Inutile girarci intorno: quello dei profughi è l'argomento che tiene banco da qualche settimana a questa parte, sia a livello europeo, sia a livello nazionale, sia a livello locale. Se ne parla sui quotidiani, se ne parla tantissimo (e spesso a sproposito) sui social network, se ne parla al bar e a tavola e le opinioni sono spesso opposte. Ma vediamo la situazione in Trentino, cifre e dati alla mano.
"L'Adige", 2 settembre 2015
I numeri.
Solo nel 2015, quindi in otto mesi e due giorni, attraverso il Mediterraneo sono giunte in Europa 322.501 persone. Sarebbero state 2.498 in più se il mare non si fosse preso la loro vita. In Italia ne sono arrivate 115.500: freddi numeri, che evidenziano la portata del fenomeno migratorio ma ne sottolineano solo in parte la drammaticità. I migranti vengono distribuiti sul territorio nazionale in proporzione: un funzionario statale e una calcolatrice, e così al Trentino spetta circa lo 0,9% delle persone accolte a livello nazionale. Il Ministero dell'Interno ha fissato un numero, che è di 810 migranti. Ad oggi, o meglio a ieri, in provincia ce ne sono 790 (erano 727 a inizio agosto). Da marzo 2014 gli arrivi sul nostro territorio sono stati 1.660. E quegli 870 "mancanti"? Che fine hanno fatto? Si tratta di persone che, dopo essere state soccorse in mare, sono giunte al centro di Marco ma poi hanno deciso di non fermarsi in Trentino e di andare, nella maggior parte dei casi, verso nord. L'assessore competente, Luca Zeni, ha concluso due giorni fa una lunga serie di incontri con gli amministratori locali per spiegare le intenzioni del governo provinciale nella gestione di questa emergenza. Su 111 Comuni 110 hanno detto sì alla richiesta di impegno nei confronti dei profughi. L'unico no è arrivato da Avio e dal sindaco Secchi.
I costi.
Lo Stato mette a disposizione una cifra di 30 euro al giorno per ogni profugo. Gran parte di quella cifra arriva da fondi europei. In Trentino si risparmia e per ogni profugo vengono spesi 27,50 euro. La ripartizione è piuttosto netta e chiara: 12,50 euro per vitto e alloggio, 9,50 euro per "cure personali" (leggasi vestiti, medicine, sapone ecc?), 1,50 euro per la formazione (corsi d'italiano, ad esempio) e la stessa cifra per generi di prima necessità. I 2,50 euro rimanenti restano nelle tasche della singola persona, se vuole comprarsi un caffè o le sigarette, per intenderci. I 27,50 euro vengono quindi spesi totalmente sul territorio. Ma quanto deve sborsare un Comune per ospitare un profugo? Esattamente zero euro. E quanto spende la Provincia per ospitare un profugo? Altrettanto esattamente zero euro. Luca Zeni conferma: «Una delle "accuse" che vengono fatte in merito alla gestione dei profughi è che si sottraggono soldi ai trentini. Questo non è assolutamente vero perché, appunto, si usano dei fondi statali: Provincia e Comuni non tirano fuori nemmeno un centesimo. E, attenzione, quei soldi non potremmo utilizzarli per altri scopi, come costruire una scuola o fare una pista ciclabile: sono fondi destinati esclusivamente alla gestione dell'emergenza profughi». Lo stesso concetto è espresso dal sindaco di Isera, Enrica Rigotti: «Se vogliamo l'unico costo che abbiamo è qualche ora di lavoro di un funzionario dell'ufficio anagrafe o di qualche amministratore. Ma di fatto dalle nostre casse comunali non tiriamo fuori nemmeno un euro». Un concetto diverso da quello del sindaco di Avio Secchi, che spiega con ragioni economiche il no ai profughi.
Chi sono.
L'identikit dei 790 profughi attualmente in Trentino è quello di giovani (la media è di circa 25 anni), maschi (sono poche le donne e le coppie presenti) e di provenienza molto varia, dalla Libia ma anche dal Paesi subsahariani e asiatici. Ci sono anche dei minori.
Le richieste di Zeni.
L'assessore negli incontri dei giorni scorsi ha chiesto ai comuni un aiuto. «Nelle riunioni ho invitato sindaci e assessori a collaborare con la Provincia soprattutto nella ricerca di immobili che possano ospitare i profughi, fermo restando che si tratterà sempre di piccoli nuclei, perché crediamo sia più facile gestire e integrare queste persone se si tratta di numeri ridotti. Se i Comuni non hanno a disposizione immobili, cerchiamo di lavorare con le Diocesi, mentre la terza opzione è quella dei privati. L'altra richiesta è quella di coinvolgere i profughi in attività di volontariato, al fine di facilitare la loro integrazione. Pur con sensibilità diverse, tutti, o quasi, hanno detto sì, spinti soprattutto dalla consapevolezza del dramma in corso nel Mediterraneo e per un dovere etico. Le perplessità più frequenti? La paura di essere lasciati soli e le richieste di cittadini in difficoltà convinti che l'arrivo dei profughi vada a loro discapito. Ma, come detto, non è così».
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