La Provincia non può più risolvere tutti i problemi. La strada da intraprendere è quella di aprire molti cantieri dove elaborare idee. Con il consueto rigoroso acume Simone Casalini, nel suo editoriale pubblicato sul Corriere del Trentino di martedì, ha individuato nelle iniziative di governatore ed ex governatore della Provincia autonoma il rischio di un’ulteriore divisione nel centrosinistra autonomista che può essere scongiurato solo rimettendo al centro politica e cultura.
Alessandro Olivi, "Corriere del Trentino", 4 dicembre 2014
Sembrerebbe un’osservazione quasi pleonastica, ma in realtà è proprio la politica come progetto collettivo che si è persa cedendo il passo alla tentazione di leadership solitarie che vorrebbero costruirsi la loro legittimazione attraverso la prevalente empatia consensuale. Così anche la cultura, intesa come infrastruttura immateriale fatta di conoscenze ed esperienze, saperi e competenze da cui non può prescindere chi ha la responsabilità di ancorare il proprio agire amministrativo a solidi valori di riferimento.
La stessa affermazione del presidente Rossi in una recente intervista, secondo cui destra e sinistra non esistono più, in qualche modo diventa lo specchio di un tentativo semplificatorio di elevare a virtù politica il pragmatismo amministrativo. Che per carità, quando ci vuole ci vuole, ma da solo non basta. Il Trentino ha sempre avuto fame di politica, ha costruito la sua coesione sociale e civile attraverso la costruzione di un tessuto partecipativo che si è alimentato su idee forti e plasmate dal tempo sullo sviluppo, sul lavoro, sull’ambiente, sulla conoscenza.
La cornice politica attuale, come scrive Casalini, è orfana di partiti o meglio, i partiti ci sono ma hanno per lo più rinunciato al ruolo di luoghi di costruzione di pensiero, di formazione politica, di stimolo anche critico all’operato del governo.
Ecco allora che le iniziative dei singoli pensano di colmare tale vuoto, ma sarà uno sforzo vano se non interpretato come contributo più o meno generoso all’apertura di un cantiere di idee e proposte per il futuro della società trentina da cui i partiti, riappropriandosi del proprio ruolo, dovranno saper attingere per recuperare anche elementi coesivi al proprio interno e dentro la coalizione.
Lo spazio vuoto
Sembra che pure in Trentino cresca la voglia, da cui non sono immuni alcuni vertici istituzionali, di creare tra il livello politico e i singoli cittadini uno spazio vuoto liberato dalle strutture e dai corpi intermedi.
Sia chiaro, abbiamo alle spalle un passato, soprattutto a livello nazionale, dove la proliferazione delle sedi del confronto hanno appesantito i processi decisionali, impaludato la pubblica amministrazione e sotto questo punto di vista il processo di cambiamento che Renzi ha avviato non deve essere ostacolato da opzioni nostalgiche. Ma è il Trentino ancora una volta a essere diverso, nonostante ciò che afferma l’ex ministro di Forza Italia, Mariastella Gelmini, la quale l’altra sera a «Porta a Porta» urlava la necessità di abolire le autonomie speciali senza neanche sapere di cosa parla.
La nostra terra ha costruito i suoi livelli di benessere sociale, di qualità della vita, di tradizioni democratiche e partecipative proprio attraverso la capacità di valorizzare il pluralismo della società, il protagonismo e la laboriosità delle sue articolazioni collettive che è esattamente il contrario della disintermediazione calcolata tra classe dirigente e singoli cittadini.
Il rischio da evitare
Come scrive Giuseppe De Rita (Corriere della Sera di martedì) il consenso si conquista con la quotidiana fatica di capire gli individui e i problemi; la tentazione della disintermediazione rischia di rimanere nuda di fronte a una società che è complessa, soprattutto quella trentina non verticale ma solidificata attraverso le reti della partecipazione.
Faccio solo un esempio che mi deriva dall’esperienza di questi anni dentro i problemi acuti della crisi: per capire cosa succede davvero in una fabbrica non è sufficiente partecipare a qualche sofisticato convegno sulla concertazione, quanto piuttosto ascoltare la voce del delegato di reparto che tutti i giorni è piegato a lavorare sulla macchina e che conosce tutto di quel luogo di fatica, di produzione economico-sociale.
In Trentino oggi non abbiamo bisogno delle convergenze parallele — in quanto tali non comunicanti — di cui ci dice Casalini, ma di ritrovare insieme il soffio ispiratore di una nuova stagione dell’autonomia che ha bisogno di rifondarsi. Sì, perché il prima e il dopo non sono categorie temporali astratte; soprattutto in mezzo c’è la cruda realtà di un’autonomia che si è trovata di fronte a un ospite inatteso, la crisi: meno risorse finanziare, minor capacità di competere nelle relazioni con chi sta al di fuori di noi. Ai trentini bisogna dire la verità: il cambiamento non passa semplificatoriamente attraverso la rimozione di ciò che è stato (vedi l’archiviazione delle leadership non considerate più attuali), bensì attraverso una presa di coscienza collettiva della necessità di stringere un patto dove ognuno è in grado di assumersi le proprie responsabilità senza scorciatoia alcuna.
Occorre dire, per esempio, che non basta più la Provincia a risolvere tutti i problemi, anche se spesso i trentini è questo che vogliono sentirsi dire. Per muoversi in una simile direzione — sia che il tema riguardi la sanità, la ricerca o le infrastrutture per modernizzare il territorio — la strada da intraprendere è di aprire non uno ma più cantieri di discussione ed elaborazione politica.
Esattamente il contrario del parlare a sé stessi.