Venerdì 14 novembre scorso, a Segno, nel cuore dell'allora nascente comune di Predaia, il Partito Democratico della Val di Non aveva promosso un incontro pubblico tra gli amministratori della valle (ma ce n'erano da mezzo Trentino, a cominciare dalla Valsugana) e il mio amico Luca Menesini, il giovane sindaco «dem» di uno strano comune toscano: Capànnori, in provincia di Lucca, ben 46 mila abitanti, ma dispersi in 40 frazioni, ciascuna aggrappata al suo bel campanile, 50 abitanti la più piccola e 5 mila la più grande, sparse dalla pianura fino alla mezza montagna.
Giorgio Tonini, "L'Adige", 11 giugno 2015
Un comune grande per territorio, complesso sul piano socio-economico, plurale come una grande vallata trentina. Ma, da secoli, da molto prima che arrivassero il fiscal compact e la spending review, amministrato da un solo sindaco e un solo consiglio comunale.
Un comune efficiente, ma non per questo meno partecipato e solidale.
Un comune all'avanguardia, per livelli di sviluppo, ma anche di qualità sociale: primo in Italia nella raccolta differenziata, tra i primi per l'assistenza domiciliare agli anziani, o per la pratica del bilancio partecipato. I coraggiosi sindaci della Predaia, dopo quelli della Val di Ledro pionieri della fusione dei comuni trentini, quella sera accusarono il colpo: pensavamo di aver fatto un'impresa, ammisero ridendo, e qui ci si propone, in buona sostanza, di fare di tutta la Val di Non un solo comune... La serata finì davanti a una birra, a Mollaro, con un brindisi per le fusioni in Trentino. I valsuganotti Pedenzini e Pasquazzo tornarono dalla valle del Noce a quella del Brenta, più determinati che mai a sostenere la fusione delle pievi attorno a Castel Ivano.
A distanza di pochi mesi, si può dire che mai brindisi fu tanto fortunato: con il voto di domenica scorsa, che ha coinvolto 24 mila trentini in 55 comuni, ben 19 mila hanno votato a favore delle fusioni e solo 5 mila contro, 45 comuni si sono fusi in 15 e dai 208 comuni (erano 223 solo pochi anni fa) si è scesi a 178. La sola Val di Non ha visto realizzate, sulla scia della Predaia, tre nuove fusioni, che hanno coinvolto 8 comuni. Ora si ragiona di fusioni in Alta Anaunia e sulla terza sponda. Il comune di Castel Ivano, in bassa Valsugana, è diventato realtà. Giacomo Pasquazzo ha conquistato la poltrona di primo cittadino di Ivano Fracena (il più giovane sindaco del Trentino) al solo scopo di riunire la sua piccola comunità, dal nome blasonato, al neonato comune frutto della fusione di Strigno, Spera e Villa Agnedo. E Attilio Pedenzini potrebbe diventare presidente della Comunità di Valle Valsugana-Tesino proprio in forza del suo impegno per le fusioni.
Ha dunque ragione il direttore Giovanetti: coi referendum di domenica scorsa, i cittadini si sono dimostrati più avanti dei politici. Per anni si era detto che non era possibile risolvere con le fusioni il problema della eccessiva frammentazione dei comuni, perché «la gente era contraria, non ne voleva sapere, non ci sarà mai il consenso». Dunque, c'era un solo modo per ovviare al clamoroso squilibrio, denunciato nel lontano 1988 dal grande giurista Umberto Pototschnig, tra lo strapotere principesco della Provincia (autonoma si, rispetto a Roma, ma non autonomista, nei riguardi dei comuni) e i 223 sindaci, in fila col cappello in mano davanti agli uffici degli assessori: dar vita ad un ente politico intermedio, un po' Provincia decentrata, un po' associazione di comuni, un po' espressione dei popoli delle valli.
L'uovo di Colombo, in astratto, figlio del genio politico di personalità del calibro di Bruno Kessler prima e Lorenzo Dellai poi. Ma in concreto un ircocervo, un ibrido mal visto a Roma, dal Tesoro come dalla Consulta, ma soprattutto che non è mai riuscito, salvo rare eccezioni, a svolgere appieno nemmeno una delle tre funzioni immaginate: troppe e troppo piccole, le Comunità di valle ieri, come ieri l'altro i Comprensori, per realizzare un vero decentramento delle funzioni provinciali, che infatti non si è realizzato; troppo grandi, in qualche caso fino a diventare ingestibili, per poter essere avvertite come casa comune dei sindaci, che infatti le hanno boicottate; troppo artificiali, per poter essere avvertite come espressione della sovranità popolare dai cittadini, che infatti hanno disertato le urne.
E hanno invece affollato le assemblee sulle fusioni, i tavoli per la raccolta delle firme e, come domenica scorsa, i seggi elettorali dei referendum. Non si è trattato, peraltro, di una rivolta plebea, ma di un movimento strutturato, che ha visto al centro e alla testa una classe di amministratori, di sindaci e consiglieri comunali, che in modo civico e trasversale hanno proposto e via via imposto una via nuova alla soluzione del principale problema dell'autonomia trentina: riequilibrare il peso della Provincia, accrescendo quello dei comuni e trasformando le comunità in strumento di gestione associata di alcune funzioni da parte dei comuni stessi, divenuti nel frattempo di meno, più grandi e più forti, sia nelle comunità, che dinanzi alla Provincia.
Va dato atto all'assessore Daldoss di aver perseguito e di voler perseguire questo obiettivo strategico con lucidità e coerenza, potendo peraltro contare sul sostegno convinto del presidente Rossi e della Giunta provinciale. I partiti, ha ragione il direttore Giovanetti, a cominciare da quelli del centrosinistra autonomista, sono stati spiazzati. Forse sarebbe ancora più giusto dire sono stati attraversati: da un movimento civico che si è presentato come trasversale. E si sono divisi, come si sono divise le comunità locali, tra sostenitori di questa nuova via, e oppositori ad essa, in nome della difesa dell'ente intermedio. C'è da sperare che la nettezza del responso elettorale di domenica scorsa chiuda la fase della discussione circa la strada da intraprendere e consenta di concentrare energie e risorse politiche in questa grande riforma dal basso, che non può che giovare alla nostra autonomia: alla sua sostenibilità finanziaria, alla sua qualità civile e democratica e alla sua credibilità in campo nazionale, come piccolo, ma interessante laboratorio riformista.