INTERVISTA A LUCA ZENI - «Fusione delle case di riposo: unica Rsa Cambia la legge, risparmio di 15 milioni. Nel 2016 la riforma dei servizi sociali, con voucher e accreditamenti. Al via la riorganizzazione degli ospedali di valle: Tione, Cavalese e Borgo avranno il pronto soccorso e medicina interna, più una o più specializzazioni. Il resto passa a Trento, che può diventare un unicum con Rovereto».
P. Giovanetti, "L'Adige", 26 ottobre 2015
Assessore Zeni, come mai la sanità trentina ha un costo medio pro-capite più alto che nelle altre regioni? Come mai la Provincia di Bolzano è riuscita a diminuire la spesa, ma questa a Trento ha continuato ad aumentare, specie la spesa corrente? Ci sono inefficienze, mala organizzazione, sprechi, eccessiva dispersione di servizi costosi sul territorio?
I conti della sanità trentina sono sotto controllo, c'è una gestione trasparente, una certificazione di controllo, e siamo gli unici con la Toscana. I costi per alcuni aspetti più elevati sono legati a maggiori servizi, o a una maggiore distribuzione dei servizi sul territorio, e in parte anche a inefficienze. A tal proposito abbiamo deciso nell'ultima seduta di giunta una riorganizzazione della macchina sanitaria che porti a maggiore snellezza. Quello che ho notato è il rischio di eccessiva burocratizzazione della sanità trentina con una macchina amministrativa che rischia di essere troppo pesante. Per questo è stato dato mandato al direttore generale di programmare entro sei mesi la riorganizzazione. Questo dovrebbe portare almeno ad un milione di euro di risparmi l'anno e a una maggiore efficacia dell'azione dell'apparato.
Il vero risparmio però sarà sulla riorganizzazione della presenza sul territorio.
Prima di parlare della riorganizzazione sul territorio, e indicare qual è il nostro modello, teniamo presenti due aspetti che concorrono alla maggiore spesa standard. Uno il costo del contratto provinciale. I dipendenti della sanità in Trentino guadagnano più che nel resto d'Italia. Si tratta di 54 milioni di euro in più che questo comporta. La seconda voce di incremento sono le case di riposo, le Rsa, che comportano per il Trentino 50-60 milioni di spesa. Questo perché ne abbiamo di più: 4.500 quando gli standard sarebbero 2500-3000. Poi la quota pubblica della tariffa è di 69 euro, quando nel resto d'Italia è di 50 (cioè altrove la casa di riposo costa di più all'utente). E poi rispetto a Bolzano, questa voce loro la hanno sul capitolo del sociale e non sulla sanità.
La questione delle Rsa, però, è una questione cruciale. C'è l'invecchiamento della popolazione. Dal 2003 al 2013 la percentuale di anziani è aumentata del 18% rispetto al totale della popolazione. Più di 100.000 trentini oggi sono sopra i 65 anni. Questa spesa sarà destinata a crescere. Come pensate di farvi fronte?
Per migliorare il servizio specie in un'epoca di calo delle risorse, occorre una riorganizzazione che vada ad incidere sulla spesa della macchina. Oggi in Trentino abbiamo 41 case di riposo, 41 consigli d'amministrazione. Non c'è centralizzazione degli acquisti. Occorre un intervento radicale. La mia proposta è di passare dalle 41 case di riposo ad un'azienda unica, con un unico consiglio d'amministrazione, un solo direttore generale e dei coordinatori di strutture. Abbiamo calcolato un risparmi di 15 milioni di euro l'anno.
Dopo i Comuni, la fusione delle case di riposo. Servirà una legge. Che tempi vi siete dati?
Con il presidente Rossi abbiamo pensato a un disegno di legge regionale che preveda la possibilità di accorpamenti. Si crea un'unica Azienda provinciale per i servizi alla persona, da realizzarsi entro il 2017 portando il risparmio a regime entro il 2021. Il personale amministrativo in eccesso potrà essere collocato in altre amministrazioni. Avremo un risparmio sugli acquisti, un miglioramento potenziale della gestione del patrimonio, del personale, dei posti letto. In più un'assistenza medica comune, che vuol dire medici che ruotano nelle varie strutture a seconda della necessità. Inoltre l'azienda unica ci permette di rendere omogenea la retta alberghiera che oggi è diversa in ogni casa di riposo (anche 10 euro di differenza fra una e l'altra).
Ci saranno non poche resistenze. Che fine farà l'Upipa? E il collegamento con i territori come verrà garantito?
Resistenze ci saranno sicuramente, perché vuol dire doversi rimettere in gioco, sapendo che bisogna trovare il modo di collegamento forte con il territori. Io penso a dei comitati. Dobbiamo avere l'obiettivo ben preciso davanti a noi: si tratta di un'innovazione di sistema,che porta migliori servizi a minori costi. Ora avvieremo un confronto con il territorio, presentando nei dettagli il progetto. Per quanto riguarda l'Upipa, il ruolo è evidentemente superato. Quindi non serve più.
Sul personale ci sarà battaglia.
Va messo nel conto un ridimensionamento numerico dei direttori e dei dipendenti amministrativi: quelli con contratto a termine non saranno più confermati, mentre per gli amministrativi di ruolo si passerà alla mobilità fra enti pubblici. Non credo invece si dovrà ridimensionare il personale assistenziale, perché quello è parametrato sulla singola struttura. Si tratta di una riforma importante, ma non è l'unica che vogliamo attuare. Anche sul sociale bisogna avere idee nuove.
Cosa vuol dire? Come si modificherà l'organizzazione dei servizi sociali in Trentino?
Per quanto riguarda i servizi sociali classici (quelli per anziani, disabili, non autosufficienti), puntiamo a una riforma complessiva del sistema, passando dal convenzionamento all'accreditamento. Cosa vuol dire? Che non si provvede a fornire un servizio, ma si affida la persona alla realtà che dimostra di saper prendere in carico chi ha bisogno nell'interezza delle sue necessità. Noi oggi abbiamo 900 realtà convenzionate di cui dobbiamo verificare i requisiti organizzativi. In futuro basterà accreditarsi con la Provincia, e poi sarà l'utente a scegliere ciò di cui ha bisogno attraverso il sistema dei voucher. Insomma, leghiamo l'accreditamento con il tema dei voucher.
Cosa cambia per l'utente?
Il nuovo sistema lo sperimenteremo a breve sulla città di Trento. Non ci sarà più l'assegno, l'assistenza domiciliare, la consegna dei pasti a domicilio, organizzati in maniera separata e frammentata. Al centro ci sarà la persona utente (anziano, non autosufficiente, eccetera) con a disposizione il voucher, che sceglierà di utilizzare come meglio crede, optando per il servizio più adatto per lui. In tal modo il sistema dei voucher consentirà anche lo sviluppo di un'impresa sociale dinamica ed efficiente, per rispondere ai bisogni sociali sempre più differenziati. Insomma, si affida l'assistenza ad un unico soggetto che risponde al meglio alla gestione complessiva dell'utente. Passare a tale sistema vuol dire anche costringere le realtà che si occupano dei vari servizi a rimettersi in gioco, superando la frammentazione con una visione d'insieme, offrendo un servizio completo. Chi ha maggiore capacità di innovazione e di efficienza, verrà premiato. La regia resta pubblica che garantisce la valutazione della capacità dell'intervento.
Come avverrà la valutazione dei costi, e dei livelli di erogazione del servizio? Verrà utilizzata l'Icef per tutti?
L'Icef sarà il riferimento per tutti gli interventi fatti dall'ente pubblico, e per l'erogazione di servizi, evitando però che vi sia un accumulo di servizi sotto una certa fascia di reddito e nulla sopra. Occorre una gradualità per evitare il rischio di assistenzialismo, altrimenti chi è sotto una certa fascia non fa nulla perché gli è dato tutto come garantito.
Che tempi vi siete dati per far entrare a regime il nuovo sistema?
Basta solo attuare la legge del 2007, che è rimasta in parte disattuata. Procederemo con entrambe le cose, sia l'accreditamento che i voucher, entro il 2016. L'obiettivo è di favorire una maggiore imprenditorialità sociale, dentro un sistema integrato non lasciato solo al mercato, con regia pubblica e accompagnamento nella scelta dei soggetti più fragili. In più è anche una questione di revisione e equità della spesa. Oggi abbiamo realtà (Onlus, cooperative) che per lo stesso servizio percepiscono alcuni 145 euro al giorno, altri 75, perché storicamente si è sempre fatto così. Noi dobbiamo garantire standard minimi per tutti, poi se si vuole un livello più alto ci deve essere una compartecipazione dell'utente.
A proposito di sociale, oggi nel campo dei servizi sociali le Comunità di valle giocano un ruolo non indifferente. Ogni anno gestiscono 100 milioni di euro: come sta andando il servizio? Avete già svolto delle verifiche?
Sicuramente le Comunità sono vicine al territorio e quindi utili nella lettura del bisogno, ma è necessario una verifica da parte della Provincia sia dell'impostazione che della realizzazione. Io vedo il rischio di una eccessiva frammentazione (che genera disequità). Occorre ribilanciare un po', riassegnando alla Provincia un maggiore coordinamento e una regia unitaria, rispetto a quanto è stato fatto finora.
Passiamo alla riorganizzazione della rete ospedaliera. Oggi la sanità trentina costa 70 milioni in più per la distribuzione sul territorio. E molto spesso gli ospedali di vallata non sono nemmeno frequentati dagli utenti di zona che preferiscono andare a farsi curare nell'ospedale di Trento o di Rovereto.
La riorganizzazione è necessaria non solo per risparmiare costi, ma per offrire migliore servizio. Avere sette ospedali che sono in piccolo sette S.Chiara non è un problema di costi, è un problema di inefficienza, di peggiore qualità del servizio.
L'ospedale di valle non può avere la risposta alla totalità dei bisogni, sarà il Not il cuore della sanità trentina per i prossimi 40 anni. Lì si concentrerà tutta l'urgenza, la disciplinarietà, la casistica e la specialità, e la risposta alle problematiche di altissima specializzazione. Per questo occorre accelerare nella costruzione. Tra il resto il S.Chiara ci costa 13 milioni l'anno di manutenzione.
"A Mattarello andranno pure gli uffici dell'Azienda"
Assessore Zeni, quali servizi avranno gli ospedali di vallata e cosa andrà al Not?
Gli ospedali di valle avranno 1) il Pronto soccorso (oggi abbiamo 100.000 accessi al S.Chiara e 100.00 suddivisi fra i vari ospedali, e questo resterà) e medicina interna. Non le urgenze. Tutta la problematica complessa passa a Trento. 2) Svolgeranno l'assistenza vicina a casa per il post-acuto, dopo che l'utente ha fatto l'operazione al Not; 3) la specializzazione per alcune tipologie di casistiche, diventando per quella il centro provinciale. Questo vuol dire che da tutto il Trentino si andrà in quell'ospedale per quella tipologia di cura, che offre alto livello di specializzazione. E in tal modo si garantisce ai professionisti che vi operano un'alta casistica. Nelle prossime settimane definiremo tutte le specializzazioni per ciascun ospedale.
Dopo tante traversie, che tempi realistici vi siete dati per la realizzazione del Not, il Nuovo Ospedale del Trentino?
Entro il 2020 deve essere funzionante, siamo già fin troppo in ritardo. Io sono per la sua dislocazione a Mattarello. Non si può ridurre tutto ad una questione tecnico-urbanistica. Se facciamo un nuovo ospedale dobbiamo valutare ciò che è meglio dal punto di vista sanitario. E io ritengo che Mattarello offra maggiori garanzie. Alle Ghiaie abbiamo un'area contenuta, con il fiume dietro, la tangenziale davanti.
Su Mattarello a breve verrà perfezionata la revisione dell'accordo con lo Stato. È un'area omogenea, regolare, più vasta. Ci consente di riprogettare il nuovo ospedale in maniera modulare, in funzione di quelle che potranno essere le novità future. Nel corso degli anni cambiano le tecnologie, le necessità. Il Not dovrà servire per almeno 40 anni. Non possiamo limitare oggi i bisogni che potranno nascere fra 30 anni per una migliore sanità, costruendolo in un ambito ristretto e senza sbocchi ulteriori.
Sono previsti sempre 600 posti letto anche nel progetto di Mattarello, o saranno di più dato che da più parti si è criticato che erano pochi?
No, non ne servono di più, perché gli ospedali di valle diventeranno il luogo del post-acuto. Al Not c'è l'intervento, poi si passa per la degenza all'ospedale sul territorio.
Quello che Mattarello ci offre è la possibilità di realizzare non un ospedale, ma una «cittadella della salute». L'idea è di concentrare a Mattarello i servizi sanitari sparsi per il territorio sul comune di Trento, creando un riferimento unico. Pensiamo alla scuola di infermieri, dove paghiamo parecchi soldi di affitto; Villa Igea; i servizi ambulatoriali vari che possono essere portati lì, razionalizzandoli. Anche la sede amministrativa di via Degasperi può essere concentrata lì a Mattarello. Il progetto prevede questo.
Ma la sede dell'Azienda non è di vostra proprietà?
Si può dismettere e creare un riferimento unico della salute. Ricordiamoci che abbiamo già speso 35 milioni per quelle aree perché doveva diventare cittadella militare. Adesso non possiamo lasciare l'area lì inutilizzata.
Gli ospedali di Trento e Rovereto andranno intesi come un unicum? Cioè un unico polo ospedaliero con alcune discipline (oculistica o otorino per fare un esempio), dislocate a Rovereto e altre invece a Trento?
Ci stiamo riflettendo. Se pensiamo ad un unico ospedale gestito su due poli, è chiaro che alcuni doppioni che si creano non hanno più ragion d'essere, non sono più funzionali. Certo intendendo Trento-Rovereto come un unico ospedale si può modulare differenziando le necessità.
Certo che Protonterapia a questo punto rimane lì da sola, senza più una struttura ospedaliera attorno. Ha senso?
Protonterapia è stata progettata anche per essere autonoma, sganciata dalla struttura ospedaliera. Questo me l'ha confermato l'ideatore, il dottor Renzo Leonardi. La tipologia di utenti che ha bisogno di ricovero ospedaliero è molto bassa. Quello che invece occorre fare è attrezzare l'area attorno per l'accoglienza dei familiari, anche in un'ottica di attrattività da fuori regione.
Come sta andando Protonterapia, dopo un anno di funzionamento. È arrivato l'accreditamento nazionale e l'inserimento della struttura trentina nei Lea, i livelli essenziali di assistenza?
Ad un anno dalla partenza il primo turno è pieno. Abbiamo una cinquantina di utenti trattati. Siamo ancora lontani dai 700 previsti, ma finora Trento non era ancora inserita nei Lea. Nelle prossime settimane il ministero ci ha garantito che Protonterapia sarà inserita dentro i Lea per una serie di tipologie tumorali, soprattutto quelli infantili. Questo garantisce il salto perché invece di muoversi con fatica, rivolgendosi alle regioni, si è inseriti dentro il quadro nazionale.
Che valutazione dà del sistema di medicina generale in Trentino, i cosiddetti medici di base? Da più parti si sente dire che è il tallone d'Achille della sanità trentina, e che ha bisogno di un'urgente riorganizzazione, al di là della qualità dei singoli medici che sicuramente c'è.
Per me la riforma dei medici di medicina generale ha priorità assoluta. L'attuale organizzazione è ancora legata ai vecchi schemi del medico della mutua, di decenni fa. Il mio obiettivo è di aggregare i medici sul territorio. In città è più facile ed è già in parte attuato. Ora occorre estenderlo nelle valli, individuando un luogo fisico, sfruttando il patrimonio che abbiamo, utilizzando spazi disponibili, e lì concentrare i medici di creando un presidio di riferimento costante per il cittadino. Unendo in questi luoghi i medici di medicina generale e le guardie mediche possiamo creare un centro di medicina assistenziale che copre le 24 ore. Deve cambiare il ruolo del medico, la sua capacità di interazione, di collaborazione con gli altri medici, migliorando la qualità dell'offerta.
Quindi verranno meno gli ambulatori di paese.
L'obiettivo è creare questi luoghi della salute sul territorio, che verranno incoraggiati anche mettendo a disposizione spazi. In Finanziaria prevediamo degli incentivi, assegnando ai medici tali strutture gratuitamente (ricordiamo che sono liberi professionisti convenzionati). Invece di avere un aumento in busta paga, cercheremo di dare una riorganizzazione vantaggiosa anche per il singolo medico. Poi ogni medico di base valuterà se mantenere anche uno sportello di paese, o se questo diventa invece superfluo.
Teniamo presente che la media dei medici di medicina generale è di uno ogni 1400 pazienti. Creando dei luoghi unitari, il cittadino sa che, se anche il proprio medico di base non c'è, trova un riferimento, e non deve andare al pronto soccorso. Si può creare anche un supporto di segreteria e per la diagnostica di base (Mezzolombardo ne è un esempio).
Che tempi avete per tale riorganizzazione?
Ho dato mandato all'Azienda di considerare questa una priorità assoluta. Stiamo individuando le zone. Mezzolombardo è già partito, Ala sarà il prossimo, e poi via via tutto il Trentino. Settimana prossima sarò in consiglio comunale ad Ala e valuteremo la completezza del presidio.
Il sistema è da riformare, ha detto. E sulla qualità dei medici di base che giudizio dà?
C'è una grande qualità di professionalità, di disponibilità, di messa in gioco personale, ma trovo anche una eccessiva sindacalizzazione, che rischia di diventare una sindacalizzazione corporativa e non propositiva. La mia esortazione è che riacquistino il loro ruolo, prendendo coscienza della centralità del medico di base, diventando protagonisti del processo di riorganizzazione.
Assessore, lei sa che una delle lamentele maggiori degli utenti sono le liste d'attesa? Si riuscirà una buona volta per tutte a ridurle, se non proprio eliminarle?
Il sistema dei Rao (Raggruppamenti di attesa omogenei) funziona. Il 90% dei tempi d'attesa (10-20-30 giorni a seconda dell'urgenza) è rispettato. I problemi maggiori si registrano quando non c'è urgenza. Se guardiamo ai numeri ci sono discipline (per esempio oculistica o urologia) che hanno numeri più alti (anche 45- 60 giorni) che pure senza urgenza dovrebbe risultare indubbiamente più brevi.
E sui calendari delle visite? È mai possibile che le agende da un anno all'altro non siano aperte, e quando aprono sono giò spesso tutte esaurite.
Questa è una cosa su cui dobbiamo cambiare assolutamente. Quando faccio una visita devo avere fissata anche quella successiva dell'anno dopo, se si tratta di visite periodiche. Non si può dire: non c'è il calendario, e poi costringere l'utente a chiamare per inserirsi nell'agenda. Se poi c'è una data da modificare deve essere la struttura che chiama l'utente. Su questo va cambiato sistema.