«Va riscritto il rapporto di coalizione: per proseguire si deve ricostruire la fiducia reciproca». Per la segretaria provinciale del Pd, Giulia Robol, quello di ieri non è stato un passaggio indolore, né è possibile andare oltre come nulla fosse accaduto. Lei stessa si era esposta prendendo posizione ripetutamente sulla questione ed è stata bellamente ignorata dal governatore Ugo Rossi. «Se si pensa - sbotta Robol dopo il voto in consiglio provinciale - di andare avanti con un rapporto muscolare tra i partiti della coalizione, senza alcun rispetto delle reciproche sensibilità, allora d'ora in poi anche il Pd deciderà di volta in volta se sostenere o meno le proposte di Rossi, forse il presidente non se n'è reso conto ma non si può proseguire come se si stesse trattando di una sfida continua e proprio ora che ci sono le comunali».L. Patruno, "L'Adige", 22 gennaio 2015
Se è vero infatti che a livello regionale Rossi ha potuto fare il muso duro potendo contare sui voti della Svp che rendevano superflui quelli del Pd, in giunta e nel consiglio provinciale non può permettersi di fare a meno dei voti del Partito democratico nei prossimi quattro anni a meno che non voglia inaugurare una stagione di maggioranze variabili o predisporsi a scenari diversi. «Noi vogliamo capire - insiste Robol - se Rossi vuole proseguire con questa coalizione o sta pensando ad altro».Ma prima di affrontare il governatore, la segretaria del Pd dovrà fare i conti con il «processo» all'interno del suo partito. Ieri nel gruppo consiliare, che si è riunito ripetutamente, sono emerse forte critiche per come è stata gestita tutta la partita dei grandi elettori, in particolare da parte dei consiglieri Mattia Civico e Luca Zeni. Al momento del voto poi tutti hanno rispettato l'indicazione dell'astensione o quanto meno di non votare Avanzo e Widmann, visto che i due hanno ottenuto giusto 26 e 25 voti quelli di Patt, Svp e Upt non uno di più. Le schede bianche sono state 4 (i votanti del Pd trentini erano 6, perché mancavano Olivi, Borgonovo Re e Ferrari). Tra i voti persi tre sono andati a Dorigatti, 2 a Borgonovo Re, 1 a Rossi, 3 nulle. Sulla nomina dei grandi elettori chiamati a scegliere il capo dello Stato la maggioranza non è riuscita ieri a ricomporre le divergenze interne emerse nelle ultime settimane e si è consumata in consiglio regionale la spaccatura, con il Pd che si è astenuto e Svp, Patt e Upt che hanno votato, tranquillamente, i candidati indicati fin dai primi di gennaio da Rossi e Kompatscher, ovvero: Chiara Avanzo (Patt), presidente del consiglio regionale, e il vicepresidente Thomas Widmann (Svp).Anche le minoranze trentine non hanno trovato l'accordo sui nomi alternativi di Rodolfo Borga (Civica Trentina) e Marino Simoni (Progetto Trentino), così alla fine, hanno rinunciato entrambi per sostenere il candidato altoatesino di centrodestra Alessandro Urzì , che aveva invocato l'alternanza, visto che nelle ultime elezioni del presidente della Repubblica era stato scelto un trentino in rappresentanza delle minoranze consiliari. Urzì ha ottenuto 17 voti contro gli 11 di Riccardo Dello Sbarba, proposto dai Verdi, che ha avuto probabilmente i voti dei due altoatesini del Pd .No Svp a Kompatscher-Rossi.La giornata è cominciata subito in salita, quando la Svp, con il suo capogruppo Dieter Steger, ha comunicato alla maggioranza che non era disposta a toccare il nome di Thomas Widmann, mandando a Roma al suo posto Arno Kompatscher. Per il secondo nome, quello italiano, se la sarebbero dovuta vedere i trentini fra loro.L'ipotesi Rossi-Kompatscher era stata avanzata martedì dall'Upt, in quanto presidenti delle due Province nonché presidente e vice della Regione, come proposta istituzionale più «digeribile» per il Pd rispetto al duo Avanzo-Widmann. Ma senza Kompatscher lo schema non stava più in piedi. Quindi si è tornati all'accoppiata Widmann più Avanzo. A questo punto il Pd ha rilanciato l'idea Widmann più Bruno Dorigatti (Pd), visto che entrambi sono presidenti del consiglio provinciale. Ma Rossi si è impuntato, forte dei voti della Svp che rendevano automaticamente non indispendabili quelli del Pd, e ha detto no confermando la scelta della presidente del consiglio regionale.Una scelta politica autonomista.Mentre per tutto il giorno il governatore Ugo Rossi si ostinava a ripetere il suo refrain sul fatto che l'indicazione di Avanzo e Widmann era basata esclusivamente su una prassi istituzionale, in quanto massimi rappresentanti del consiglio regionale e non perché esponenti del Patt e della Svp, in aula il capogruppo Svp Steger nel motivare il voto ha dichiarato invece: «Sono convinto che i rappresentanti che mandiamo a Roma debbano essere autonomisti convinti per rappresentare le istanze delle autonomie». Concetto poi ripetuto anche da Kompatscher, che sulla scelta del Pd ha poi commentato: «C'è stato forse un problema di comunicazione tra le forze trentine». Come dire: affari loro. Il capogruppo del Patt, Lorenzo Baratter, che ha proposto i nomi di Avanzo e Widmann, ha invece voluto escludere la connotazione politica dell'appartenenza a Patt e Svp. Era proprio questo infatti il punto sollevato dal Pd, che invocava una equa «rappresentanza politica» nella scelta dei grandi elettori. «Nessuno - ha dichiarato il capogruppo Alessio Manica - ha proposto la discussione per piantare bandierine o occupare poltrone. Il Pd ritiene questo passaggio delicato e non banale per la Repubblica e ha posto con forza il tema della rappresentanza politica, ricordando il patto Italia Bene Comune firmato da Pd, Patt e Svp, convinti che si potesse trovare una sintesi tra la prassi istituzionale e la rappresentanza del secondo partito regionale per numero di voti. Il nostro ragionamento - ha concluso Manica - non è stato condiviso ma non presenteremo candidature alternative per rispetto della coalizione e sapendo che chi andrà a Roma rispetterà il patto firmato con il Pd». Dopo il voto (mancavano proprio i tre assessori Pd Alessandro Olivi, Donata Borgonovo Re e Sara Ferrari), sancita la frattura, il governatore Ugo Rossi ha commentato sprezzante: «Mi dispiace non si sia capita la portata politica di questa scelta. Quella del Pd non era una rivendicazione politica ma solo partitica. Non vedo un indebolimento della coalizione».
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