«Possibile che prima il nemico fosse Dellai, poi Pacher, adesso Rossi? No, non si governa facendo opposizione al proprio presidente». Bruno Dorigatti va giù duro con la minoranza interna. E alle parole di Donata Borgonovo Re («Pd appiattito su Rossi») ribatte: «Da soli non si va da nessuna parte, il Pd non va da nessuna parte. Dal mio ruolo istituzionale ho uno sguardo su tutta la coalizione e sono preoccupato. Rischiamo di buttare via vent’anni di buongoverno».
C. Bert, "Trentino", 2 dicembre 2015
Presidente Dorigatti, la consigliera Borgonovo dice che il Pd è un partito senza un progetto politico, appiattito sul presidente Rossi. È d'accordo? È evidente che il Pd vive una situazione di assoluta debolezza. D’altronde, le responsabilità sono anche di chi non ha voluto affrontare i problemi con un vero congresso e un vero confronto sui contenuti. Non trovo mai autocritica, in questo senso, nelle parole della consigliera. Sul fatto che siamo appiattiti sulle scelte del presidente, ribalto la questione: il Pd dovrebbe essere il soggetto che costruisce le scelte in modo condiviso, il vero motore della giunta, non quello che si limita a contestare o approvare le politiche del presidente. Il modo per non appiattirsi non è fare l’opposizione interna, ma definire strategie condivise e trovare la forza per portarle avanti.
Su quali temi secondo lei il Pd dovrebbe marcare la propria identità? Innanzitutto va ridefinito un modello organizzativo degno di un partito che si definisca democratico. Oggi vige il caos e l’improvvisazione: le imboscate sulla Finanziaria ne sono la dimostrazione più palese. Dopodiché, va rilanciata una cultura della responsabilità nei confronti della comunità che ambiamo a governare: i temi del lavoro, dello sviluppo economico, di un welfare equo e universalistico, la questione della mobilità sociale sono i campi su cui il Pd deve giocare la propria partita. In questo senso la riforma dello Statuto è un’opportunità enorme: dobbiamo esserne protagonisti, perché l’autonomia è parte integrante del patrimonio culturale della sinistra trentina. Sulla sanità è riesplosa una conflittualità interna.
Il problema è politico o soprattutto di rapporti personali interni deteriorati? Il problema è che di una singola questione, pur importante, si è voluta fare una guerra di religione. Questa doveva essere la legislatura della “salute e della solidarietà sociale”, e invece mai come oggi si parla solo di questioni sanitarie. Il consiglio e la giunta sembrano la dependance dell’Azienda Sanitaria, con temi di grande rilevanza che diventano una clava per lo scontro tra fazioni. In tutto questo, esplode il conflitto tra centro e territori: la politica, che dovrebbe unire, contribuisce a dividere. Una follia.
La minoranza interna sembra però l'unica area organizzata che ha una sua compattezza. È cominciata la sfida congressuale? Io mi auguro che finalmente si possa aprire un vero confronto interno. La situazione di oggi è anche figlia delle scelte di chi ha preferito non scegliere, e chi si riunirà sabato ha delle responsabilità enormi, avendo sostenuto l’elezione forzata di un segretario privo di un mandato chiaro: ora, infatti, si possono permettere di sbeffeggiarlo quando correttamente li richiama all’ordine. Un vero congresso permetterà di far emergere una dirigenza solida e una strategia politica.
Borgonovo distingue tra conservatori e innovatori del Pd. C'è chi dice governativi e antigovernativi. Il Pd trentino riuscirà a tenere insieme tutti si rischia la scissione? Cos’è l’innovazione? Far cadere la maggioranza? Bloccare i progetti condivisi dalla giunta e dalle parti sociali? Andare all’opposizione è innovativo? Qui la distinzione è una sola: tra chi si assume la responsabilità di portare avanti un’esperienza di governo che ha fatto del Trentino una terra con un buon livello di benessere e coesione sociale, e chi – convinto di essere depositario della verità – preferisce far da sé e individuare sempre il nemico nei partner di coalizione. Possibile che per questa corrente prima il nemico fosse Dellai, poi Pacher, ora Rossi? È il tipico atteggiamento di chi pensa “o comando io o non comanda nessuno”. Così il Trentino affonda.
Perché la maggioranza che per tanti anni si è riconosciuta nella leadership di Pacher oggi non riesce a trovare un leader, o quantomeno un candidato segretario? Il Pd non è riuscito a fare della sua pluralità una risorsa. Tutto questo poteva rimanere sotto traccia quando andava tutto bene, ma in una situazione di oggettiva difficoltà i nodi vengono al pettine. Non dimentichiamoci che se Pacher ha rinunciato alla presidenza della Provincia non è per colpa di Rossi o di Dellai, ma perché dentro il Pd qualcuno aprì contro di lui un vero fuoco di sbarramento. La storia si è ripetuta poco dopo, con Olivi. Ripartiamo da quegli errori: tutti coloro che non vogliono ripeterli, ora devono trovare una sintesi. Non contro qualcuno, ma per un progetto politico di rilancio del Trentino.