La tecnica, la politica e le risposte

Tra Juncker e Renzi sono volati gli stracci. Ma al di là degli aspetti politici e mediatici - non trascurabili, le dichiarazioni sono anche sul piano del consenso - lo scontro verbale tra neopresidente della Commissione europea e Presidente del Consiglio italiano svela un serio conflitto ideologico sulla concezione della democrazia. Problema sul tappeto da tempo, perché in tutto il mondo “democratico” emergono i limiti dei processi decisionali tradizionali, la crisi di legittimazione della rappresentanza, la necessità di introdurre correttivi e la loro ancora scarsa elaborazione. Semplificando un po’, le risposte sono state finora principalmente di due tipi.
Francesco Palermo, "Trentino", 6 novembre 2014

La prima, sposata con forza dal Presidente del Consiglio italiano, è quella del “primato della politica”. La politica decide, le strutture burocratiche eseguono, i “tecnici” trovano il modo di far funzionare la cosa. “Politica” è intesa come rappresentanza elettiva basata sul consenso, con la netta prevalenza della dimensione nazionale rispetto a quella subnazionale (vedi la considerazione delle regioni) e sovra-nazionale: l’Unione europea è quindi vista sì come un interlocutore fondamentale, ma pur sempre come uno strumento di espressione della sovranità degli stati. Sono gli stati e dunque i governi gli attori principali in quanto titolari del consenso politico nazionale basato sulla logica della maggioranza, e il modo più efficiente di esercizio della sovranità statale in determinate materie, nelle quali la dimensione nazionale è insufficiente, è la condivisione attraverso forme di integrazione come l’Unione europea. Che è dunque uno strumento a servizio degli stati.

La seconda, incarnata nella risposta del Presidente della Commissione europea, è quella “tecnocratica”, per quanto anch’essa dotata di una legittimazione politica. Le incongruenze delle politiche nazionali (che esistono in tutti i Paesi) vanno arginate tramite regole elaborate secondo logiche non politiche ma “tecniche”. Queste (rappresentate dalla Commissione) sono poi eventualmente bilanciate da passaggi politici (il ruolo del Parlamento europeo, del Consiglio europeo e dei ministri, eventualmente i Parlamenti nazionali) ma restano fondate sulla composizione razionale degli interessi, non su quella politica.

Una terza via sta diventando progressivamente più popolare anche se non ha ancora una forza paragonabile alle prime due: la decisione diretta, anche attraverso le potenzialità della rete.

Tendenzialmente tutte queste impostazioni si fondano su assiomi ideologici.

La prima sulla inevitabile prevalenza della politica come processo rappresentativo e di mediazione di interessi, fondato sul sistema “meno imperfetto” che si sia finora inventato: la democrazia rappresentativa fondata su elezioni uguali, libere e segrete.

La seconda sulla maggiore razionalità della scelta tecnica che, scevra da valutazioni politiche, trae la sua forza sistemica e la sua legittimazione dalla qualità intrinseca della decisione.

La terza sull’assunto della sovranità popolare, sul fatto che siccome il popolo è il “datore di lavoro” di politici e tecnici, abbia per questo sempre ragione.
Ovviamente tutte queste impostazioni contengono una parte di verità. Ma contengono anche problemi seri.

Le logiche politiche sono spesso insensate sotto il profilo della sostenibilità tecnica, e la politica è quella cosa che fa stare in piedi un ponte anche violando tutte le leggi della fisica. Ma ovviamente prima o poi quel ponte crolla.

La scelta tecnica è a sua volta spesso ideologica, specie in ambiti fortemente politici come l’economia. E’ di ieri l’ammissione del Fondo monetario internazionale di avere sbagliato a raccomandare politiche di austerità nel picco della crisi tra il 2010 e il 2011. Milioni di disoccupati, drammi familiari, interi Paesi in bancarotta e… “ci siamo sbagliati”. Alla faccia…

Infine la decisione popolare, che pure prende forza quanto più la perdono la politica e la tecnocrazia, è quella che da sempre ha portato il popolo a liberare Barabba e condannare Gesù…

Semplificazioni a parte, il punto sta proprio qui. Non esistono strumenti decisionali perfetti e infallibili. E guai a pensare che la risposta possa essere univoca. La via d’uscita è inevitabilmente nella commistione di questi metodi, che devono convivere tra loro e con altri e nuovi strumenti. Tra questi in particolare la partecipazione, che consente di supportare il processo politico attraverso il coinvolgimento preventivo degli interessati (una forma vicina alla democrazia diretta) e la discussione delle questioni tecniche (qualcosa di vicino alla decisione tecnocratica).

Insomma, scontri verbali a parte, la vera questione è rassegnarsi ad accettare che le decisioni nel mondo contemporaneo diventano più complesse, non più semplici, e che non possono esistere pretese di infallibilità né di esclusività. Noioso? Sì. Nei film hollywoodiani si direbbe che “è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo”.

Difficile condensare queste considerazioni in un articolo e impossibile farlo in un tweet. Ma se non ci si interroga e non si lavora su questo piano, ci si dovrà accontentare di sterili polemiche e rassegnarsi a non vedere crescere la qualità della democrazia. Sarà noioso ma è un problemino non da poco.