Caro direttore, l’autonomia è sotto attacco, e non da oggi. Lo è dall’esterno, dalle Regioni limitrofe, da Roma, ma lo è soprattutto dall’interno, perché sono le nostre debolezze a metterci in pericolo. Perché sono le nostre debolezze a metterci in pericolo, a lasciare campo libero ai nostri detrattori. La verità è che non possiamo più dirci autonomi con mezzo milione di abitanti e oltre 200 comuni.
Alessandro Andreatta, "Trentino", 13 dicembre 2014
Non possiamo difendere le nostre prerogative se moltiplichiamo inutilmente i livelli istituzionali. Non possiamo affermare che la nostra anomalia politica è intoccabile se poi è la discussione sul taglio dei vitalizi a conquistare i titoli della stampa, locale e nazionale. A me pare che oggi l'autonomia, prima che difesa da chi la attacca, vada rispettata da chi ha l'onore di amministrarla, recuperandone il significato più profondo, che non è solo politico, ma anche morale. Autonomo può essere solo chi è responsabile di se stesso e del proprio destino: chi non lo è, prima o poi finirà sotto la tutela di qualcun altro. E' questo, io credo, il senso della nostra speciale forma di governo.
Il nostro primo sponsor è stato il più grande statista che l'Italia abbia mai avuto: quell'Alcide Degasperi che aveva introiettato il principio del rispetto delle minoranze al parlamento di Vienna, capitale di un impero oramai in disfacimento, che soffocava nelle carceri dello Spielberg gli spiriti irredentisti o, come nel caso del nostro Battisti, li metteva a morte. Par difficile oggi essere all'altezza di quell'uomo coraggioso e risoluto, temprato dagli eventi, imbevuto di cultura, ma certo qualche sforzo va fatto. Io credo che dovremmo cominciare con il considerare l'autonomia non come l'autobus del privilegio, ma come uno strumento che può guidare il cambiamento, del Trentino e dell'Italia intera.
Il nostro impegno infatti non può fermarsi all'interno dei nostri confini, né autolimitarsi a un esercizio locale: l'autonomia potrebbe diventare un modello per un diverso federalismo, capace di coniugare la responsabilità e la sussidiarietà, l'autogoverno e l'interdipendenza. Dovremmo giocare meno in difesa ed essere più propositivi, esportare le nostre eccellenze, fare sistema per farci conoscere come il territorio che si sente parte dell'Italia, ma che vuole anche agganciarsi alle più evolute città europee. Questo per quanto riguarda i rapporti verso l'esterno. Ma è al nostro interno che occorre combattere la partita più dura.
Oggi ci sono molti retori dell'autonomia che dipingono il Trentino come un territorio omogeneo e indistinto, più legato al passato che desideroso di futuro. Ma il Trentino a me pare una terra profondamente diversificata, basti pensare al quasi 9 per cento di stranieri residenti, al numero enorme di cittadini provenienti da altre regioni d'Italia, alla popolazione che per oltre il 50 per cento si concentra nei 12 comuni con più di 5 mila abitanti: anche a questo Trentino variegato, urbano più che valligiano, occorre saper parlare. Da sindaco del capoluogo, non posso non perorare la causa delle città, il cui ruolo è stato spesso misconosciuto e ridimensionato, giocando magari sulle rivalità di campanile. Eppure sono le città i veri punti di forza del tessuto regionale, nazionale ed europeo, sono le città i luoghi in cui si innova, si sperimenta, si promuove la convivenza tra i diversi. Le città, per natura aperte, sono anche l'antidoto alle rivendicazioni localistiche delle macro e micro regioni, padane o montane che siano, che fanno la fortuna di tanti movimenti populisti del vecchio continente.
Su un altro aspetto mi vorrei soffermare. Quello della meritocrazia, parola rilanciata nell'ultimo periodo dal nostro premier Renzi e diventata erroneamente in certi ambienti una bandiera negativa, da contrapporre a quella della solidarietà. Di meritocrazia ha più che mai bisogno il Trentino: ovvero di confronto, all'esterno, con chi è migliore di noi, ma anche di trasparenza nella scelta delle persone, qualsiasi sia il loro incarico, il loro ruolo. Permettere che emergano i migliori significa far progredire l'intera società trentina, significa evitare che le rendite di posizione valgano più delle capacità, significa spezzare corporazioni e dinastie, politiche o economiche che siano.
Caro direttore, grazie per aver promosso questo dibattito, che ha contribuito a rimettere in movimento il pensiero sul nostro futuro. Io credo che se lasciamo che la nostra autonomia si impoverisca e si immiserisca, se le storture dell'autogoverno saranno più numerose dei benefici, non saranno in tanti a scendere in strada per protestare contro la fine di questa straordinaria esperienza politica. Se invece riprendiamo in mano il nostro destino, facendoci guidare non dai calcoli elettorali ma dalle idee, allora le nostre prerogative saranno al sicuro.
Perché non saranno considerate il paradigma del privilegio, ma del buongoverno.