Martedì 1 dicembre, presso Palazzo Barberini, alla presenza del Presidente della Repubblica e delle più alte cariche dello Stato, si è tenuto il convegno dal titolo "La coscienza dell'Europa. Il ruolo della Corte di Strasburgo nella tutela dei diritti umani", che abbiamo organizzato come Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, in occasione del 65° anniversario della firma della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali.
Michele Nicoletti, 1 dicembre 2015
Nel mio intervento, ho sottolineato come il terrorismo abbia colpito persone inermi e come i diritti umani, prima che principi astratti del nostro ordinamento, siano le esistenze concrete.
C'è poco da discutere sulla relatività dei diritti umani: quando ci imbattiamo nella violenza bruta sugli inermi, il moto di risentimento è universale. E la riaffermazione dei diritti umani è innanzitutto riaffermazione del diritto all'esistenza per ciascuno, libera, pacifica e piena.
In questo momento di attacco violento alle persone e alla convivenza pacifica noi dobbiamo riaffermare che lo strumento più forte di tutela della libertà e della giustizia è il primato dei diritti umani, la sovranità della legge e gli strumenti anche internazionali a sua tutela.
E' questa lezione che ci viene dalla Convenzione e dalla Corte. La fiducia nel diritto.
IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente del Senato,
Signora Presidente della Camera,
Signor Ministro della Giustizia,
Signor Presidente della Corte Europea dei Diritti Umani,
Signora Vice-Segretario Generale del Consiglio d’Europa,
Autorità,
Onorevoli Deputati e Senatori,
Illustri Relatori,
Studentesse e Studenti,
è un grande onore per la Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che ho l’onore di presiedere, poterVi dare il benvenuto a Palazzo Barberini, qui dove 65 anni fa è stata firmata la Convenzione Europea dei Diritti umani.
Nel ringraziarVi tutti per la Vostra presenza, consentite che un ringraziamento particolare lo esprima al Presidente della Repubblica che, fin dal giorno del suo insediamento, ha voluto esprimere con straordinaria chiarezza ed efficacia la centralità dei diritti umani nella vita della comunità civile nazionale e internazionale e il dovere da parte di ogni potere pubblico di porsi al servizio delle persone, con particolare riguardo a coloro che più vedono minacciata la loro dignità e la loro speranza di realizzazione.
La Sua presenza qui, accanto alle più alte cariche dello Stato, è il segno concreto dell’attenzione che il nostro Paese ha da sempre riservato e riserva alla Convenzione dei Diritti umani e alla Corte Europea di Strasburgo. A quella Corte che dal primo novembre è presieduta da un giudice italiano, il giudice Guido Raimondi, a cui vanno i nostri più sentiti auguri di buon lavoro.
Dopo gli interventi introduttivi dei Presidenti delle due Camere e del Governo, consentite che introduca brevemente il senso della nostra giornata di studio e le motivazioni che ci hanno spinto a organizzarla in questi tempi difficili e per i diritti umani e per l’Europa.
Basterebbe richiamare queste difficoltà di oggi per giustificare la necessità di una riflessione e di un ritornare al principio.
Il terrorismo ha colpito persone inermi e i diritti umani, prima che principi astratti del nostro ordinamento, sono le esistenze concrete. La persona non ha diritti, ma è il diritto umano sussistente e ogni offesa, ogni violenza contro la persona è una violenza contro il diritto, contro quella forma di vita personale e collettiva che vede nella giustizia la sua misura, il suo compimento, la sua possibilità di dispiegarsi in armonia con l’esistenza degli altri. C’è poco da discutere sulla relatività dei diritti umani: quando ci imbattiamo nella violenza bruta sugli inermi il moto di risentimento è universale. E la riaffermazione dei diritti umani è innanzitutto riaffermazione del diritto all’esistenza per ciascuno, libera, pacifica, piena.
Molte altre sono le violazioni dei diritti umani nel mondo, in Europa e anche nel nostro Paese e l’attenzione alle une non può far scomparire la preoccupazione per le altre: libertà di opinione, di stampa, di associazione, libertà di essere se stessi nella pienezza delle proprie convinzioni religiose o non religiose, del proprio orientamento sessuale, della propria appartenenza a questa o quella comunità etnica o linguistica. L’Europa soffre di troppe violazioni: dalle donne ai bambini, dai migranti ai rifugiati, dai malati agli anziani, ai detenuti e a molti altri ancora. Il nostro sistema di tutele in Occidente si è indebolito fortemente negli anni della crisi economica e all’Ovest come all’Est vi sono rigurgiti di razzismo e xenofobia, antisemitismo e islamofobia, eccetera.
Basterebbe questo per giustificare l’importanza di una rilettura della Convenzione europea dei diritti umani, a cui noi amiamo sempre affiancare la Carta Sociale del Consiglio d’Europa, anch’essa firmata in Italia a testimoniare questo desiderio del nostro Paese di essere culla dei diritti umani nella loro unità e indivisibilità, dai diritti civili e politici ai diritti sociali.
Nella Convenzione non c’è solo un elenco di diritti da tutelare. C’è anche l’individuazione di uno strumento per tutelarli, ossia la Corte Europea. Ossia un tribunale, un potere giudiziario, insomma “il più debole dei poteri”, eppure il più necessario se è vero che una comunità politica non è solo una comunità di interessi economici e una comunità di difesa, ma anche una comunità di giudizio su ciò che è giusto e ingiusto.
E in questo momento di attacco violento alle persone e alla convivenza pacifica noi dobbiamo riaffermare che lo strumento più forte di tutela della libertà e della giustizia è il primato dei diritti umani, la sovranità della legge e gli strumenti anche internazionali a sua tutela.
È questa la lezione che ci viene dalla Convenzione e dalla Corte. La fiducia nel diritto. E in quel diritto che sta prima e sopra i legislatori del momento. Quel diritto umano fondamentale che trova nel riconoscimento dell’accordo tra i popoli la sua apertura universale.
Questa fiducia nel diritto non è la fiducia ingenua che ci viene impartita da un’epoca spensierata del passato. È la fiducia che muoveva gli uomini e le donne uscite dalla terribile prova dei totalitarismi e della Seconda Guerra mondiale.
La Convenzione e la Corte nascono da lì.
Ai primi di maggio del 1948 si riunisce il Congresso Europeista dell’Aja in cui viene formulata la proposta di una Carta Europea dei Diritti Umani (quella dell’ONU sarebbe stata promulgata nel dicembre di quell’anno) e l’istituzione di una Corte. Non è solo la convenzione che dobbiamo rileggere oggi, ma anche il manifesto finale “Messaggio agli Europei” per la sua freschezza e il suo coraggio: «La difesa dei diritti dell’uomo è il perno dei nostri sforzi verso un’Europa unita; e, poiché una Carta dei Diritti dell’Uomo è insufficiente, è necessario conferirle un carattere giuridicamente vincolante, stabilendo una Convenzione firmata dagli Stati membri dell’Unione Europea. Ritiene che la garanzia dei diritti implichi la creazione di un’istituzione sovranazionale quale una Corte Suprema, organo di controllo giudiziario, istanza superiore agli Stati, a cui possano appellarsi le persone e le collettività, e destinata a garantire l’attuazione della Carta».
Sono queste le parole della Commissione Cultura del Congresso, ma espressioni analoghe si trovano nei testi della Commissione Politica e nelle risoluzioni finali. Una Carta dei Diritti e una Corte sovranazionale a cui ogni cittadino possa appellarsi. L’idea di una Corte Suprema risentiva chiaramente del dibattito europeo dopo l’istituzione della Corte Suprema negli Stati Uniti d’America.
Nel 1795 nei lavori preparatori della Convenzione Nazionale a Parigi, Emmanuel Sieyes aveva sottolineato la necessità di istituire un «tribunale dei diritti dell’uomo»: «è questo il vero nome di quello strumento morale, oltre che politico, che vi propongo di istituire, giacché tutto va riferito ai diritti dell’uomo». E la proposta francese era stata ripresa in tutta Europa, in Italia con Pagano e poi Rosmini, in Germania con Fichte. Ma nella Convenzione non fu accolta e ci volle un secolo e mezzo per arrivarci. E come testimoniano gli atti dell’Aja, fu proprio l’esperienza del totalitarismo e dello stesso Tribunale di Norimberga a spingere verso la proposta di istituzione di una Corte dei Diritti dell’Uomo.
L’esperienza di questi 65 anni in Europa e in Italia testimonia la straordinaria ricchezza di questa Convenzione e poi della Corte. Il nostro cammino verso un maggiore rispetto dei diritti umani come legislatori e uomini di governo, ma anche come giornalisti e movimenti della società civile, è spesso illuminato e spronato dalle sentenze della Corte.
In questo essa è davvero la “coscienza dell’Europa” come di nuovo si diceva nel congresso dell’Aja e come recentemente ha ribadito Papa Francesco a Strasburgo a significare che in questa coscienza come in ogni sguardo autentico sull’umanità non possono non ritrovarsi sensibilità secolari e religiose quando abbiano a cuore la realizzazione e non l’avvilimento dell’umano.
A noi – anche attraverso la riflessione di oggi – sta il dovere non solo di fare memoria, ma di dare attuazione ai dettami della Convenzione, di sostenere il lavoro della Corte e di dotarci di tutti gli strumenti anche parlamentari per migliorare gli standard di rispetto dei diritti umani dentro i nostri atti legislativi e amministrativi.
In altri Parlamenti vi sono specifici strumenti non solo per vigilare sull’esecuzione delle sentenze, ma anche per verificare la coerenza della legislazione con gli standard della Convenzione e dunque per prevenire contenziosi e possibili condanne. Nell’ambito del processo di riforma costituzionale che investirà i nostri lavori parlamentari sarà dunque opportuno rivisitare gli strumenti esistenti di monitoraggio, che hanno svolto un eccellente lavoro nell’ambito dei diritti umani, e potenziarne la funzione di prevenzione e armonizzazione al quadro giuridico europeo.
E’ a quel quadro che noi dobbiamo continuare a guardare con lo stesso coraggio del 1948, in cui non si temeva di chiedere con forza un’unificazione politica dell’Europa, un sistema di difesa comune, e appunto una comune cornice di diritti e uno strumento di tutela sovranazionale.