"Egregio Presidente, colleghe e colleghi,
La manovra finanziaria che ci accingiamo a votare segna il vero inizio di un’azione di governo che ha trovato, nelle elezioni dell’ottobre 2013, la sua legittimazione popolare. Questa manovra offre a ciascuno di noi la possibilità di fare il punto sulle ragioni del nostro agire, sulle prospettive che, tutti insieme, vogliamo costruire per il Trentino, terra autonoma dentro un contesto nazionale e internazionale in grande mutamento."
Un contesto, quello nazionale, scarsamente orientato alla valorizzazione delle esperienze di governo territoriale, siano esse articolate nei ruoli e nelle competenze delle regioni a Statuto ordinario, che, a maggior ragione, legittimate dalla loro storica specialità e dalla loro riconosciuta capacità di buon governo.
L’acceso dibattito scaturito in sede di legge di stabilità tra Autonomie regionali e governo circa le cifre di bilancio ed esse destinate, ne è la prova. Quasi che le Regioni, (e a ricaduta i Comuni), enti più vicini alle domande di servizi dei cittadini, fossero divenuti, improvvisamente, “nemici” di un governo centrale ritenuto, solo a parole, più efficace ed efficiente.
Quasi ci si dimenticasse che le Regioni e le Autonomie locali sono legate a doppia mandata al governo centrale che ne determina in gran parte il sistema finanziario, limitando, di gran lunga, la loro facoltà e capacità programmatoria.
La fatica, se non l’avversione, al riconoscimento dell’autonomia dei territori pur vocati ad una solida partecipazione al risanamento dei conti dello Stato, è codificata dentro le maglie della lunga e perigliosa trattativa che ha investito Governo, e Provincie autonome di Trento e Bolzano per addivenire alla conclusione del cosiddetto “patto di garanzia”.
Patto che, restituendo alle nostre due province un quadro più stabile sul piano finanziario, ha di fatto codificato e reso politicamente significativa l’azione congiunta tra governatori del Trentino e dell’Alto Adige, azione che, vorremmo anticipatoria, di una rinnovata collaborazione regionale che troverà dentro la scrittura del terzo statuto la sua visibile articolazione.
Patto che, sancendo il riconoscimento dell’ancoraggio internazionale della nostra Autonomia, ne determina la valenza ed efficacia anche per il Trentino.
Il tema del rapporto Stato-regioni informerà il dibattitto politico e istituzionale per tutto l’arco di questa legislatura, attraversata dalla procedura di revisione del titolo V della Costituzione, dalla riforma del Senato, che vede le Regioni a Statuto speciale e le nostre Province autonome coinvolte solo successivamente all’ adeguamento dei rispettivi Statuti.
Un processo, questo, che necessita, di una sua codificazione istituzionale, anche per parte trentina, e che esige un di più di impegno nella definizione dei nuovi contenuti da condividere, con Bolzano.
Riconoscendo alla riforma costituzionale ora annoverata e all’adeguamento dello Statuto rilevante importanza, ritengo utile sottolineare come la sfida dell’Autonomia non possa essere circoscritta alla riscrittura di sole regole e non possa limitarsi ad annoverare o a riconoscerne le ragioni storiche quasi che alla Storia affidassimo aspetto salvifico, di per sé legittimante “ab aeternum”.
La sfida dell’Autonomia rifugge l’autocompiacimento di una diversità connaturata per abbracciare, con senso di responsabilità, la convinzione che essa è lo strumento con il quale e per il quale riusciamo ad essere apripista, battistrada nel saper fare, nel fornire strumenti e risposte nuove, nel saper dar vita a politiche di sistema che rispondano, in maniera proattiva, al cambiamento.
La sfida dell’Autonomia sta nella messa in rete delle sue Comunità, nella valorizzazione delle loro migliori vocazioni; nella capacità di favorirne la tenuta sociale, la capacità economica, la qualità ambientale, il sentirsi parte di un disegno di territorio unitario di crescita e coesione.
La sfida dell’Autonomia sta nel saper costruire e/o rafforzare reti territoriali lunghe, di collaborazione transfrontaliera e nel tessere proficui rapporti con le regioni confinanti ad est e a ovest del Trentino con le quali condividiamo l’appartenenza all’area alpina.
Della portata di questa sfida ci parlano e questa finanziaria e il programma di sviluppo provinciale per la XV legislatura.
Essi identificano la nostra direzione di marcia esprimono il dove si vuole andare e il che cosa si vuole diventare.
Finanziaria e programma di sviluppo sono strumenti non politicamente neutri. Sono anzi il portato di una declinazione politica ben determinata.
Dico questo perché, signor Presidente, mi hanno molto colpito alcune interviste da lei rilasciate ai quotidiani locali, dove teorizzava, anzi, certificava, l’assoluta addivenuta inconsistenza di categorie politiche quali "destra" e "sinistra". E dove teorizzava e certificava, rifacendosi al pensiero dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, che la vera distinzione ora vigente, sta tutta dentro la dicotomia innovatori/conservatori. E dove rimarcava come lo stesso Presidente del Consiglio fosse al governo con Lupi e Alfano.
E' appena il caso di ricordare che il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha collocato il Pd dentro l'alveo del socialismo europeo ed ha sempre sostenuto che l'atipica alleanza con forze del centro destra è nata, e sta in piedi, solo in forza della necessità di "cambiare le regole del gioco".
Mi hanno molto colpito le sue dichiarazioni, perché rimango convinta che ogni azione, ogni decisione, ogni traccia del governare, non possano dirsi avulsi da un quadro di valori ispiratori. Quegli stessi valori che informano i programmi elettorali (pure il nostro) e che segnano una frattura rispetto ad opzioni politiche alternative.
Perché, se è vero, come è vero, che il nostro tempo discerne tra chi, cogliendo le sfide che la crisi pone, si impegna a produrre idee e strumenti nuovi, e chi si chiude a riccio in difesa dell’indifendibile, tra chi sa adoperarsi positivamente per la realizzazione di obiettivi comuni e chi persevera nella difesa e nella tutela dei vari corporativismi, il nostro tempo discerne anche il come quelle idee e quegli strumenti e il come quegli obiettivi comuni vengono aggiornati e declinati.
E’ dentro questo come che albergano le differenze tra "destra" e "sinistra". E’ come diamo soluzioni ai problemi della vita quotidiana dei cittadini, come tracciamo piste per il rilancio della nostra economia, come facciamo “ripartire il Trentino lungo un sentiero di crescita stabile, inclusivo, sostenibile” (psp), come “decliniamo obiettivo primario il lavoro, soprattutto il lavoro di qualità momento centrale della strutturazione della opportunità individuali (psp), come intendiamo mantenere legate innovazione, coesione e partecipazione sociale.
E’ dentro questi come che si sostanzia un’azione di governo che ribadisco non può definirsi “neutra”.
E perciò stesso non può essere terreno di sperimentazione di maggioranze “variabili”, allungabili, allargabili.
Altro è, signor Presidente, ricercare tutte le convergenze possibili sul terreno del rilancio delle ragioni dell’Autonomia e della trasformazione delle nostre due Provincie in Comunità autonome.
Della cultura dell’Autonomia fatta di assunzione di responsabilità, di corpose capacità amministrative, esercitate con successo grazie, e dentro, una sostanziosa gamma di competenze.
E’ un terreno questo che riguarda davvero tutti.
Costruire nuova, trasparente, trasversale dialettica e unitaria posizione tra maggioranza e minoranza attorno ai temi dell’Autonomia, alla rinegoziazione del suo assetto dentro le modifiche costituzionali, è un obiettivo che ciascuno di noi deve sentire prioritario, facendo nostra la convinzione che fu di Thomas Jefferson 1816.
“(…..)le leggi e le costituzioni devono andare di pari passo con il progresso dello spirito umano: mano a mano che questo si sviluppa, acquistando nuovi lumi, a misura che si fanno nuove scoperte, che nuove verità si dischiudono e che i costumi e le opinioni cambiano al mutare delle circostanze, anche le istituzioni devono tenere il passo con i tempi. Sarebbe come pretendere che un adulto continui ad indossare il vestito che gli stava bene quando era ragazzo”
Ma ritorniamo al come di questa finanziaria.
E’ innegabilmente una manovra che, capitalizzando i risultati ottenuti fin qui, ridefinisce obiettivi e strategie.
Non tanto e non solo alla luce della contrazione finanziaria, quanto piuttosto alla luce delle complessità, senza precedenti, generate dalle dinamiche competitive nazionali e internazionali.
E’ una finanziaria che certifica l’impegno a declinare l’interesse precipuo del nostro territorio, legato alla capacità di praticare la politica come strumento di promozione dell’interesse comune, piuttosto che come sommatoria di spinte corporative e/o individuali.
E’ una finanziaria che chiama un “di più” di politica. Poiché, se è necessario che alla dimensione tecnica siano affidate analisi comparative, approfondimenti, suggerimenti, è altrettanto necessario che sia la politica a definire gli obiettivi comuni, ad assumere decisioni, allargando e favorendo il processo democratico utile alla loro costruzione.
E’ una finanziaria che chiama tutti ad agire ciascuno per la sua parte e ciascuno secondo le proprie responsabilità.
Quella responsabilità che induce alla programmazione del domani fondata sulle priorità, non sulle contingenze, sulle priorità.
La politica di investimento è di per sé l’ambito nel quale praticare l’esercizio delle priorità. Un esercizio che sa distinguere ciò che è strategico ed essenziale da ciò che non lo è, ciò che è urgente, da ciò che può’ aspettare. Bene fa dunque, la Giunta provinciale, a rimodularne scala e tempi, senza, con ciò, introdurre elementi di “dismissioni” o di “presa di distanza” da decisioni precedentemente assunte, che, a ben vedere, se da una parte hanno creato rigidità di bilancio, dall’altra hanno contribuito allo sviluppo del Trentino.
Vorrei signor Presidente dedicare ora attenzione al concetto di “apertura e competitività del territorio Trentino. Un concetto ben visibile e ben declinato in alcuni brani della finanziaria, meno esplorato, meno marcato, forse, in altri.
Noi tutti sappiamo che il vantaggio competitivo di un territorio è dato da un mix di fattori dai quali il sistema produttivo e sociale trae linfa vitale. Il Trentino vanta fattori in grado di determinare un significativo "vantaggio competitivo". Un'alta densità di tessuto relazionale, una specifica, alta, attenzione al capitale umano, un'ancor buona fiducia nelle istituzioni; centri di generazione della ricerca e della conoscenza di ampio respiro nazionale e internazionale; un'elevata coesione sociale. Questo nostro territorio, così "infrastrutturato", sul piano del capitale immateriale, fa bene a dismettere quelle "politiche di garanzia" attuate per "dare una mano" al tessuto economico trentino, strettamente trentino. Intendo dire che è un bene "aprire il Trentino" individuando nuovi strumenti per favorire la crescita: dal "pacchetto attrattività" all'attivazione di forti azioni di marketing territoriale per promuovere l'insediamento di nuove imprese; dalla "sostituzione dei contributi diretti alle imprese con le agevolazioni fiscali irap e credito di imposta; dal miglioramento dell'offerta turistica proiettandola sui mercati nazionali e internazionali grazie alla formulazione di prodotti integrati (natura e cultura) alla promozione di nuova imprenditorialità legata a settori innovativi. (psp)
E' un bene perché solo l'apertura del Trentino può permetterci di giocare il ruolo di protagonisti, nella partita della competitività, ora e nei prossimi anni.
E' la combinazione intelligente ed efficace di risorse interne ed esterne che consente al Trentino attività di alto valore aggiunto, e l'incoraggiare concorrenza dinamica aiuta a rideterminare il rapporto tra pubblico e privato, spinge le persone ad agire e gli imprenditori ad investire, costringe a definire i criteri per scegliere non quanti contributi a pioggia concedere, non quali aziende non più portatrici di futuro anche occupazionale salvare, ma spinge a orientare, secondo priorità strategiche il come e il quanto del sostegno pubblico.
Scegliere dunque è il compito, la facoltà, e soprattutto la responsabilità della politica.
E' ciò che avviene, in questa finanziaria in tema di formazione, riconversione, valorizzazione del capitale umano. Elemento questo, primo e imprescindibile per definire e consolidare le strategie di sviluppo del Trentino.
E' significativo, a tal proposito, il passaggio, permesso dalla competenza integrativa in tema di ammortizzatori sociali, da un sistema di tutela e sostegni a favore dei lavoratori disoccupati, ad un sistema di loro riorientamento, di loro riqualificazione finalizzato alla dismissione di una concezione, sin troppo assistenzialista e, forse, mortificante, e orientato ad una loro nuova assunzione di ruolo e responsabilità dentro la dinamica produttiva.
Né si può sottacere l'attenzione riservata agli investimenti finalizzati all'accesso al mondo del lavoro a favore delle giovani generazioni. Il piano "garanzia giovani", la formazione in apprendistato, l'irrobustimento del raccordo tra scuola, alta formazione e mondo del lavoro, (PSP) gli investimenti in meccatronica.
Sono strategie sicuramente foriere di positivi sviluppi.
Questo anno di governo, signor Presidente, e questa manovra, hanno ridato centralità al tema della scuola. Sia sul piano organizzativo interno, con la stabilizzazione di un gran numero di docenti, sia sul piano dell’aggiornamento della proposta formativa.
L’obiettivo "Trentino trilingue" corrisponde alla scelta di pensare all’apertura delle giovani generazioni al mondo, all’Europa, grazie alla dimestichezza con le lingue a noi vicine.
E’ un obiettivo alto, questo, anticipatore della riforma cosiddetta della “buona scuola” alla quale il governo Renzi sta lavorando. Quell’innovazione, anticipatoria le azioni del Governo, che l’Autonomia è chiamata a fare e a sperimentare, incoraggiando anche i giovani trentini a varcare i confini per accrescere competenze, talenti, autonomie e capacità che, una volta rientrati, potranno mettere a disposizione della nostra comunità.
Ma se il progetto “Trentino trilingue” ha questa positiva valenza, e se questa innovazione ci vede convinti (pur con qualche perplessità legata alla non possibilità di scelta, da parte dei giovani, su quali lingue praticare), è necessario non abbassare l’attenzione su ciò che la scuola è e vogliamo che sia: luogo in cui imparare a pensare, luogo che deve fornire la “cassetta degli attrezzi” per affrontare la vita quotidiana, con autonomia responsabilità, senso critico, luogo dove crescono cittadine e cittadini consapevoli dei valori contenuti nella nostra carta Costituzionale.
Noto però uno scarto, tra queste proposte, sottolineo fortemente condivise, e la necessità di un messaggio alto, in rapporto alla formazione e al suo valore, del quale, la politica, deve farsi carico.
E' uno scarto, oserei dire, culturale. Quasi che la crisi e le sue nefaste conseguenze in termini di fatica del vivere quotidiano e di costruzione di futuro delle persone sollecitasse, inducesse a pensare, che studiare, specializzarsi, laurearsi, siano divenuti "fattori residuali" un lusso che, alla fine, non paga.
Prova ne sia "la fatica" degli studenti trentini a scegliere un percorso di formazione universitaria, pur godendo, il nostro Trentino, della presenza di una delle migliori, per proposta formativa e qualità dei servizi, università.
Forse, per rimediare a questo gap e’ sufficiente migliorare la gamma delle “facilites” legate al diritto allo studio. Penso, per esempio alle azioni volte contenimento delle tasse universitarie, o quelle volte a rafforzare l’investimento in borse di studio (rivedendone contestualmente i requisiti di accesso).
Azioni che sono sicuramente, un incentivo foriero di un "di più". E’ nostra responsabilità, però, concentrarci anche sulle pre-convinzioni, sulle pre-condizioni che, attualmente, a me sembrano, dentro il nostro tessuto sociale, fortemente indebolite. Quella pre-convinzioni, pre-condizioni secondo le quali la formazione universitaria non è solo un fatto individuale ma è elemento conveniente per la comunità. Una comunità che, per far fronte ai cambiamenti, abbisogna di maggiori competenze, di maggiori capacità interpretative, di maggior spirito critico, di maggior capacità di lettura delle complessità.
Dovremmo operare alcuni sforzi.
Trasmettere il concetto che il sapere è un "bene comune" e non solo una merce alla quale assegnare valore. Riconoscere al sapere la chiave interpretativa del mondo, Incoraggiare al sapere come stimolo al miglioramento di sé e contributo al progresso della comunità intera.
Sono questi, se li vogliamo leggere, i principi ispiratori del "Piano strategico dell'Università (2014-2016) costruito con inedita procedura, quella della "partecipazione dal basso", dando voce a docenti, ricercatori, studenti, operatori amministrativi e tecnici. Un piano che ha tracciato le linee di sviluppo della nostra università, nel suo rapporto con il territorio e con il resto del mondo. Questo piano costituisce un grande contributo alla riflessione e alla concretizzazione del rapporto esistente tra "valore della conoscenza", l' essere fattore di contaminazione e di crescita, leva dello sviluppo di una comunità.
Sarebbe davvero miope, signor Presidente, se l'istituzione Provincia intendesse confinare i rapporti con la sua Università a mere questioni di finanziamento, già per altro delegabili a tavoli di pattuizione prestabiliti, rinunciando a tessere, con essa, quella gamma di adeguate azioni finalizzate a riattualizzare l'idea stessa di università che il già Presidente e Senatore Bruno Kessler metteva sul piatto di un Trentino allora diffidente.
L'idea di costruire nuova, forte, competitiva classe dirigente trentina. Quell'idea che oggi, ancor più di ieri, appare attuale, per traslare il Trentino al mondo e il mondo al Trentino.
Signor Presidente, è conclamato che il tema della formazione del capitale umano sia uno dei tratti salienti di questa nostra azione di governo. Il capitale umano dell'oggi, e quello che verrà, sarà cittadino non solo trentino, ma dell'Europa e del mondo. E con l'Europa e con il mondo avrà a che fare in modo più intenso, e forse più "crudo", se letto in termini competitivi, di quello che oggi conosciamo.
Ma, signor Presidente, se il tema della formazione ci sta così a cuore, non possiamo retrocedere rispetto alla convinzione che la formazione sia di per sé un fatto non statico. Che la formazione riguardi ciascuno di noi in ogni momento della vita. Che la formazione sia quell'arma che ci consente di essere attrezzati di fronte ai tempi che cambiano. A tal proposito Signor Presidente la invito a presidiare la fase regolamentativa della legge sul "life long learning" approvata nella precedente legislatura.
La filiera della conoscenza, non può che incontrare sul suo percorso le declinazioni della ricerca e della cultura.
In epoca di contrazione della spesa pubblica è forte la tentazione di far vivere anche alla ricerca la disciplina dell'austerità. Quasi che la spesa in ricerca, come avrò modo di dire più avanti in cultura, fossero un "di più", un lusso, un vezzo, che la crisi suggerisce di contenere se non di eliminare.
Non sono a dire, signor Presidente, che il nostro governo stia dismettendo gli investimenti in ricerca. Sono a dire che è bene per il Trentino mantenere la barra dritta, certificando che la "spesa" in ricerca è una "spesa di investimento" non una spesa corrente. Visto che la ricerca produce i suoi effetti in tempi dilazionabili, non paragonabili con "l'hic et nunc" del tempo nostro.
Né penso che la ricerca debba essere sostenuta a prescindere. Un alto grado di attenzione alle ricadute dei finanziamenti pubblici alla ricerca, va mantenuto, se non potenziato.
Quel grado di attenzione, che affiderei alla valutazione "ex ante" ed "ex post" alla quale ogni progetto, che deve trovare dimora dentro una programmazione pluriennale pattuita, va sottoposto.
Si tratta di irrobustire la regia per costruire un orizzonte strategico condiviso, salvaguardando, da una parte la vocazione della ricerca a raggiungere progressivi risultati scientifici, e dall'altra la necessità che la ricerca sia "utile" a settori considerati di importanza strategica per il Trentino.
Irrobustire la regia significa aggiornare, se del caso, le linee di indirizzo già individuate dalla precedente legislatura, depotenziando, così, la percezione che sulla ricerca si stiano giocando tardive partite di "posizionamento" piuttosto che di prospettiva.
Irrobustire la regia significa definire il "chi fa che cosa" introducendo un approccio di sistema che permetta ai soggetti di agire insieme e non "l'uno contro l'altro armati". A maggior ragione se i soggetti in questione afferiscono, per le risorse, allo stesso capitolo di bilancio provinciale. Per questi enti conoscere obiettivi e funzioni specifiche a loro affidate è del tutto importante e del tutto foriero di positive interazioni con gli "altri da sé".
Signor Presidente, il PSP ci consegna, tra le molte altre strategie, tre importanti progetti cosi definiti "interserettoriali", per meglio rispondere al carattere di trasversalità di alcuni obiettivi prioritari a forte valenza strategica per il governo provinciale.
Essi sono: il progetto Trentino trilingue, il progetto collegamento scuola-lavoro, il progetto cooperazione territoriale.
Progetti che, finalmente certificano il benvenuto sconfinamento tra competenze assessorili determinate sul piano politico ed eccellenze presenti sul piano tecnico.
E' lapalissiano manifestarle la mia assoluta convinzione in merito.
E però mi chiedo: di fronte alla constatazione che non esistono automatismi per lo sviluppo, poiché i saperi da soli non governano lo sviluppo, e la ricerca "da sola" non produce competitività, non è necessario pensare ad una "governance" integrata, funzionale a promuovere relazioni forti tra gli attori? Non è bene "superare" attraverso un progetto "intersettoriale" questa "frantumazione" del filone della conoscenza che logiche politiche hanno di fatto diviso?
Della filiera della conoscenza fa parte, a pieno titolo, la cultura, elemento costitutivo della nostra identità in continua evoluzione, del nostro raccontarci, risorsa per la crescita e la formazione, elemento di creazione di valore economico.
Questa finanziaria, signor Presidente, non vede, nell’esplicarsi del suo articolato, novità in tema.
Giustamente si è scelta un’altra strada, poiché le “novità” contenute nelle linee di indirizzo presentate dall’Assessore alla commissione competente, conducono ad una sostanziale revisione della legge 15/2007, andando esse ad incidere, in modo significativo, sui sistemi di governance della rete museale provinciale e di quella dello spettacolo.
E però il bilancio, che voteremo contestualmente alla legge finanziaria, racconta di una significativa diminuzione delle risorse destinate alla cultura, attorno al sette e mezzo per cento. Tale diminuzione di risorse viene motivata dalle presunte economicità di spesa data dalla revisione dell’assetto organizzativo del sistema museale provinciale che dovrebbe vedere la luce nel corso del 2015. Un processo, questo, che non credo possa definirsi neutro. Né in rapporto al ruolo che intendiamo debba essere esercitato da un museo, né in rapporto al significato che attribuiamo alla relazione tra questo, il territorio di appartenenza, e il resto del mondo; un processo che, inoltre, non credo possa essere compiuto a prescindere da un’operazione d’ascolto e condivisione con le competenze presenti nel museo stesso.
Sono dell’avviso, signor Presidente, che la riorganizzazione di musei debba essere conseguente l’aggiornamento della mission e degli obiettivi che questo governo intende, ad essi, affidare. Mission e obiettivi che dovrebbero divenire “carta fondante” la successiva azione dei consigli di amministrazione, laddove siano previsti, o, in loro assenza, dei direttori. “Carta fondante” che consentirebbe di nominare dentro i consigli di amministrazione, e ancor più a ricoprire la posizione di direttore, la persona che più si attaglia, per profilo, competenze, e capacità di proposta, al raggiungimento di quegli obiettivi, e che consentirebbe, ex post, di ancorarne la valutazione ad elementi oggettivi e non ad estemporanei “sentiment”.
Inutile dire che le anticipate dimissioni della dott.ssa Collu da Direttrice del Mart e le più recenti dimissioni del dott. Feltrinelli dal Consiglio di amministrazione siano da considerare, oltre che una grave perdita, una marcata denuncia di una situazione involutiva che il Mart e il Trentino stesso non si possono permettere.
Situazione involutiva che pare contrassegnare anche il rapporto tra musei provinciali.
Musei che, in attesa della più volte annoverata riorganizzazione, sembrano giocare, uno ad uno, una partita su tavoli separati. Eppure sarebbe il tempo delle sinergie; della consapevolezza che “nessuno si salva da solo”; della coscienza che il sistema museale trentino può essere altamente competitivo nella misura in cui riesce a scrivere un unitario spartito. Spartito composto da più note e più voci; quelle note e quelle voci che appartengono alle realtà museali di non diretta affiliazione provinciale.
Ho il timore, che l’ansia di “miglior gestione”, che colpisce anche la permanenza delle risorse umane nei musei, vero loro pilastro, assuma un carattere sovrastante il dovere dell’azionista di maggioranza Provincia di produrre pensiero e strategia culturale. Quella strategia che non può che considerare i musei sì ricchezza di questa terra, ma soprattutto strumenti di respiro nazionale e internazionale.
Il fermento culturale trentino, le sue diverse espressioni, la sua ricchezza, non può essere ricondotto alla sola dimensione museale provinciale.
L’analisi prodotta dalle già citate linee di indirizzo è un’analisi completa, che consegna ad ognuno di noi la lettura dei punti di forza e di debolezza di un mondo culturale articolato, suddiviso in “piattaforme”, tutela e conservazione, realtà museali ed espositive variegate (non solo limitate ai quattro musei provinciali), biblioteche, formazione musicale, reti dello spettacolo, mondo associativo che conta circa 3500 unità tra associazioni, federazioni e volontariato.
Realtà che interrogano la politica circa l’articolarsi delle nuove strategie provinciali, che, al momento, sono mute rispetto alle necessità di cambiamento e innovazione che esse esprimono.
Quel cambiamento che deve conoscere l’interazione e la valorizzazione di tutte le “piattaforme” sopra descritte, che conosca l’introduzione di sistemi di valutazione del prodotto culturale legati ad indicatori di qualità (quali base di finanziamento), che incoraggi e sostenga le start-up di produzione culturale, le industrie creative, almeno nella loro fase di avviamento, occasioni, queste, di autonomia e di lavoro per i giovani, che promuova, grazie alla cultura, sviluppo e qualità sociale.
Signor Presidente, innovare, per la cultura e con la cultura è dunque il nostro compito.
Per la cultura e con la cultura, sottolineo.
“Per e con”, perché rimango convinta che ogni progetto di riforma, si esercita solo ascoltando voci, intelligenze, talenti e competenze.
Le riforme, per essere vincenti, rifuggono la logica impositiva.
Logica che, a ben vedere ha poco a che spartire con la storia di una terra che ha fatto del coinvolgimento degli attori, del colloquio con gli stakeholder, della elaborazione di una sintesi condivisa, il suo tratto distintivo.
Credo sia giunto il tempo, signor Presidente di aprire un grande cantiere di riflessione in ambito culturale in grado di riscrivere il necessario rapporto tra cultura, identità e sviluppo. Un’arena di idee e intelligenze delle quali fare tesoro per poi praticare scelte, come compete alla politica, ma scelte chiare e partecipate.
Derubricare la riforma della cultura a pura pratica gestionale, o scriverne gli assi portanti, in assenza di contaminazione con chi di quel mondo è protagonista, sarebbe operazione perdente. Poiché la cultura, “bene comune” non parla il linguaggio del singolo, ma il linguaggio dell’intera comunità.
Chiudo signor Presidente questo mio contributo con un’ultima riflessione, ritornando, se vogliamo, alla dimensione politica.
Il nostro sistema politico-istituzionale, ci consegna una rigida ripartizione dei compiti tra Giunta e Consiglio.
E’ la Giunta ad essere il centro delle decisioni, sommando su sé un’altissima concentrazione di poteri.
Eppure, questa Giunta, composta per la prima volta, senza il meccanismo della porta girevole, meccanismo che garantiva netta separazione tra esecutivo e legislativo, pare risentire della fatica del "doppio ruolo" rivestito dagli Assessori.
Un "doppio ruolo" che fa indossare loro, contemporaneamente, il vestito di Consigliere e quello di componente del Governo.
L'eliminazione della "porta girevole", se da un lato ha favorito e favorisce, una maggior presenza degli Assessori in aula, e quindi una maggior interazione tra le due articolazioni istituzionali, (giunta e consiglio appunto), dall'altro ha, forse, accentuato, rispetto al passato, l'essere la Giunta sommatoria di sensibilità partitiche, piuttosto che squadra unitaria.
E' nella Giunta, quindi, che vanno cercate tutte le strade della maggior condivisione possibile circa le decisioni da assumere per la miglior traduzione del programma di governo.
Non voglio, con ciò, asserire, Signor Presidente, che i confronti tra Giunta e maggioranza siano divenuti obsoleti.
Un buon governo sa che non può fare a meno dell'apporto, delle qualità, delle competenze, delle esperienze, insite nella squadra che lo sostiene.
Un buon governo sa, che i risultati migliori si ottengono dalla sintesi di più voci, che vanno ascoltate, e, possibilmente, valorizzate.
Abbiamo però bisogno di una marcia in più.
Voglio dire, Signor Presidente, che per concretizzare un programma che conosce elementi di conservazione ed elementi di innovazione, è necessario sviluppare un di “più” di capacità politica e relazionale non solo con i corpi intermedi della nostra comunità, ma con la comunità intera. La cura della “dimensione politica”, fatta di concertazioni e mediazioni, è l’unica via che può consentire al nostro governo di operare riforme, anche difficili, evitando quegli “stop and go” che, purtroppo, hanno caratterizzato la nostra azione in questo anno.
Signor Presidente, rivolgo a Lei, quale garante della Giunta e dell’intera maggioranza, l’invito ad irrobustire la nostra capacità di far camminare il Trentino, tutto intero, nel processo di riforma; ad investire ancora sulla coesione sociale del Trentino, vero tratto caratterizzante questa terra.
La sua maggioranza e i partiti che la compongono, sanno che la sfida è importante.
La maggioranza e i partiti che la compongono, pur non rinunciando ad esercitare, fino in fondo, il loro compito di indirizzo e proposta rispetto all’azione di governo, sostengono e sosterranno Lei e il suo esecutivo nell’esercizio delle responsabilità e nel coraggio dell’innovazione.
Grazie.