Il modello trentino degli ammortizzatori sociali ha vinto nel Paese. Ora che abbiamo esteso le protezioni ai lavoratori che non le avevano, la nuova sfida si gioca sulle politiche attive, per aiutare i disoccupati a trovare un nuovo lavoro, e su questo sarebbe importante che il Trentino fosse laboratorio». Filippo Taddei, responsabile economia e lavoro del Pd e uno dei padri del neonato Jobs act, si gode qualche giorno di vacanza in Bondone, nella casa di famiglia.
"Trentino", 30 dicembre 2014
Taddei, infuria la polemica sull’estensione del Jobs act ai lavoratori pubblici. Qual è la sua opinione? Se Camera e Senato dessero una raccomandazione unanime di estendere il contratto a tutele crescenti agli statali, lo prenderemo in considerazione. Resta il fatto, secondo il mio modesto avviso, che la riforma del pubblico impiego va fatta in modo organico, non a pezzi.
I lavoratori del privato si chiedono perché i lavoratori pubblici debbano essere più tutelati. Ai lavoratori del privato interessa che i servizi pubblici funzionino e che a un lavoratore scansafatiche si possano applicare sanzioni che arrivano anche al licenziamento. Ma non si possono mischiare cose diverse: non c’è alcun Paese al mondo dove i lavoratori pubblici non abbiamo più tutele di quelli del privato. Sono più sicuri ma guadagnano meno.
Perché il Jobs act rappresenta un svolta importante? Abbiamo un assegno di disoccupazione molto più esteso che copre una platea più ampia, co co co, collaboratori a progetto e lavoratori con carriere discontinue che prima non avevano accesso a nessun ammortizzatore. Ora la scommessa è integrare le politiche passive, ovvero l’assegno di disoccupazione, e le politiche attive, ovvero la ricollocazione.
In cosa consiste questo nuovo contratto di ricollocazione? Il lavoratore si presenta a un centro per l’impiego e riceve un voucher che può utilizzare per un progetto di formazione o di ricollocazione lavorativa, presso un’agenzia pubblica o privata. È un elemento di cambiamento che responsabilizza il lavoratore. Il tema che resta da sviluppare è la graduazione di questi voucher rispetto alla difficoltà di ricollocazione, per incentivare i centri per l’impiego e le agenzie private a ricollocare i lavoratori più deboli. Questo passaggio scatterà quando nascerà l’Agenzia nazionale del lavoro che coordinerà le politiche attive e sarebbe importante che un meccanismo di questo tipo fosse sperimentato in Trentino.
Con la delega sugli ammortizzatori il Trentino ha in parte anticipato il Jobs act. Ora cosa si aspetta? Il Trentino è molto ben equipaggiato, anche grazie alla sua Agenzia del lavoro. E avendo contribuito alla stesura del Jobs act, posso dire che il termine Agenzia nazionale del lavoro che abbiamo coniato non è casuale. Un anno fa dissi che il Trentino era un modello per la copertura degli ammortizzatori sociali e per il reddito minimo di garanzia. Un anno dopo a livello nazionale abbiamo esteso la parte più consistente del modello trentino al resto del Paese: l’Aspri garantita fino a due anni a seconda della sfera contributiva, con un assegno vincolato alle politiche attive. Ora affrontiamo la fase due, delle politiche attive, e tutto quello su cui il Trentino vuole sperimentare è ben accetto.
Tutti ci chiediamo se basteranno i cambiamenti normativi a spingere la ripresa e l’occupazione dopo anni di crisi pesantissima? Il mercato del lavoro italiano è il più precarizzante e duale d’Europa, il più penalizzante verso il lavoro stabile. Dal 2008 abbiamo perso il 5% dei posti di lavoro, più di 1 milione su 23 milioni di lavoratori, uno shock. E tra gli under 35 il lavoro a tempo indeterminato è crollato del 35%. Oggi abbiamo messo in campo tutti gli incentivi per ridare centralità al lavoro stabile: il nuovo contratto a tutele crescenti, il taglio dell’Irap, la decontribuzione fortissima.
Il rischio è che le imprese abbiamo atteso questi contributi per assumere lavoratori che avrebbero comunque assunto. Se i datori di lavoro decideranno di assumere a tempo indeterminato la considero una grande vittoria: perché un lavoratore stabile è un lavoratore più sereno, più produttivo, più formato, più competente. E questo renderà più facile attrarre investimenti: dal 2008 abbiamo perso 80 miliardi all’anno, recuperarne 5 significherebbe lo 0,3 di Pil in più.