«Chi siamo?». La domanda che pone Donata Borgonovo Re non ha un’estensione esistenziale, si riferisce al Pd del Trentino, un partito in attesa di un congresso che nessuno sembra avere fretta di celebrare. L’ex assessora, che non nasconde di potersi candidare alla segreteria, non ne fa una questione di date. «Si può farlo anche a giugno, l’importante è darsi da subito una road map per costruire le mozioni».
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 13 novembre 2015
Guardando il suo partito da fuori, si ha l’impressione che l’assenza di una segreteria politica sia una condizione comoda un po’ per tutte le componenti, che coltivano i propri orti senza sentire il bisogno di una sintesi.
«Il problema non è celebrare il congresso a gennaio, ma dirci chi siamo, che idea abbiamo del Trentino dei prossimi 10-20 anni. Oggi il Pd chi è? È questa la domanda cui dobbiamo rispondere anche per poter essere degli interlocutori credibili per i nostri alleati».
Il rischio, però, è che la risposta ve la diate per la prossima legislatura e che, fino ad allora, il primo partito del Trentino sia poco più di un comitato elettorale.
«Il rischio di trasformare il partito in una scatola, in un comitato elettorale è reale. Infatti, quando dico che il problema non è fare le cose in fretta, intendo che dobbiamo impiegare questi mesi per riempire di contenuti le mozioni congressuali, che immagino debbano essere almeno due, ed evitare di mettere insieme un’assemblea programmatica a venti giorni da voto, magari seguendo il principio delle simpatie ed antipatie personali. Alcune commissioni sono già al lavoro, con alterne fortune, quella sulla sanità, ad esempio, ha lavorato molto bene. Quella urbanistica è stata riattivata per discutere dello spostamento del Not. Finito l’impegno sul bilancio, bisogna definire con la segreteria, il coordinamento e l’assemblea una road map che ci porti all’assemblea programmatica prima e al congresso poi».
Con l’anno nuovo, il Pd nazionale dovrebbe prendere una decisione sulle regole congressuali. Potesse deciderle lei, cosa sceglierebbe?
«Il nostro è un elettorato molto variegato, che non ha la compattezza di altri gruppi politici. Il numero degli iscritti è davvero minoritario (ad oggi il Pd ha circa 1.500 tesserati, ndr ). Circoscrivere il voto ai soli iscritti rischia di escludere troppe persone. Bisognerebbe trovare un sistema che eviti fenomeni di inquinamento del voto da parte di persone che non sono elettori del Pd, ma che consenta una vasta partecipazione. Da “Italia bene comune” di elenchi ne abbiamo».
L’Upt si prepara a celebrare un congresso piuttosto teso...
«Li abbiamo forse contagiati?».
Un congresso che si giocherà in buona parte sul rapporto da instaurare con il Pd. Dellai, in particolare, vorrebbe trovare un modo di avvicinarsi a voi conservando l’identità popolare. Mellarini guarda da tempo con più simpatia al Patt e a un rafforzamento del centro. Lei come vede questo percorso?
«Il Pd deve prima di tutto avere chiarezza di sé. Se si sa chi si è, dove si va, dove si è disposti a mediare e dove no, a quel punto si può dialogare. Io spero, però, che anche nell’Upt i contenuti vengano anteposti alle alleanze. La coalizione non è il fine, è il mezzo. Se ognuno saprà chi è, in vista delle provinciali del 2018, si potrà ragionare di temi e non di simpatia. Quanto a Dellai, mi ha sorpreso che i miei ex colleghi di giunta, che mi hanno sempre dato della divisiva, adesso diano del divisivo a lui».
Stando a quanto si dice nel suo partito, lei si starebbe già preparando al congresso. Si candiderà?
«Non lo escludo e non lo affermo. Lavoriamo prima sul progetto, sulle mozioni e poi decidiamo chi è più adatto a portare avanti una proposta».