Sì è vero, stiamo attraversando una fase di trasformazione dalla società collettiva alla società dei singoli come ha scritto nei giorni scorsi il Direttore Faustini. Ancor di più, a mio avviso, si fa strada l’idea, anche in Trentino, che il governo della cosa pubblica, la polis insomma, sia questione che non debba coinvolgere più di tanto la politica ed i partiti quanto piuttosto chi è più capace di fare da solo e soprattutto in fretta. A questa situazione hanno contribuito, sia chiaro, proprio gli stessi partiti o meglio ancora una certa classe dirigente.
Alessandro Olivi, "Trentino", 23 ottobre 2015
Quella classe dirigente che, scollatasi completamente dalla normalità del vivere quotidiano, ha trasformato questi ultimi in sovrastrutture che hanno finito per dar vita ad una connivente oligarchica per di più impegnata a perpetuare sé stessa. Questo è uno dei motivi per cui l’Italia da molti anni è rimasta di fatto bloccata nella sua spinta riformatrice, ossia intrappolata di opposti ma convergenti conservatorismi. Sia da una parte che dall’altra non si voleva un vero cambiamento. Detto ciò per riuscire a dare risposte non evasive ma concrete ai bisogni della Comunità dall’economia al lavoro, dall’efficienza della Pubblica Amministrazione all’equità e solidarietà del welfare, non si può prescindere dal restituire alla politica la funzione per cui è stata inventata.
Ove funzionano, i partiti sono luoghi in cui si seleziona il ceto di governo, dove si compete per il consenso, dove si affinano le idee e si costruiscono i programmi, dove si incontrano le esperienze e le competenze. Dove in sostanza si impara ad avere un’idea di Comunità alla quale rispondere. Nel recente passato la nuova destra di Berlusconi aveva teorizzato di fatto la scomposizione della società in singole particelle con cui instaurare un rapporto di loro diretta relazione con il leader che tutto può. Anche il movimento Cinque Stelle non è del tutto esente dal vincolo di subordinazione al carisma del capopopolo. Ed alcuni dei recenti Sindaci delle più grandi città d’Italia hanno cercato di accreditarsi come tanto più capaci quanto più in grado di presentarsi come altro dai partiti.
Ma è questa la soluzione? Io credo di no in quanto ogni tentativo che cerchi disintermediare l’esercizio del governo da un’idea forte di collettività è destinato a fallire perché nessuna organizzazione complessa può essere retta senza un popolo e una comunità che si dia un sistema di rappresentanza degli interessi più generali. Il Partito Democratico pur nelle sue incertezze rappresenta oggi il principale antidoto al dilagare di quest’idea di società dell’io, che costringe spesso le istituzioni meno robuste a rincorrere le istanze individuali od i singoli gruppi di interesse.
Ma è il PD per primo a dover dimostrare la convinta determinazione di voler reinvestire nella costruzione di un pensiero collettivo e condiviso. Ed anche in Trentino il PD sarà in grado non di rivendicare soltanto ma di diventare davvero il baricentro di quel centrosinistra autonomista che per non snaturarsi non può prescindere dalle idee e dall’apporto di cultura politica dell’unica forza oggi capace di essere interprete di un’Autonomia che valorizza le sue prerogative in un rapporto di interdipendenza con la Nazione e l’Europa. Come vado ripetendo da tempo, è dunque il PD prima di tutto a dover ricostruire il suo “senso” di forza popolare e progressista, moderna e plurale, che si propone come credibile forza del cambiamento. Senza nostalgie e sterili competizioni tra antagonismi interni che si contrappongono non per il primato del progetto comune ma spesso per escludere qualcuno. Costruire un baricentro nel Partito Democratico vuol dire superare da un lato l’idea per cui la ragione e la verità stanno sempre da una parte sola in una sorta di auto celebrazione del proprio primato morale e culturale, e dall’altro quell’inclinazione al consociativismo di comodo di chi decide di non assumersi fino in fondo la responsabilità del governo, preferendo far decidere ad altri accomodandosi in seconda fila.
Ed invece proprio in questa fase c’è bisogno di assumere fino in fondo la sfida di volerla guidare questa Provincia, ossia di contendere la leadership politica della coalizione sia pure garantendo lealtà e trasparente collaborazione nelle istituzioni e per l’interesse primario del Trentino. Nella società dell’antipolitica o in quella in cui i partiti inseguono solo il consenso diventando indistinti contenitori elettorali, il PD è destinato (quando va bene) ad arrivare secondo. Non vi è dunque alternativa se non quella di tornare ad essere un partito vero, ossia una comunità politica che si regge su vincoli di solidarietà interni e che in un rinnovato spirito “ulivista” raccoglie attorno a sé le migliori idee e sensibilità del popolarismo trentino che è il contrario di una federazione di uomini soli al comando. Il problema infatti non è Renzi, che ha il talento per interpretare il suo ruolo, quanto il fiorire in giro di pessime imitazioni.