RIFORMA ISTITUZIONALE - L'intervento in aula del Capogruppo ALESSIO MANICA

"La riforma istituzionale del 2006 nasce con l’intento di garantire ai territori gli strumenti istituzionali, amministrativi e politici per esercitare una reale autonomia nei processi decisionali di carattere territoriale e socio-economico. Ma tentava anche di risolvere due questioni storicamente caratterizzanti la struttura istituzionale ed ordinamentale del Trentino, caratterizzata da un forte accentramento di poteri, competenze e funzioni in capo alla Provincia (sempre di più a partire dal Secondo Statuto, con il parallelo “svuotamento” della Regione e con il passaggio di competenze dallo Stato alla Provincia) e, dall’altro, da una fortissima frammentazione dei comuni (223, ora 210)." 
Alessio Manica, 5 novembre 2014



"E quindi,
a) lo scarto tra il numero complessivo dei Comuni e il numero di quelli in condizione, per dimensioni, di esercitare competenze e funzioni in maniera efficiente ed efficace sulla base dei principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza; e,
b), l’esigenza di affrontare con politiche sovracomunali questioni che, date le caratteristiche territoriali e ordinamentali del Trentino, non risultano adeguate né ad una gestione provinciale né comunale.

I principi alla base della riforma, elencati nel corso della Seduta congiunta del Consiglio provinciale e della Conferenza permanente per i rapporti tra la Provincia e le autonomie locali del 18 settembre 2007, sono:


- salvaguardia delle identità delle collettività locali

- valorizzazione dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati

- attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza

- garanzia delle stesse opportunità e di livelli minimi di servizio per tutti i cittadini e territori

- sostenibilità dello sviluppo

- partecipazione degli enti locali alla determinazione delle politiche provinciali 

La riforma ha previsto la ridefinizione della struttura di governance della Provincia, individuando funzioni proprie in capo ai tre livelli di governo e funzioni comunali sottoposte all’obbligo di gestione associata per mezzo delle Comunità. È difficile pensare che la maggior parte delle funzioni amministrative possano essere efficacemente gestite dai comuni, ma sarebbe altrettanto dannoso prospettare un centralismo provinciale nella gestione delle medesime. Questo allontanerebbe l’azione amministrativa dai territori e dalle rispettive collettività, riproponendo, all’interno dell’autonomia provinciale, forme di centralismo classicamente statale, peraltro molto evidente negli ultimi anni.

La riforma del 2006 s’inseriva nel solco tracciato a partire dagli anni ’60 con il primo Piano Urbanistico Provinciale (PUP), il quale aveva immaginato uno sviluppo del Trentino in senso policentrico con un forte decentramento di servizi e funzioni urbane anche nelle aree periferiche e montane della Provincia (in questo senso è da intendersi la nascita dei Comprensori quali soggetti attraverso i quali realizzare il decentramento di funzioni e servizi moderni nelle valli trentine). La riforma del 2006, assieme alla riforma urbanistica del 2008 che ha fatto delle Comunità il soggetto principale delle funzioni di governo e pianificazione territoriale e socioeconomica, ha cercato di reinterpretare in chiave moderna gli obiettivi che il legislatore si è posto fin dalla discussione sul primo PUP. In questo quadro storico, caratterizzato ora come allora dall’esigenza di coniugare le funzioni territoriali con funzioni e servizi di tipo urbano al fine di scongiurare lo spopolamento dei nostri territori o la condanna ad un perenne pendolarismo, le Comunità, intese come soggetti del trasferimento (non più decentramento…in questo senso le Comunità sono soggetti politici) di funzioni provinciali e di aggregazione di funzioni comunali, trovano una loro coerenza e una loro legittimazione all’interno dell’ordinamento trentino.

La strada intrapresa dal legislatore nel 2006 era finalizzata alla creazione di una governance territoriale multi-livello, coerente con la natura della nostra comunità autonoma e con la sua configurazione geografica, storica e sociale. Il nostro è un territorio di montagna, in cui c’è il rischio di concentrare nelle aree urbane tutte le opportunità. Le Comunità sono in tal senso un’opportunità di protagonismo istituzionale per tutte le nostre comunità, soprattutto se collocate all’interno delle nostre valli. Le Comunità hanno il compito, ciascuna nel proprio ambito territoriale, di assolvere quelle funzioni e gestire quei servizi che a livello di singolo comune non è pensabile possano essere svolte, se non in pochissimi casi, oggi più di ieri.

Credo sia utile ricordarsi brevemente quale fosse e quale sia a mio avviso il disegno su cui si è innestata la riforma istituzionale, che rimane attuale e corretto anche a valle delle difficoltà attuative riscontrate.

Il ruolo delle Comunità, che questa riforma semplifica nella loro struttura e nel loro funzionamento ma non svuota di competenze e poteri, assume in tal senso un ruolo ancora più determinante ora che le condizioni di contesto e la contrazione dei bilanci pubblici impongono una razionalizzazione dell’intero sistema territoriale.

Certo la loro capacità di pianificazione è ancora per buona parte da conquistare, per le innegabili difficoltà di questi anni, ma è una sfida che va perseguita se crediamo nelle capacità di partecipazione delle comunità alla programmazione dei propri territori. Il mantenimento della pianificazioni socio economiche nella dimensione di comunità va nella direzione giusta, riconoscendo le comunità come interlocutori del pianificatore provinciale. Qualcuno paventa la tirannide della dirigenza provinciale, io ritengo che ciò accadrà solo se la politica lascerà dei vuoti.

Se difficoltà vi sono state, se vi sono stati stalli e conflittualità, ritengo che vada colta ora l’opportunità introdotta della modifica del modello di governance che sia nella semplificazione effettuata sia nel maggior raccordo con le dimensioni comunali può contribuire a superare le difficoltà fin qui riscontrate. Lo dico da sostenitore dell’elettività diretta ed universale ma con il pragmatismo di chi vuole costruire un modello difendibile e funzionante.

Semplificazione positiva è sicuramente anche quella apportata alle competenze trasferite, eliminando previsioni difficilmente attuabili. Allo stesso tempo il quadro semplificato non preclude la possibilità che in futuro il sistema istituzionale individui funzioni ad oggi non considerate da trasferire alle comunità.

Ritengo anche vada colta come una scelta non solo necessaria ma anche rafforzativa della dimensione di comunità la volontà di ricondurre alla dimensione sovracomunale la pianificazione degli investimenti. La contrazione di risorse ci obbliga a condividere le necessità prioritarie.

Sul lato Comuni, è evidente che siamo di fronte ad un intervento radicale, forte, sì, anche fastidioso, tuttavia non più rinviabile. Una responsabilità che sicuramente ci assumeremo non con leggerezza ma con la convinzione che è nostro compito indicare un orizzonte e gli strumenti per far si che questo si realizzi. Sia con l’uso di incentivi e stimoli sia con gli strumenti sostitutivi che l’ordinamento prevede.

Ciò che stiamo disegnando è una forte semplificazione da attuare in pochi anni, ci sono i presupposti per dimezzare il numero dei Comuni. Percorso che se obbligato, forzato da parte del legislatore nel suo sviluppo prevede però un percorso a fianco dei Comuni considerato che sia nella definizione degli ambiti per le gestione associate come in altri passaggi la norma prevede sempre il coinvolgimento della rappresentanza degli enti locali.

L’obiettivo che ci si pone non è banalmente il taglio di costi, perché in questo sì siamo d’accordo, che non sono i Sindaci il costo del Trentino e dell’Italia anzi ne sono sicuramente una risorsa anche dal punto di vista del credito residuo che la popolazione concede alla politica nel suo insieme. L’obiettivo è quello di migliorare l’efficienza e l’efficacia nella gestione delle politiche, dei servizi e dei territori, ricercando una scala che sia adeguata, che superi la parcellizzazione inevitabile di visioni e necessità che oggi non possiamo non riconoscere nel nostro sistema.

Lo facciamo cercando di normare uno scenario che lascia un importante flessibilità attuativa, le diverse deroghe previste, che permetterà di adattarsi ne sono certo alle diverse pieghe del nostro territorio senza arretrare rispetto ai macro-obiettivi di fondo.

Mi permetto poi di sottolineare anche le novità del ddl come le aree geografiche che devono essere lette come uno stimolo, certo non di facile raggiungimento, per la composizione di alcune identità di parti del nostro territorio. E come l’autorità per la partecipazione che potrà essere uno strumento aggiuntivo e innovativo per raccordare le comunità con i cittadini. Una scommessa sicuramente.

Per il PD quindi due aspetti da sottolineare con soddisfazione. La fine del tabù sul dimezzamento dei comuni, tema sempre osteggiato in passato ma ormai maturo anche per la politica, in questo credo leggermente in ritardo rispetto alle sensibilità e richieste della società. La maturata coscienza della necessità di un livello intermedio per il governo del nostro territorio, ed in questo la rivendicazione dell’autonomia nell’individuazione del modello adatto a questo territorio. In questo una rivendicazione positiva di differenza, rispetto alla banalizzazione a cui si assiste rispetto al governo dei territori. Dal successo di questa iniziativa, cioè dal superamento di quella frammentazione che ha spesso costituito un freno ad uno sviluppo integrato e sistemico, dipenderà il futuro e un rinnovato sviluppo dei nostri territori in senso federato e sostenibile (e competitivo grazie anche a poteri e strumenti derivanti dal nuovo accordo con lo Stato). Solo attraverso processi decisionali di tipo territoriale, basati sulla condivisione delle decisioni e sulla collaborazione, sarà possibile valorizzare le specificità di ogni sistema locale. Le Comunità sono, oggi più di ieri, lo strumento adeguato a garantire il successo di questa tanto complessa quanto coraggiosa missione. 

Accanto a questo non possiamo non essere soddisfatti della costruzione coraggiosa, non de minimis, del tema delle gestioni associate con un obiettivo dimensionalmente adeguato e di sostanza.

Un auspicio che mi sento di aggiungere è che prosegua dopo la prima fase di attuazione la riflessione su possibili nuove competenze da trasferire, per riprendere quello snellimento della dimensione provinciale. Un secondo punto di riflessione è che la conferma di questa struttura di governo del territorio comporta una conseguente azione nella inevitabile modifica dello statuto che dovremo affrontare nei prossimi anni.

In questo frangente storico ognuno è chiamato alla responsabilità. La spinta verso processi di semplificazione e razionalizzazione degli enti locali va in questa direzione. È indispensabile, e lo sarà sempre di più, coltivare la capacità di percepirsi come soggetti di un sistema, collaborare, gestire funzioni e servizi assieme. Le Comunità sono state in questi anni, e grazie a questa riforma saranno sempre di più, un patrimonio collettivo dei Comuni entro le quali programmare e gestire in maniera condivisa funzioni, servizi e risorse. Agli amministratori locali il compito di coltivare e sviluppare, attraverso le Comunità, uno spazio politico e di governo territoriale."