Qualche giorno fa sull'«Adige» Renzo Michelini sottolineava l'importanza di riportare al centro del dibattito sul futuro della sanità trentina i temi dell'alta formazione, dell'innovazione e della ricerca.
M. Civico, "L'Adige", 23 febbraio 2015
Si tratta di questioni note con le quali il Trentino si confronta da tempo e che per essere strutturalmente risolte richiedono che nella nostra provincia, come in tutte le altre realtà, sia compiuto il processo di ridefinizione dei servizi sul territorio e riqualificazione tecnico-professionale in un'ottica di qualità, sicurezza e dimensionamento dei bacini di utenza.
Ciò che serve è pensare a un sistema sempre più integrato, sempre più in rete e sempre più vicino ai bisogni di salute dei cittadini sotto tutti punti di vista, dalla capacità di fare e mettere a sistema i servizi, agli adeguamenti infrastrutturali, all'innovazione clinica e organizzativa, all'alta formazione e ricerca.
Esempi virtuosi di questo tipo in provincia già ne abbiamo, specialmente in ambito di ricerca e innovazione, positivamente condotti in questi ultimi anni attraverso la creazione di un modello di cooperazione tra il mondo della ricerca, della sanità, dell'industria e del mondo del non profit legato alla cooperazione. Una rete informale che ha saputo catalizzare su questi temi i finanziamenti per ricerca e innovazione disponibili nazionalmente e internazionalmente indirizzando coerentemente l'uso dei fondi strutturali e portando in Trentino numerosi progetti finanziati dalla comunità europea e dal Ministero della Salute.
Per determinare un vero ed efficace cambiamento serve però che questi sforzi di innovazione e ricerca entrino a pieno titolo nelle dinamiche del servizio sanitario e rientrino in una logica di lungo periodo. La ricerca clinica deve divenire un elemento di continuità e distintivo del nostro servizio sanitario con una regia unitaria in cui si concretizzi un «contenitore» che sappia mettere anche fisicamente vicini ricercatori e clinici dove moderni laboratori e sperimentazioni, tecnologie avanzate e percorsi di cura sperimentali siano parte continuativa del percorso lavorativo e formativo dei nostri professionisti ed elemento attrattivo per i giovani medici vogliosi di impegnarsi in una sanità di eccellenza. Piuttosto che inseguire un difficile percorso di Facoltà di medicina, peraltro molto costoso e, viste le recenti esperienze, dal futuro incerto, sembra decisamente più concreto e fattibile puntare sul concetto di «Ospedale di ricerca».
Il rilancio della operazione «Not» è un'occasione in tal senso: ospedale ad alta tecnologia, fondato su nuovi modelli organizzativi, con spazi dedicati per ricerca e formazione. Ma questa non può essere considerata come unica occasione, non si può attendere la realizzazione del nuovo ospedale per portare a compimento questo disegno. In primo luogo dobbiamo considerare il Not come un nodo (importante ma non esaustivo) di una rete di servizi che comprendono tutti i presidi ospedalieri ma anche il territorio con le sue funzioni di prevenzione, cura della cronicità, presa in carico della fragilità, dei bisogni complessi, della non autosufficienza, etc. La realizzazione del Nuovo Ospedale trentino deve essere l'occasione per completare un quadro che deve essere avviato oggi.
Per realizzare tutto questo è però necessario un impegno strutturale, che riconosca esplicitamente la ricerca clinica e l'innovazione come un valore centrale per il nostro servizio sanitario, e che sappia coinvolgere i medici (cosa che su specifici ambiti/linee di progetto già avviene e con ottimi risultati) e le forze già operative in questo settore (ricerca, industria, cooperazione...) e convogliare tali sforzi in un progetto che deve essere perseguibile e realizzabile in tempi brevi, tenendo conto e valorizzando le strutture già esistenti.
A supporto dell'Ospedale di ricerca il Trentino può infatti vantare già buone relazioni sul territorio tra struttura sanitaria e Fondazione Bruno Kessler, Università di Trento, la Fondazione Mach, nonché altri partner culturali e scientifici come la Fondazione Pezcoller o la Fondazione Caritro. A ciò vanno aggiunti rapporti consolidati di collaborazione medica e ricerca con i centri universitari e i servizi collocati lungo l'asse Verona-Innsbruck che per ragioni di affinità storico-culturale e di vicinanza costituiscono un punto di riferimento indispensabile per concretizzare un progetto di questo tipo, da innestare sulle esperienze, competenze e sinergie già esistenti.
Non si parte dunque per nulla da zero, le premesse ci sono tutte e forse il «ritorno sull'investimento» in un ospedale/sanità di ricerca, nella riqualificazione e nel riequilibrio complessivo dell'assistenza sanitaria, tra ospedale e territorio, oggi può essere anche maggiore di qualche anno fa.