Si sta per chiudere un 2014 che qualcuno immaginava come l’anno della ripresa per l’economia italiana. Ma la realtà si è dimostrata più forte dei proclami e degli annunci, e gli indicatori fotografano una situazione economica ancora in crisi, con la produzione al palo e un mercato del lavoro che fatica ad assorbire i tanti, troppi disoccupati.Bruno Dorigatti, "Trentino", 9 novembre 2014
In Trentino reggiamo il colpo, ma non possiamo dirci immuni dalla crisi: al contrario, il settore industriale perde pezzi importanti e l’occupazione, specie quella giovanile, non dà ancora significativi segni di miglioramento. Ma c’è un elemento positivo e di speranza: a fronte di questa difficoltà, nessuno è rimasto fermo. Con grande responsabilità le Istituzioni e le parti sociali hanno deciso di intraprendere una strada non scontata, di questi tempi: quella che punta ad un modello di relazioni improntato al dialogo e al confronto, e non ad azioni unilaterali e verticistiche. Ne è un esempio il “Patto per lo sviluppo e il lavoro” firmato nell’aprile scorso dalla Provincia, dalle organizzazioni degli imprenditori e dai sindacati. Un Patto che parla di innovazione, qualificazione del lavoro, istruzione e formazione, e lo fa partendo da un presupposto: il confronto aperto tra le parti sociali e le Istituzioni è la chiave per definire le strategie di sviluppo del nostro territorio.
Questo è l’orizzonte giusto: la crisi non è finita e probabilmente non è destinata a risolversi in tempi brevi, come quelle cui siamo stati abituati nel corso del Novecento, ma la strada su cui abbiamo deciso di avviarci, pur non essendo semplice e lineare, è l’unica che può portarci verso un futuro di solidità economica, di benessere e di uguaglianza per tutta la comunità trentina.
In Italia non sembra che si sia scelto di imboccare la stessa strada. Il Governo ha deciso di eliminare la parola “concertazione” dal suo vocabolario, considerandola una parolaccia. Ha deciso che il dialogo debba essere soppiantato dal decisionismo. Che il confronto non sia una buona prassi, ma al massimo una gentile concessione. Che le voci critiche siano semplici “gufi” e che quelli in disaccordo con le sue proposte si debbano mettere il cuore in pace, se ne debbano fare una ragione.
Il braccio di ferro che ha deciso di aprire con le parti sociali sta cominciando a creare danni. Il conflitto sociale non è mai stato così acceso da anni a questa parte: l’errore di Renzi, gravissimo, è stato quello di sottovalutare il ruolo delle organizzazioni sindacali nel mantenimento di quella coesione sociale che è condizione indispensabile per uscire dalla recessione e progettare lo sviluppo. Ha parlato per mesi dei sindacati come una setta di conservatori, opportunisti, fossili di un tempo ormai passato: non si è reso conto che, mentre parlava, i sindacati stavano firmando accordi spesso dolorosi per i lavoratori, stavano concordando procedure di cassa integrazione e la chiusura di intere aziende, si stavano insomma sporcando le mani per ridurre il più possibile i contraccolpi sociali della crisi.
I Paesi del centro e nord Europa sono spesso presi ad esempio quando si parla di mercato del lavoro e politiche per l’occupazione: ma è grottesco ignorare che quei modelli funzionano grazie e non malgrado i sindacati, in ragione di un sistema di relazioni industriali maturo e dialettico, dove la partecipazione dei lavoratori non è un tabù, ma un fondamento del sistema. In Trentino da tre decenni siamo all’avanguardia tra le Regioni italiane: ora noi dobbiamo avere la forza di andare avanti su questo percorso, consapevoli che la coesione sociale è il nostro patrimonio più importante, e il Governo Renzi farebbe bene a guardare con meno presunzione alle esperienze che hanno dimostrato di funzionare.
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