Andreatta punta al bis: «Fiducioso che andrà bene». Il futuro della città? «Turismo, agricoltura, conoscenza». La disaffezione alla politica la vediamo tutti ma nei Comuni c’è più tenuta. E io mi auguro che i cittadini capiscano che il voto è lo strumento più forte per dire la città che si vuole. Se uno non lo usa, non si lamenti dopo... "Trentino", 27 aprile 2015
Sindaco Andreatta, in questa campagna elettorale si è parlato molto di sicurezza e degrado. Sembra invece restare sullo sfondo il tema dello sviluppo economico della città. Su cosa deve scommettere Trento? Da industriale, Trento è diventata una città più terziaria e turistica. Il turismo è elemento strategico con quasi un milione di presenze, e va accompagnato perché determina ricadute sul lavoro e quindi sulla coesione sociale: pensiamo che ogni 10 mila presenze turistiche si creano circa 300 nuovi occupati. E anche il commercio, che vive un momento difficile, va di pari passo con quello che la città sa offrire in termini di turismo e di eventi di qualità. Un altro asse portante è l’agricoltura: assistiamo a un ritorno percepibile alla terra da parte di giovani motivati, con studi alle spalle, propensi al biologico.
Come pensate di sostenerli? Vorremmo proporre dei bandi per mettere loro a disposizione terreni di proprietà pubblica, un aiuto concreto all’inizio dell’attività.
E l’economia della conoscenza? Il polo Ict all’Italcementi lo avete archiviato... La nostra è una città dell’Università e dei centri di ricerca. C’è stato un problema di risorse ma quello dell’industria innovativa e tecnologica è un settore che Trento deve coltivare.
Il Café de la paix ha annunciato la chiusura accusandovi di non averlo sostenuto. Non è una sconfitta per la città e per un luogo riqualificato? Avevo condiviso con forza la nascita di quel progetto di riqualificazione, che ha dovuto fare i conti però con una contraddizione di base: era un circolo privato e dunque con regole specifiche e senza le potenzialità di un pubblico esercizio. Ci sono arrivate una serie di segnalazioni anche per motivi di concorrenza.
L’equilibrio tra ragioni dei residenti e dei giovani le sembra raggiunto? Io voglio una città più viva e che sia animata fino alle 23.30-mezzanotte: questo non può essere un problema. Abbiamo chiesto corresponsabilità ai gestori dei locali e da molti l’abbiamo avuta. Ma la città non può neanche impoverirsi perché se ne vanno i residenti. Servono locali insonorizzati o altrimenti in periferia.
Intanto però il vicolo tra via Suffragio e Piazza Mostra tornerà abbandonato... Ci impegneremo con l’Itea, che è proprietaria dell’immobile, a trovare un’alternativa.
Mi dica una sconfitta dei suoi sei anni da sindaco. A parte quelle legate a investimenti milionari decisi dalla Provincia, direi il non essere riusciti a dare risposta alle esigenze abitative dei nomadi. Sia chiaro, non siamo stati inerti, abbiamo investito sul campo di Ravina e sugli inserimenti in alloggi pubblici. Ma non siamo riusciti a sperimentare le microaree che avevamo messo nel nostro programma del 2009.
E la cosa che rivendica con più orgoglio? Sono orgoglioso che nonostante la crisi che anche Trento ha attraversato, siamo riusciti a mantenere una comunità molto unita senza alimentare individualismi ed egoismi. Trento è una città aperta, solidale, generosa.
A proposito di solidarietà, l’Italia e anche il Trentino fanno i conti con l’emergenza dei profughi, che coinvolge anche i sindaci. Lei cosa pensa? Non c’è alternativa all’accoglienza, che però non dev’essere solo dell’Italia. In Trentino finora se ne sono fatte carico soprattutto Trento e Rovereto, bisogna che ci sia una risposta da parte di tutto il sistema dei Comuni. E non basta accogliere per i primi giorni, serve un percorso di accompagnamento di queste persone che deve prevedere anche la possibilità di qualche forma di lavoro che oggi purtroppo è precluso ai richiedenti asilo.
La sua riconferma è apparsa per certi versi una scelta obbligata senza molta convinzione di una parte del Pd. E dall’Upt e da Dellai le sono arrivate diverse frecciate. Le è pesato? Non particolarmente. Ricordo che anche quando si discuteva del secondo mandato di Pacher ci fu un po’ di attesa, è fisiologico che il secondo partito della coalizione cerchi di rivendicare il sindaco, e siccome non è stato fatto nessun nome alternativo direi che forse non c’era. Già da settembre io ho avuto un sostanziale via libera delle forze di maggioranza, c’è stato un percorso per costruire il programma e questo direi che per me è stata una condizione di grande serenità e un messaggio forte ai cittadini.
Il Patt si dice sicuro di diventare il secondo partito in città. Se così fosse, teme contraccolpi per la tenuta della coalizione? Considero il centrosinistra autonomista non una soluzione per qualche anno, ma una prospettiva strategica. Il Patt è entrato solo nel 2009 nella coalizione cittadina ma abbiamo ormai un’abitudine a lavorare insieme, quindi io non devo tifare per qualcuno ma per la coalizione.
Non la imbarazza avere tra i candidati a suo sostegno Filippin e Dal Rì (in lista con il Patt, ndr) che per anni le hanno fatto opposizione in consiglio? In realtà non troppo. Io stimo le persone pensanti, e loro lo sono entrambi: il dialogo, anche serrato, è sempre stato di sostanza. Filippin poi ha origini repubblicane e si è sempre distinto per la sua autonomia dentro i partiti di cui ha fatto parte. Dopodiché tutti e due sanno che si mettono a disposizione di una coalizione.
Parliamo del suo principale avversario, Claudio Cia, candidato del centrodestra. Mi dice in cosa, secondo lei, siete più lontani l’uno dall’altro. Cia è il candidato di forze politiche che sono quanto di più lontano dalla mia visione della vita, della politica e della comunità. Chi alimenta paure e punta a dividere lo sento all’opposto da me. Votando Cia si votano partiti lontani da un’idea di città aperta, solidale, che guarda oltre il Trentino.
E per quanto riguarda la famiglia e i diritti civili? Io penso che si scende in politica con un’identità di valori che dev’essere forte ma sempre aperta al dialogo e alla relazione. E i valori personali vanno sempre distinti dall’impegno politico, dove le decisioni sono mediate dal confronto. Un sindaco deve tenere conto della sua comunità e indicare una meta verso cui camminare insieme, nelle differenze.
Nel 2009 ottenne il 64%. Pensa di poterlo bissare? Sono fiducioso che faremo bene. La disaffezione alla politica la vediamo tutti ma nei Comuni c’è più tenuta. E io mi auguro che i cittadini capiscano che il voto è lo strumento più forte per dire la città che si vuole. Se uno non lo usa, non si lamenti dopo...
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