Fabrizio Gerola, assessore alle politiche sociali uscente, è stato premiato dalle urne. Domenica scorsa ha incassato 326 preferenze, secondo più votato del Pd e pure di tutto il lotto dei 450 candidati. In cinque anni di giunta ha dovuto lavorare duro, perché la voce «welfare», in tempi di spending review e sforbiciate ai bilanci, è quella che riceve meno denari.
N. Guarnieri, "L'Adige", 17 maggio 2015
I roveretani l'hanno votata in massa nonostante il suo assessorato sia di quelli meno gratificanti.
«È vero, il mio è un assessorato difficile, chiamato spesso solo a ridurre le spese. Confesso infatti che è stata una sorpresa anche per me i tanti voti presi. Ma è stata un'enorme soddisfazione dopo cinque anni impegnativi. La gratificazione del cittadino è importante e mette voglia di andare avanti».
Cos'è cambiato nella gestione delle politiche sociali?
«È un settore stressato dalla necessità di cambiamento che negli anni precedenti non c'era. Un tempo era mare piatto anche se i segnali di un peggioramento già c'erano».
Colpa della crisi economica?
«Non è solo un problema di crisi ma avere coscienza che tra 20 anni gli anziani, la cosiddetta popolazione passiva, supererà quella attiva. Un sistema come quello del passato non sta più in piedi».
Qual è la sua ricetta «sociale»?
«Un'amministrazione condivisa. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti, ognuno con le sue capacità. Le piccole cose fatte da molti fanno la differenza. Siamo stati il primo Comune a dotarsi di un Piano sociale che dice che quando dai un aiuto deve servire alla persona ma poi tornare alla comunità. La spesa sociale è un investimento che porta benefici a tutti. Questo è l'inedito».
In questo discorso si inserisce la rete dei vicini di casa?
«Sì, attivare risorse sul territorio capaci di rispondere ai bisogni con il vicino che ti dà una mano nei piccoli problemi quotidiani».
In questi anni quali nuovi problemi sono sorti? Quali sono le nuove povertà?
«Il problema maggiore riguarda la classe media: carenza lavorativa, persone che non si rivolgono ai servizi sociali ma che non riescono a pagare affitti e bollette. Dobbiamo creare opportunità lavorative».
Parliamo di elezioni. Il primo turno è andato come è andato e al ballottaggio si profila una sconfitta del centrosinistra.
«In un periodo di difficoltà tutti vorremmo qualcuno con la bacchetta magica che risolva i problemi ma non c'è nessuno così. Ci sono troppi problemi e amministrare la città con risorse che si riducono è difficile. Uno è tentato a immaginare che lo sfidante abbia queste capacità. Purtroppo noi non siamo riusciti a comunicare la complessità dei fatti».
Se vince Valduga che succede?
«Se vince lui col mito della Comunità di Valle rischia di essere cancellato quello che abbiamo fatto noi».
Le politiche sociali non funzionano con la Comunità?
«Purtroppo il modello della Comunità è stato pensato negli anni in cui c'erano ben altre risorse e non si è ragionato. Immaginare che i confini amministrativi della Comunità siano ottimali non va bene: ci sono dinamiche diverse tra centri urbani e periferie».
Qualche mese fa si sponsorizzava la sua candidatura a sindaco al posto di Miorandi. Sarebbe andata diversamente?
«Non ne abbiamo mai parlato ma io non sarei mai stato disponibile. Il problema non è cambiare le persone ma avere una squadra competente che lavora insieme. Se uno giudica per simpatia o per il sorriso facile sbaglia: c'è bisogno di uno che lavori, si impegni, faccia il bene della città anche dentro il suo ufficio».
Ad ogni elezione, però, c'è un nuovo sindaco.
«Cambiare sindaco ci svantaggia come città perché la Provincia non cala nulla dall'alto proprio perché i roveretani cambiano idea in continuazione».