Nel solco della continua costruzione di una nuova e coesa comunità europea, recentemente le lande nebbiose di un paesino della Bassa Austria, Mitterndorf an der Fisha, poco distante da Vienna, hanno accolto un importante momento di riflessione comune attorno alla memoria della deportazione trentina nel primo conflitto mondiale.
Bruno Dorigatti, "L'Adige", 9 ottobre 2015
Dentro le parole dell'Ambasciatore d'Italia in Austria, Giorgio Marrapodi, delle autorità austriache e della partecipazione dei Comuni trentini, rappresentati dal sindaco di Vermiglio Anna Panizza, m'è parso di cogliere non solo il doveroso impegno del ricordo di quanti subirono quegli eventi soffrendo e morendo fra quelle brughiere, ma anche - e forse soprattutto - il desiderio di superare ciò che allora divise, per dar corpo insieme ad una nuova idea d'Europa delle genti, ancor prima che della politica o delle Istituzioni. I nostri profughi vissero lo spaesamento della deportazione nei territori dell'impero come una sorta di violenza quotidiana, tale da spingere l'allora deputato al Parlamento viennese Alcide De Gasperi ad affermare: «Trattati non come cittadini, bensì, più o meno bene a seconda del modo di vedere e del punto di vista individuale, come oggetti da amministrare. Evacuati, istradati, perlustrati, accasermati, come se non avessero alcuna volontà propria, come se non avessero alcun diritto». Ma gli altri, quelli che invece vennero trasferiti nelle regioni del regno d'Italia, non ebbero sorte migliore. Considerati «italiani» dagli austroungarici e «tedeschi» dagli italiani, i profughi trentini pagarono ogni giorno il prezzo di un'identità plurale e di una storia che li aveva sempre visti come il vero «popolo del confine».
Oggi, mentre il nostro commosso ricordo si sofferma, quasi stupito, davanti a quei volti, sempre privi di sorriso e segnati dal dolore e dalla fatica di «non essere» comunque, assistiamo al rinfocolarsi di inutili contrapposizioni, dove ognuno pretende di essere portatore di quelle verità assolute che mai appartengono alla storia reale. Non credo servano nuovi revisionismi, quanto piuttosto riletture pacate. Non reputo che ci si possa ancora dividere sul delicato terreno di memorie che hanno sempre pari dignità. Non ritengo necessario scavare ancora il passato per separare il futuro. Il ciclico ritorno della polemica, che pare destinata ad accompagnare anche i mesi che verranno, non serve ad affermare alcunché. Le nostalgie preconcette infatti non verranno scalfite da nessun ragionamento sensato, ed il faticoso lavoro di ricostruzione del tessuto interetnico di queste terre che dura ormai da decenni rischia di venir compromesso irrimediabilmente, segnando ancora solchi ed incomprensioni fra memorie incapaci di considerare le ragioni dell'altro. La riscoperta della tragedia delle deportazioni, l'anniversario battistiano e l'adunata degli Alpini non possono ridursi ad essere ancora sterile terreno di scontro, ma debbono invece diventare occasioni di reciproca conoscenza, di ritrovato rispetto, di condiviso cordoglio e di consolazione nel ricordo, ma anche di nuova linfa europeistica, di solidale accoglienza davanti al ripetersi dei drammi che le guerre sempre innescano, di apertura al dialogo con memorie che sono di tutti.
Non è brandendo la clava degli improbabili ricorsi o degli aprioristici dinieghi che si scioglie il complesso nodo delle tante storie di questa terra, ma è invece riscoprendo, fino in fondo, il valore straordinario delle nostre originali strumentazioni culturali e politiche, delle solidarietà reciproche, del medesimo rispetto dei Caduti che ha permesso a queste valli di non essere un perenne luogo d'odio, bensì un laboratorio di convivenze pacifiche e di progettazione del futuro. A questo servono le memorie che, in quelle campagne di Mitterndorf, ancora raccolgono la domanda di pace e di tolleranza dei nostri padri, memorie che la terra d'Europa custodisce nel suo grembo.