«Dalla riforma del Senato potevamo uscire con le ossa rotte e invece ne usciamo vivi, con una clausola di salvaguardia della nostra autonomia che cercheremo di blindare», assicura il senatore Giorgio Tonini, renziano del Pd, tra i più convinti sostenitori del ddl Boschi che in questi giorni sta attraversando le forche caudine del Senato.C. Bert, "Trentino", 5 ottobre 2015
«Portiamo a casa questa riforma e aiutiamo l’Italia a uscire dai guai - avverte Tonini - solo dopo potremo aprire una fase di revisione dello Statuto di autonomia, ma ad una condizione: che ci sia un patto di ferro fra Trento e Bolzano».
Senatore Tonini, perché la riforma del Senato è così decisiva per le sorti dell’Italia? Per due ragioni essenzialmente. La prima è che superiamo il bicameralismo perfetto, che era un compromesso infelice fatto dalla Costituente per rafforzare il contrappeso parlamentare rispetto al governo. Un meccanismo che allunga i tempi di approvazione delle leggi ma soprattutto che, chiedendo la fiducia al governo in due Camere, rende difficile una maggioranza chiara e un’investitura piena del governo. Con questa riforma la sera delle elezioni avremo una maggioranza chiara e finiremo di avere governi che durano un anno e mezzo.
Il secondo motivo? Il nuovo Senato sarà la Camera dei territori, porterà le Regioni, e in parte i Comuni, a Roma, dove saranno coprotagonisti del potere legislativo. Il Senato avrà infatti un ruolo paritario nei processi di revisione della Costituzione, sarà la sede dove si negozierà l’equilibrio delle competenze tra Stato centrale e territori. Resta il fatto che questa riforma riaccentra molte competenze nelle mani dello Stato. Questo è vero per quanto riguarda il Titolo V, ma questo ritorno al centro è ampiamente compensato dal ruolo delle Regioni nel futuro Senato. Se le Regioni sapranno riconquistare il ruolo e la credibilità che hanno perso, nulla impedirà loro di riconquistare spazio.
E la nostra autonomia che fine fa? Le autonomie speciali non sono amate in parlamento, in più noi siamo piccoli e deboli, invidiati dalle grandi Regioni ordinarie del Nord. Ma ne usciamo vivi. Fra Trento e Bolzano avremo 4 senatori (su 100), proporzionalmente di più di Regioni con più abitanti come le Marche e la Sardegna.
Basteranno per il futuro la clausola di salvaguardia e il meccanismi dell’intesa? La sfida che abbiamo davanti è che le trattative separate con Roma non basteranno più, dovremo abituarci a negoziare e stabilire relazioni politiche forti con le altre Regioni che avranno peso in Senato. L’autonomia si difende dentro l’interesse del Paese.
Aprire oggi la fase di riforma dello Statuto, spinta da Rossi e Kompatscher, è un’esigenza o un rischio? Possiamo aprire questa fase solo a due condizioni: avere poche idee chiare e puntuali, e avere idee comuni tra noi e Bolzano, a partire dal futuro della Regione. Se andassimo a Roma con idee confuse o diverse, per noi trentini sarebbe la catastrofe. Serve un patto di ferro fra Trento e Bolzano.
Quali competenze immagina per la Regione riformata? La Regione è stata vissuta come un torto storico dagli altoatesini, poi si è rimediato con l’intelligenza dei leader politici. Occorre far crescere un sentimento regionale, che non vuol dire essere attaccati alla Regione istituzione ma diventare una comunità che parla tre lingue e lavorare insieme sulla sanità, sull’asse del Brennero, sulle infrastrutture. Dire insieme sì alla ferrovia e no alla Valdastico e alle autostrade.
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