei dire presidi di comunità.
La Comunità trentina, nelle sue diverse articolazioni, chiamata ad aggiornare la sua carta fondante, lo Statuto, ha positivamente intrapreso la strada del protagonismo in un contesto europeo certamente scosso e destabilizzato non solo dai tremendi e famigerati attentati di Parigi, ma anche dall’aver toccato con mano l’inconsistenza di una politica continentale determinata più dalla contrattazione tra stati che da visione ed azione unitaria. Il tema dell’accoglienza dei profughi, del loro censimento e della loro destinazione ne è il plastico esempio.
Pur dentro questa cornice politicamente labile ed instabile il Trentino, innervando di contenuti e proposte il progetto dell’Euregio, decide di scommettere sull’Europa. Un’Europa delle regioni, o macroregioni (non solo un’Europa delle nazioni), nella convinzione che dai territori può pervenire un di più di concretezza al dispiegarsi delle opportunità che il contesto europeo può offrire.
Euregio, dunque, come strumento aggiuntivo per lo sviluppo del nostro territorio che anche grazie alla legge sull’Europa recentemente licenziata da questo Consiglio, ha deciso di investire sul potenziamento della sua presenza a Bruxelles, quale avamposto di un territorio che intende intercettare ed agire tutte le opportunità possibili per lo sviluppo imprenditoriale, sociale e culturale.
Nella riscrittura della carta fondante la nostra Autonomia, l’Europa, l’Euregio, dovranno trovare adeguata collocazione in termine di orizzonti politici, senza che ciò debba comportare un allentamento della cornice regionale e delle sue competenze, certamente da riscrivere, che non possono ritenersi bypassate da una prospettiva politico-istituzionale tra regioni, o lander a scavalco delle Alpi.
Signor Presidente, gentili Colleghe ed egregi Colleghi,
Il 2016 sarà l’anno dell’ “armonizzazione” del nostro sistema scolastico, alle novità introdotte dalla legge nazionale 107/15 più comunemente conosciuta come legge de “La buona scuola”.
Un sistema scolastico, il nostro, già positivamente strutturato e all’avanguardia, così come recentemente riconosciuto e dalla ministra Giannini e dalla Presidente della Commissione cultura e formazione della Camera dei Deputati on. Piccoli Nardelli.
Tale processo di armonizzazione dovrà essere proceduto da un forte e positivo confronto con la comunità educante, con le parti sociali, con gli studenti e con le famiglie.
Solo la condivisione pubblica degli obiettivi, dei temi, delle strategie e delle azioni può consentire di dar vita ad una riflessione a tutto tondo sulle possibilità di miglioramento; tenendo bene al centro obiettivi che non ci possono sfuggire:
a) che al centro della scuola ci sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze la loro formazione, il loro essere cittadini dell’oggi e del domani.
b) che il diritto di accesso alla scuola possa costituire per ognuno di loro diritto al successo grazie a docenti preparati e a scuole con strumenti di lavoro all’altezza del compito.
c) che la qualità dell’insegnamento va misurata e valutata;
d) che i dirigenti sono leaders educanti che, insieme agli organi collegiali, definiscono obiettivi e strategie assolvendo a compiti di direzione di gestione e di coordinamento.
e) che va sostenuta la piena attuazione della autonomia delle istituzioni scolastiche.
f) che va implementata in modo sistematico e commisurato alle necessità la politica di stabilizzazione delle figure dei docenti, secondo il percorso già intrapreso da questo governo provinciale.
Il tema della formazione del nostro capitale umano, il più grande investimento che il nostro territorio possa fare, so essere all'attenzione di questa Giunta, già da inizio legislatura. Il piano per il trilinguismo, anch’esso annoverato a livello nazionale come sperimentazione d’avanguardia, ne è testimonianza.
L’investimento sul capitale umano è stato arricchito non più tardi di qualche settimana fa, di ulteriori strumenti finalizzati alla formazione degli adulti. Un piano, questo,che fa sue le più recenti elaborazioni in rapporto al contenuto della conoscenza, che, al giorno d'oggi, non può che fare i conti con il possesso di un bagaglio di competenze spendibili, su un mercato del lavoro, che, quando c'è, risulta essere estremamente competitivo.
Un piano che si affianca alla già sperimentata filiera formazione-lavoro, della quale il variegato mondo degli istituti professionali, si fa propulsore ed interprete.
Ma, in tema di formazione del capitale umano, non possiamo ritenere esaurito il nostro compito, dedicando, come è giusto e doveroso che sia, le nostre attenzioni al trilinguismo, all’educazione degli adulti e ai percorsi immediatamente professionalizzanti.
Nella precedente relazione al bilancio, un anno fa, ho provato ad introdurre una riflessione che ritengo tutt'ora di stringente attualità, ancor più alla luce della contrazione, stimata attorno al sette otto per cento del tasso di iscrizione alla nostra università.
La riflessione prendeva le mosse dalla considerazione che questa crisi, e le sue conseguenze in termini di fatica del vivere quotidiano e di costruzione del futuro delle ragazze e dei ragazzi, sollecitasse a pensare che studiare, specializzarsi, laurearsi, fossero divenuti "fattori residuali" fossero divenuti un lusso che alla fine non paga.
Rimango dell'idea che questo tema non possa non interrogare tutti noi sul canovaccio di valori che facciamo vivere dentro la nostra comunità. Dove lo studio non è più considerato elemento competitivo, dove lo studio non è più vissuto come "bene comune" e non solo una merce alla quale attribuire valore.
Però, a ben guardare, è grazie allo studio, al padroneggiare linguaggi, all'accumulo di esperienze e competenze che questo territorio può scommettere su una nuova classe dirigente, che arricchita da un bagaglio di esperienze "extra moenia" può consentire al Trentino di stare al passo con i tempi.
Sorge spontanea la domanda se, trascorso il giusto tempo, noi si sia fatto il possibile per sostenere quel ragazzo o quella ragazza che ha deciso di approfondire il suo, che poi è il nostro sapere.
Saluto positivamente, dunque, signor Presidente, il fatto di trovare nella Sua relazione, l’impegno di questa Giunta, per altro già annunciato in aula nell’aprile del 2015, ad un’immediata articolazione e regolamentazione atta a promuovere e sostenere il diritto allo studio “potenziando le azioni di sostegno (immagino anche gli stanziamenti per le borse di studio) e quelle dedicate alla finalizzazione del risparmio delle famiglie a tale scopo.”
Sento solo il dovere di sottolineare sommessamente che il tempo delle scelte è maturo e che il non agire comporterebbe l’arretramento del patrimonio di intelligenze e competenze di cui il Trentino è fiero custode e promotore.
Un'attenta lettura dei quotidiani di questo ultimo periodo ci consegna le maglie di un dibattito riapertosi, (o forse mai sopito), in tema di rapporti tra Università, Centri di Ricerca e soggetto finanziatore, la Provincia.
Il dibattito, per lo più agito da autorevoli membri del mondo accademico, potrebbe o forse dovrebbe, trovare cittadinanza in sede politica, sempre che non si ritenga esauriente, in tema di ricerca, l'accapigliarsi circa la cifra contabile ad essa destinata.
Essendo Università e Centri di ricerca importanti settori di investimento e sviluppo e di proiezione esterna del nostro territorio trentino, parrebbe necessario dedicare ad essi pensiero.
Il dibattito in parola, mettendo in evidenza l'evoluzione delle reti di relazioni sviluppatesi dentro il mondo della ricerca, positivamente generata dalla creazione dell'Hub dell'innovazione trentina (denominato HIT), rileva come ancora non risolto il nodo del rapporto tra "politica e ricerca", o meglio tra soggetto finanziatore, la Provincia, e autonomia degli attori della ricerca stessa.
La questione verte attorno alla necessità, o meno, che il soggetto finanziatore, costituendosi cabina di regia, sia anche il soggetto che "fa scelte, opera i doverosi controlli, stabilisce le "mission" dei diversi enti" o se non sia meglio giungere ad "un sistema di enti di ricerca autonomi capaci di sviluppare, tra loro, sinergie orizzontali e di negoziazione in modo trasparente con i finanziatori, non il contenuto quotidiano delle attività di ricerca, bensì gli obiettivi e i criteri di valutazione necessari per raggiungere l'eccellenza nei rispettivi campi e riguardo alle rispettive "missioni". (Sciortino; Corriere del Trentino 2.12.2015).
Si riconoscerà il fatto che simile dibattito non possa svolgersi solo in sedi diverse rispetto al decisore politico e che se, come sostiene il Rettore Collini, "la politica sta svolgendo il fondamentale ruolo di facilitatore incentivando il sistema a riconfigurarsi in autonomia" , alla politica spetti, anche, dare qualche linea di indirizzo (considerato l'investimento) affinchè tra i diversi enti scatti un meccanismo di valorizzazione della specializzazione delle competenze, piuttosto che il più facile meccanismo della fagocitazione,da parte del più forte, delle eccellenze diffuse.
Da un'attenta analisi della legge di stabilità posta alla discussione e al voto di quest'aula non sembrano emergere novità sostanziali in merito al tema della cultura, del suo dispiegarsi, del suo innovarsi.
Certo il 2016, dovrebbe essere l'anno della già annunciata riforma della legge ora vigente. Attendo di poterne discutere innovazioni e contenuti.
E però non posso che rilevare come il documento oggi all'esame consegni a ciascuno di noi un taglio di finanziamento e di sostegno piuttosto consistente al settore culturale, ci coerenza, stavolta negativa, con quanto avvenuto nella precedente manovra di bilancio, ma in palese non sintonia, con i più recenti sviluppi promossi anche dal legislatore nazionale.
Eppure l'investimento in cultura è un grande contributo alla crescita umana ed economica di un territorio. Eppure il Trentino lo sa o lo dovrebbe sapere, per manifesto, comprovato e certificato ritorno.
Fa specie, dunque, che mi ritrovi, per il secondo anno consecutivo, a sottolineare una sorta di "dismissione" di pensiero, forse ancor prima che di finanziamento, attorno al tema della cultura.
Troppo sbrigativamente liquidato come tema riconducibile al sostegno e al finanziamento dei (forse troppi) musei.
Rimane mia convinzione che i musei svolgano un ruolo importante in termini di narrazione culturale del nostro territorio, anche se, ritengo che le loro potenzialità siano inficiate dalla reiterata loro abitudine di giocare, uno ad uno, su tavoli separati, la loro personale partita.
Eppure sarebbe necessario, per il Trentino, per la crescita della sua comunità e per la sua attrattività esterna, che i musei stabilissero tra loro relazioni di sistema consci di essere non espressione della sola capacità di direzione dei loro vertici, ma espressione di una comunità intera.
Anche qui, come per la ricerca, alla politica spetta dare linee di indirizzo concrete che, pur salvaguardando specificità e vocazioni di ciascun museo, introducano elementi di fattiva sinergia non banalmente riconducibili a fenomeni di razionalizzazione gestionale.
Di questo, avremmo modo di ragionare, come dicevo, in sede di analisi della nuova legge.
Velleitario però sarebbe consegnare all'aggiornamento della nuova legge il nostro fare cultura
Esiste in Trentino un fenomeno culturale in dialogo costante tra innovazione e conservazione che "sta stretto" dentro una maglia normativa ormai datata.
Il "cambiamento" attiene alla cultura. O la cultura è (anche) cambiamento o non è. E se cambia la cultura è necessario che mutino anche gli strumenti adatti alla sua promozione, prima che al suo sostegno.
Parlo della necessità di introduzione di nuovi sistemi di valutazione del prodotto culturale legati ad indicatori di qualità, della necessità di incoraggiare e sostenere start-up di imprese culturali e creative, almeno nella loro fase di avviamento.
Che cosa sono le industrie culturali e creative se non sedi di possibili sviluppi occupazionali?.
Sono questi nuovi modi di intendere e vivere la cultura che richiederebbero, dicevo, l'aggiornamento degli strumenti; un aggiornamento che alberga certamente dentro le maglie delle competenze giuntali.
Ma non solo di strumenti dobbiamo parlare. Se la cultura è stata anche recentemente annoverata come luogo del fecondo scambio della conoscenza tra simili e diversi (pensiamo al significato insito al "Vigilianum" di recente inaugurazione, e come antidoto al terrorismo, ( al proposito sento il dovere di ringraziare tutti i sottoscrittori, singoli o associazioni del manifesto "Bataclan"), se la cultura è tutto questo, possiamo permetterci una progressiva dismissione di interesse, di pensiero, e di sostegno finanziario?
E se la cultura, in una società fondata sull’economia della conoscenza, è elemento fondamentale dello sviluppo del capitale umano perché non pensare a creare una sorta di “bonus formativo culturale”, destinato a chi perde il lavoro, ai giovani senza lavoro, a chi ha basso reddito, per facilitare loro l’accessibilità alla cultura stessa?
Serve a tutti noi uno scatto d'ala. Per confermare che questo nostro territorio fa della cultura l’elemento costitutivo della sua identità, il motore del suo essere luogo di apertura al nuovo, al confronto, la leva significativa del suo sviluppo.
Signor Presidente,
certamente questa manovra finanziaria rappresenta un passo decisivo sulla strada della ripresa economica del Trentino.
Ma se sul piano legislativo la Sua Giunta, e noi, Sua maggioranza, siamo in grado di mettere a disposizione della Comunità intera interventi di sostegno convinto alla crescita economica e di mantenimento degli standard qualitativi e quantitativi dei servizi alle famiglie, all'occupazione, alla formazione, sul piano politico noi, maggioranza, siamo chiamati a stringere le fila, a recuperare le maglie di un ragionamento condiviso e non imposto, rinsaldando così la strada che si dovrà percorrere nel tempo che ci separa dalla conclusione della legislatura.
Nel dialogo tra Esecutivo e Legislativo, a maggior ragione, tra maggioranza e Giunta, è erroneo pensare che "le funzioni legislative del consiglio si possano difendere contrastando il potere legislativo regolamentare della Giunta" (Bin).
E', questa, una prassi che non condivido, convinta come sono che siano presenti luoghi della discussione e della mediazione, (sempre che li si voglia agire), capaci di farci raggiungere posizioni condivise.
Va però tenuto presente che i Consiglieri sono antenne vigili e attenti interpreti dei bisogni espressi dai territori e che la capacità di rispondere a tali bisogni dipende dalla capacità di addivenire ad un alto grado di sintesi politica, tenuto conto, che non è immediato, nè lo può essere, il meccanismo di trasposizione della raccolta della domanda sociale, di qualsiasi domanda sociale, in determinazione conseguente.
Fa bene, Signor Presidente, a richiamare nella sua relazione, come elementi di sintesi politica i tre criteri che informano questa manovra: la concretezza, il realismo, la solidità. In una parola il pragmatismo della politica quale efficace strumento di risposta alle domande di presente e di futuro di questa nostra terra.
Ma il pragmatismo diviene valore aggiunto se, e solo se, agito dentro un quadro politico certo e stabile: intendo dire che è necessario agire, prima nei fatti che nelle affermazioni l'assunto che la coalizione di governo, così come la conosciamo e pratichiamo, è immaginabile anche per il futuro, non solo per le forze politiche che ora la animano e la sostengono, ma anche per i singoli esponenti delle stesse e per coloro che nutrono l'originale concezione della partecipazione democratica alla responsabilità di governo ad intermittenza, a seconda del gusto del momento.
E’, questa, una responsabilità non solo Sua signor Presidente.
E’ una responsabilità di ciascuna e ciascuno di noi che, sostenendo il programma di legislatura, abbiamo inteso sottoscrivere con tutto il Trentino un forte patto che deve anteporre, ad ogni cosa, la costruzione di una positiva traiettoria di sviluppo e coesione sociale.
Un patto che si fortifica anche grazie a questa manovra di bilancio e che abbisogna, se del caso, anche del nostro fare ciascuno un passo indietro rispetto alle proprie migliori ragioni, per farne compiere uno avanti ad un’Autonomia, che è da sempre esercizio della responsabilità.
Grazie e buon lavoro.