In questi giorni mi fa compagnia un librettino smilzo della Bollati Boringhieri che in cento pagine condensa la storia del maschilismo in politica, da Togliatti a Grillo, senza tralasciare nessuna delle tappe (anche gloriose) che hanno segnato il cammino della nostra Repubblica, costituzionale sì eppure «poco femminile».
Donata Borgonovo Re, "Corirere del Trentino", 22 novembre 2015
Nella scrittura lieve di Filippo Maria Battaglia si affacciano i pregiudizi, gli stereotipi e le storiche discriminazioni che hanno reso — e rendono tuttora — la presenza delle donne nei luoghi delle politica e delle istituzioni una snervante corsa ad ostacoli. Il titolo è fulminante — «Stai zitta e va’ in cucina» — ed ha una sua minacciosa ironia per quelle che, come me, in cucina non sono esattamente dei geni e dunque dovrebbero stare zitte e basta. Un po’ quanto accaduto recentemente a professioniste di valore invitate come uditrici al Sinodo sulla famiglia ma senza diritto di proposta né di voto, e con la possibilità di parlare solo se invitate a farlo: Lucetta Scaraffia, che certamente non è una pasionaria, in una intervista sul Corriere della Sera ha parlato di una «irreale e surreale misconoscenza del mondo femminile», estromesso dalle discussioni e dalle decisioni persino nei temi dove è più competente. «Un Sinodo sulla famiglia nel quale nessuna donna aveva diritto di voto: chi sa della famiglia più di noi?».
Eppure, ci viene costantemente ricordato che le donne rappresentano almeno la metà dei potenziali talenti di una nazione e che la mancanza (o la irrilevanza) di donne nei luoghi delle decisioni costituisce una ferita per la democrazia, impoverendone il dibattito pubblico e la capacità di «sortire insieme dai problemi», che è poi quanto ogni comunità chiede alla politica di fare. Abbiamo forse provato un breve momento di soddisfazione di fronte al Rapporto 2015 sul Global Gender Gap (un’analisi introdotta nel 2006 dal Forum economico mondiale per misurare le diseguaglianze tra i generi) che colloca l’Italia al 41° posto (su 145 paesi esaminati) con un sensibile miglioramento proprio nel settore della rappresentanza politica mentre permane significativo il divario con il mondo maschile nel settore dell’economia e del lavoro. In questo settore, peraltro, il Trentino in controtendenza ha visto crescere l’imprenditoria femminile: un «rinascimento color rosa» — come titolava qualche giorno fa questo giornale — che è ancora lontano dal raggiungere i numeri della media mondiale di imprese fondate e guidate da donne, ma che testimonia la vitalità e l’intraprendenza dell’altra metà del cielo, cui le istituzioni devono dare forza e sostegno.
Un aiuto può venirci dalla Carta delle donne del mondo, redatta dalle partecipanti agli Stati generali delle donne — che in occasione dell’Expo di Milano ha riunito donne di tutti i paesi, a vent’anni esatti dalla Conferenza mondiale di Pechino che molte di noi ricordano bene — che in 16 obiettivi indica il cammino dei prossimi anni nei diversi ambiti in cui si affaccia il mondo femminile. Famiglia, scuola, cultura, scienza, economia, lavoro, sanità, politica: andiamo verso un mondo che impari ad accogliere «le forme, le misure, i linguaggi, i colori delle donne». Verso un #insiemesipuò in cui donne e uomini contribuiscano a fare delle nostre comunità un luogo migliore, in cui tutte e tutti possano scegliere anche quando stare zitti e quando andare in cucina.