«L’austerità ha fallito» e a settembre, «quando avremo finito di fare le riforme», l'Italia inizierà «con una determinazione che non immaginate» una battaglia contro il rigore. Non dico che andremo a fare casino, ma ci si avvicina». Dal Festival dell’economia di Trento il premier Matteo Renzi promette lotta dura e l’inizio di una stagione nuova. Lo ha fatto ieri pomeriggio - in un confronto moderato dalla giornalista Lilli Gruber - forte dell’alleanza con il primo ministro francese Manuel Valls, suo alleato in questa scommessa contro il fronte di chi a Bruxelles e nelle capitali europee «continua a pensare che bastino gli aggiustamenti di budget» per cambiare marcia.
C. bert, "Trentino", 31 maggio 2015
E invece, per vincere i populismi anti-europei che dalla Grecia alla Gran Bretagna, passando per il Front National in Francia e Grillo in Italia, secondo Renzi e Valls c’è un’unica ricetta, un’unica via d’uscita: «un’idea di Europa che cresce e crea lavoro». Il popolo del Festival, che per entrare all’Auditorium S.Chiara si è messo in coda un’ora e mezzo prima dell’inizio del confronto, e che la sera prima era qui ad ascoltare Stiglitz e il suo j’accuse all’austerity, applaude, più volte.
IL CLIMA È CAMBIATO. Rispetto a un anno fa «il clima è cambiato» annuncia il presidente del consiglio italiano: ci sono stati il piano Junker per gli investimenti da 300 miliardi di euro, la flessibilità sui parametri dei conti pubblici, che per l’Italia - ricorda il premier - vale 6 miliardi - e soprattutto l’operazione di quantitative easing voluta dalla Bce di Mario Draghi. Un anno fa l’Italia era, con la Grecia, la malata d’Europa. Oggi, con il suo debito pubblico che pesa come un fardello, prova timidamente ad agganciare la ripresa. «Ma ciò che si è fatto non è sufficiente», avverte Renzi. «Abbiamo un problema di debito pubblico, verissimo, ma se si taglia, si abbassa la crescita e quindi si alza il debito, e allora bisogna tagliare ancora. Un circolo vizioso».
TAGLI DEVASTANTI. E per chiare il concetto il premier cita il sindaco di Trento Andreatta che lo ascolta in prima fila, che in sei anni ha visto ridurre gli investimenti da 89 a 24 milioni all’anno. «Con questi tagli devastanti è ovvio che la crescita non c’è». Il giudizio di Renzi è senza appello: «La politica europea, la ricetta di rigore e austerity mentre tutti gli indicatori crollavano rispetto all’America, all’Oriente e perfino all’Africa, ha portato l’America a crescere e l’Europa a restare ferma». Per il premier è fallito il sogno alla base dell’accordo di Lisbona di 15 anni fa: un’Europa guida del mondo.
LAVORO O USCIREMO DALLA STORIA. L’asse con Valls è solida. «L’Europa deve tornare a crescere. Senza investimenti e occupazione uscirà dalla storia e vincerà il populismo», è la profezia del primo ministro francese che si scaglia contro le analisi economico-finanziarie del Wall Street Journal. Che incalzato da Lilli Gruber guarda anche in casa propria, e dice: «Sono primo ministro non è per caso ma perché ho incarnato l’esigenza delle riforme in Francia. Il malato d’Europa all’inizio del 2000 era la Germania che poi ha fatto riforme difficili con Schroeder. Si può ridurre la spesa pubblica salvando il welfare». Proprio sul riformismo Valls sprona la gauche: «È passata un’idea di riformismo timido meno esaltate di un’idea di rivoluzione appannaggio dei coraggiosi. Non è così». Renzi di suo semplifica: «In Italia la storia della sinistra è stata un eterno dibattito tra rivoluzionari che scaldano l’anima e perdono le elezioni e riformisti che sanno le cose giuste da fare ma non riescono a comunicarle». Per questo la sfida è «dare al riformismo un’anima». Chissà quanto, mentre lo dice, il premier pensi alla sfida tutta interna al Pd che si gioca oggi con il voto in sette Regioni.
TEST REGIONALI. Alla domanda di Gruber, se le regionali siano un referendum su di lui, Renzi risponde di no: «Dobbiamo abituarci a considerare le elezioni per quello che sono, non un sondaggio di gradimento sul governo. Non ci saranno conseguenze sull’esecutivo». Questo ieri, domani si vedrà. Intanto il premier annuncia che la prossima sfida sarà la riforma della Pubblica amministrazione: «Oggi abbiamo settori che si parlano dandosi del voi. Un problema di dignità per gli italiani».
«Tireremo su dal mare il barcone dei migranti»
TRENTO «Recupereremo quel barcone, e daremo sepoltura a quei morti», è la promessa del presidente del consiglio Renzi. Nessuno sa quanti siano, quei morti affondati nel canale di Sicilia un mese e mezzo fa, migranti partiti dall’Africa con il sogno dell’Europa e di una vita possibile, migliore, al di là del mare. Almeno 700, dissero i pochissimi sopravvissuti all’ennesima strage del Mediterraneo. Ma potrebbero essere 800, addirittura 900. «Quando quel barcone si è inabissato in poche ore - ricorda il premier - ci siamo presi un impegno a verificare le testimonianze dei superstiti e abbiamo mandato un robot della Marina italiana a 387 metri di profondità, che ha scattato delle fotografie. Abbiamo visto i morti chiusi a chiave nella stiva, alcuni si vedono dall’oblò». Renzi ribadisce che l’Italia recupererà dal fondale il barcone e darà sepoltura a quei morti. Perché, dice davanti agli 800 dell’auditorium, «abbiamo secoli di civiltà alle spalle, si deve vedere quello che è accaduto». «La coscienza non si inabissa in fondo al mare. Italia e Francia non possono farlo».
A quelli che invocano “teneteli a casa loro”, Renzi risponde che l’Italia è il Paese che negli ultimi 15 anni ha più tagliato sulla Cooperazione internazionale. E rivendica di essere stato il primo presidente del consiglio italiano, lo scorso anno, a spingersi sotto il Sahara, in Mozambico, Congo Brazzaville e Angola. L’immigrazione non poteva non essere uno dei temi caldi al centro del confronto di ieri tra Renzi e il premier francese Manuel Valls. Alla domanda se sia soddisfatto del contributo della Francia, che si oppone alle quote dei richiedenti asilo previste dal piano di ricollocazione della Commissione Ue, il presidente del consiglio italiano risponde evitando lo scontro: «Lo vedremo il 26 e 27 giugno, al consiglio europeo straordinario. Io sono ottimista che si trovi un buon accordo». Renzi sa bene che sono tanti i Paesi che si oppongono al piano Mogherini, dall’Inghilterra all’Olanda passando per la Danimarca. Per questo torna a spiegare che «l’Italia non poteva fare da sola» con l’operazione Mare Nostrum (voluta dal suo predecessore Enrico Letta, ndr) e ha portato il problema in Europa. Con Valls, Renzi condivide l’idea che «l’Europa si è voltata verso est, verso la frontiera orientale dell’Ucraina», ed ha dimenticato che «il Mediterraneo è il cuore dell’Europa».
Il primo ministro francese ripete che «l’Italia deve avere la solidarietà dell’Europa e della Francia»: «Lavoreremo insieme - assicura - in una strategia contro i trafficanti e per aiutare i migranti». Ma subito ricorda, Valls, che «oggi 5 Paesi, tra cui Francia e Italia, si fanno carico del 75% dei rifugiati politici in Europa», e così - fa capire - non va. E invita a «non confondere i richiedenti asilo con gli altri immigrati». Il tema immigrazione torna a fare capolino nelle parole di Valls quando Lilli Gruber gli chiede qual è stato il passaggio più difficile di questo suo primo anno di governo. Il primo ministro non lo cita ma torna con la mente alla strage nella redazione di Charlie Hebdo. E risponde che la cosa più difficile è stata - ed è - affrontare la minaccia del terrorismo e la crisi di identità e il ruolo dell’Islam. Una crisi di identità, prosegue, che è «la sfida più difficile ma anche la più appassionante alla quale la sinistra deve sapere rispondere se non vuole che la destra riprenda un’egemonia culturale». Concorda Matteo Renzi: «L’integrazione è possibile solo in un Paese che ha una forte identità». È questa la sfida di Francia e Italia ma è, in fondo, anche la sfida dell’Europa. «L’Europa è un progetto di società, non un budget», sintetizza Manuel Valls. Un auspicio che è anche un impegno per i due presidenti del consiglio. Ieri dichiarato davanti al pubblico di un Festival dell’economia. Domani, se ne saranno capaci, praticato a Bruxelles.
LEGGI ANCHE:
«Faremo casino in Europa», L. Patruno, "L'Adige", 31 maggio 2015
Il dibattito su «Italia, Francia e riforme» ha rappresentato uno dei momenti clou di questa decima edizione del Festival dell'economia.
«Le elezioni europee - ha sottolineato il presidente del consiglio italiano, apparso stanco anche se sempre scoppiettante, - sono servite proprio per provare a cambiare la politica economica europea. Pensando a un anno fa eravamo qui sul palco esattamente la settimana dopo le elezioni europee e alcune cose da allora sono cambiate. Ad esempio, sulla flessibilità, con il piano Junker, gli interventi della Bce e un approccio per cui si è smesso di parlare di patto di stabilità, tornando a chiamarlo "patto di stabilità e crescita", insomma un cambio di clima, che per noi significa 6 miliardi di euro di flessibilità, ma che a me non basta. E la cosa di cui discuteremo nei prossimi mesi è che se l'Italia continuerà il percorso di riforme che ha iniziato, noi in Europa nei prossimi mesi avremo tutto l'interesse a creare una discussione: non dirò che andiamo in Europa a fare casino, perché non è tecnicamente corretta, ma ci si avvicina, perché l'idea che la politica economica europea continui ad essere basata sull'austerity e il rigore in un momento nel quale tutti i nostri indicatori sono crollati rispetto agli Stati Uniti, all'Oriente e in alcuni casi all'Africa, è inaccettabile. L'Europa deve investire sulla crescita e invertire la direzione di marcia. Questo è quello che da settembre, ultimate le riforme, l'Italia farà con una determinazione che non immaginate».
Una nuova idea d'Europa.
«Un anno fa l'Italia era la malata d'Europa con la Grecia, ora il quadro sta cambiando - ha aggiunto Renzi - avevamo bisogno di recuperare credibilità in questi anni. Non c'è più problema 3%, ma del fiscal compact, votato anche da Brunetta, anche se non se n'è accorto. Se facciamo un grande lavoro di riforme possiamo andare a chiedere: cari amici europei siete davvero convinti che solo con l'austerity si va avanti? Io penso che in questi anni la politica economica europea abbia aiutato l'America a crescere e portato l'Europa a una stagnazione inaccettabile. Per me Lisbona ha fallito perché il grande sogno di un'Europa guida del mondo non ha funzionato. Vogliamo vedere un modello che non sia crescita senza occupazione, basato su innovazione, talento. La stagione che si apre è fantastica: ci permette di chiederci se siamo sicuri che per vincere il populismo non serva avere una nuova idea di Europa capace di crescere con intensità».
Silenzio o non silenzio elettorale, Renzi non ha esitato ad attaccare Grillo e Salvini che l'anno scorso facevano campagna elettorale contro l'Euro. «È un pericolo - ha aggiunto - se noi diamo l'immagine di un'Europa basata su burocrazia e austerità. Sui populismi io non posso parlare di Salvini e non posso permettermi di parlare di Marine Le Pen. Dico solo che un anno fa i partiti populisti, come Grillo e Lega, avevano nel simbolo la scritta "no euro". Adesso, ma non parlo delle regionali, il candidato presidente di una regione che inizia per "V" e finisce con "eneto", non più».
Il primo ministro francese Manuel Valls ha fatto eco a Renzi sul tema della crescita e sulla necessità di una inversione di rotta nella politica europea rigorista: «Abbiamo deciso con Hollande di ridurre il carico impositivo per le classi più povere e per tre anni abbiamo deciso di ridurre il carico per le aziende. Vorrei che la ripresa venisse dalla diminuzione del peso fiscale sulle famiglie e dal ripartire delle aziende. Se pensiamo che siano solo gli aggiustamenti di bilancio a servire, bloccheremo la crescita».
Poi sul populismo poi Valls ha detto: «La sfida principale che abbiamo davanti è la crisi d'identità della nostra società. Il populismo avanza per la crisi economica, ma anche per quella d'identità. E di fronte a questioni come quella del terrorismo, l'Islam, la sinistra deve rispondere a queste sfide riuscendo a parlare a tutti». Rispondendo infine ai giornalisti francesi, al termine del dibattito, il primo ministro socialista ha sottolineato parlando di Renzi: «Francesi e italiani abbiamo problemi comuni sulla crescita e la disoccupazione giovanile, ma la forza che ci unisce è l'idea che riforme e progresso sono fortemente legate e che se ci deve essere un dibattito questo è fra riformatori e conservatori».
Immigrazione e coscienza.
Nel confronto fra i due premier ha avuto spazio anche la questione dell'immigrazione e di come gestire a livello europea gli sbarchi di profughi e clandestini sulle coste italiane. La Francia ha rifiutato l'idea delle quote ma ieri Valls si è detto disponibile a trovare una soluzione comune. «Lo vedremo il 26 e il 27 giugno, quando si chiuderà la discussione - ha detto Renzi in merito alla posizione francese - intanto il tema è entrato nei tavoli europei». Poi parlando dell'ultima ecatombe nel Mediterraneo con 800 morti, Renzi ha promesso: «Noi andremo a recuperare quel barcone e daremo sepoltura alle vittime. Se vi fosse qualcuno che può inabissare a 300 metri di profondità in mare la propria coscienza, io sono certo che l'Italia e Europa non possano. Non c'è ombra di dubbio che tutti i Paesi europei possano fare di più, intanto è stato fatto un Consiglio europeo sull'argomento. Sono molto ottimista sul fatto che si troverà un punto di accordo».
«Sinistra è uguaglianza e riforme», F. Gottardi, "L'Adige", 31 maggio 2015
«Renzi è accusato di aver fatto una politica di destra» dice Lilli Gruber abbozzando l'ennesima domanda ai suoi due interlocutori. «Benvenuto nel club» esclama Samuel Valls, che nel suo Paese una critica del genere se la sente rivolgere un giorno sì e l'altro anche.
Sono i due campioni di quella che ancora si definisce la sinistra europea, uno capo del governo di una nazione a guida socialista, l'altro leader del partito, il Pd, che ha conquistato il maggior numero di voti in tutto il continente alle europee dell'anno scorso. Eppure sia Matteo Renzi che Manuel Valls hanno ormai fatto l'abitudine ad essere accusato di portare avanti politiche di destra. Ci hanno fatto l'abitudine, ci scherzano sopra ma non si rassegnano, anche se entrambi sembrano far fatica ad essere incasellati in uno schema ideologico che ritengono superato.
Il discorso su destra e sinistra è affiorato a più riprese nel corso dell'incontro di ieri. «Si può - ha chiesto la giornalista - essere di sinistra e accettare le regole della finanza speculativa, quella che il presidente francese Hollande considera il suo avversario?» Domanda a cui entrambi i capi di governo hanno dato una risposta pragmatica, evitando di mettere sotto accusa il mondo della finanza in quanto tale. Valls ha sottolineato come la crisi iniziata nel 2008 sia figlia di un certo tipo di finanza, quella dei subprime e della bolla immobiliare americana. Ed ha ammesso che a livello internazionale non tutti i problemi sono stati risolti. In Europa invece il primo ministro francese nota progressi, cambiamenti. Ed è un po' quello che lui intende essere di sinistra. Una definizione a cui preferisce l'aggettivo «progressista», contrapposto al conservatorismo di chi non vuole cambiare niente.
Renzi da parte sua distingue tra finanza buona e cattiva. Tra quella al servizio dell'economia reale e quella che punta a fare i soldi per i soldi. «Noi - ha voluto ricordare - abbiamo abbassato le tasse per le imprese e sul lavoro e aumentato quelle sulle rendite ma un sistema finanziario che funziona è fondamentale. E io preferisco francamente aziende che si quotano in borsa piuttosto che un capitalismo di relazione, intrafamiliare».
Naturalmente nel dibattito su Renzi e la sinistra non poteva mancare un riferimento al Jobs Act e lo smantellamento dell'articolo 18 da parte del suo governo, un tabu finora intoccabile per chi si definisce di sinistra. La risposta del presidente del consiglio è che «la sinistra è sinistra se crea posti di lavoro». E dunque la sua riforma e i contratti a tutele crescenti sono di sinistra. «Chi aveva un lavoro precario - scandisce al microfono - ora ne ha uno grazie al quale può iniziare a pensare di fare le ferie, di farsi un mutuo, di andare in malattia e in maternità». Il succo del discorso insomma è quello che da mesi ripete rispondendo ai detrattori: non ha eliminato un articolo che tutelava i posti di lavoro ma ha fatto una legge che rende più facile crearne di nuovi.
Anche ribellarsi alle logiche della politica economica europea, quelle dell'austerity e del conservatorismo, significa per Valls essere di sinistra. E Renzi, che due giorni fa era a Melfi accanto a Marchionne a visitare lo stabilimento Fca, ribadisce il suo grazie all'amministratore delegato della fabbrica di auto per i nuovi posti di lavoro creati. «Questa - aggiunge - è la differenza con la sinistra che invece chiacchiera solamente».
Ma essere progressisti - interviene Valls - vuol dire soprattutto combattere le diseguaglianze. Situazioni che nutrono i populismi e che si prevengono con un sistema scolastico efficiente e che dia la possibilità a tutti di partire dallo stesso livello.
«Il problema italiano - aggiunge Renzi - è che le disuguaglianze non ci sono solo tra generazioni ma anche tra aree geografiche. Abbiamo regioni che sono locomotive in Europa e altre fanalini di coda. La sinistra è quella che riduce le diseguaglianze non considerando tutti eguali ma portando tutti alle stesse condizioni di partenza».
E la sfida più grande per i progressisti è nella chiosa di Valls quella di saper ridare la speranza a una società dove il populismo avanza a causa della crisi di identità. «Di fronte a questa minaccia la cosa più difficile e affascinante - dice il primo ministro francese - è rispondere sapendo parlare a tutte le classi sociali e saper dare risposte sensibili alle loro esigenze». La sinistra insomma è trasversale. È uguaglianza e riforme. E se l'Europa non è d'accordo cambieremo l'Europa.