"Quando diciamo che la lotta contro la povertà e l’esclusione è un compito costituzionale delle democrazie, intendiamo dire che dobbiamo fare di questo impegno non l’impegno di una parte politica o sociale, ma l’impegno di tutti. La protezione dei diritti sociali dovrebbe essere preoccupazione trasversale nei Parlamenti e non solo appannaggio di una maggioranza o minoranza."
Michele Nicoletti, 24 ottobre 2014
First of all, I would to thank the Council of Europe and the Italian authorities for inviting me to this Conference and for having entrusted me – in my capacity of Vice-President of the Parliamentary Assembly – with the challenging task of preparing the general report. I shall draw up this document in written form so that the organisers can circulate it to all participants in the coming weeks. In accordance with the objectives of the Conference, the general report represents the first step of the political process opened by the Conference with respect to the European Social Charter. As regard my future commitment, I would like to quote Altiero Spinelli, “The road forward is neither easy nor safe, but must be pursued and it will be”. Continuerò ora il mio intervento in italiano.
Il primo obiettivo di questa Conferenza era prestare ascolto alla sofferenza sociale del nostro tempo. In questi due giorni di discussioni più volte hanno fatto irruzione nello spazio della nostra riflessione i temi della povertà, della disoccupazione, del mancato accesso a cure sanitarie o all’istruzione. Abbiamo anche incontrato fisicamente, nei cortei e nelle manifestazioni qui intorno, le proteste dei lavoratori, il disagio di tanti cittadini. È anche questo lo stile di lavoro del Consiglio d’Europa.
Che cosa sarebbero infatti la democrazia e lo Stato di diritto se essi fossero ridotti a macchine perfettamente funzionanti, ma indifferenti rispetto al concreto destino dei loro cittadini ? I pilastri dei nostri ordinamenti costituzionali e democratici non sono il frutto dell’indifferenza, ma sono il frutto dell’attenzione e della passione per l’umanità e per le sue sofferenze.
Impossibile non ricordarlo qui a Torino che ci ha lasciato una delle più alte testimonianze di questa meditazione sulle offese arrecate all’umanità nel secolo scorso con il grande libro Se questo è un uomo di Primo Levi.
Non c’è Dichiarazione dei Diritti o Carta Costituzionale che nella storia non sia stata scritta se non con lo sguardo volto all’avvilimento dell’umano e con il desiderio di porvi rimedio. Non si capirebbero la Dichiarazione del 1948 e la Convenzione del 1950 se non tenessimo conto del fatto che chi ha scritto quei documenti aveva negli occhi non solo le spaventose violazioni delle libertà operate dai totalitarismi, ma anche il dramma della povertà che le devastazioni della guerra avevano portato con sé.
Per presentare il programma di questa Conferenza è stata scelta una frase di Altiero Spinelli, il grande europeista: se oggi rileggiamo quello straordinario testo che è il Manifesto di Ventotene vediamo quanto sia centrale la preoccupazione per la questione sociale, come diceva Spinelli “per la riforma della società” al cui centro stava il dovere di offrire ai giovani uguali possibilità di lavorare e di realizzarsi: secondo tanti europeisti era la mancata risoluzione della grande questione sociale che in tanti Paesi aveva alimentato le follie del nazionalismo e del razzismo. La Carta Sociale del 1961 sta dunque dentro quest’attenzione alla sofferenza dell’umanità e dentro la convinzione che questione sociale e questione democratica sono strettamente connesse e che la ricostruzione dell’Europa dalle macerie – ieri come oggi – non può fondarsi sull’indifferenza. Perché il nemico della protezione dei diritti fondamentali è l’indifferenza.
La crisi ha posto in evidenza le lacune dell’arsenale giuridico degli Stati europei in materia di tutela dei diritti fondamentali. Lo ha colto perfettamente il ministro Poletti in apertura quando ha parlato della fragilità dei sistemi nazionali nella protezione dei diritti dei più deboli: il modello europeo di welfare si può salvare solo in una prospettiva sovranazionale. Proprio il contesto negativo della crisi economica, ci ha aiutato a riscoprire gli strumenti sovranazionali, come la Carta sociale che come qualcuno ha detto, pareva essere stata messa nel cassetto e che invece nella crisi ha saputo fare emergere la sua spiccata caratteristica di trattato che unisce Stati, individui, organizzazioni internazionali, associazioni di lavoratori e ONG, ponendo le basi per ricostruire un’Europa dei valori e dei diritti. La crisi ha posto in risalto, semmai ce ne fosse stato bisogno, la rilevanza fondamentale dei diritti sociali. E per le società europee, ha rappresentato un’opportunità per comprendere l’importanza dell’attuazione di tali diritti.
Questa Conferenza è il risultato di una lunga serie di attività e di misure; rappresenta il momento culminante di una costruzione segnata da vari momenti chiave, basti citare le decisioni emblematiche del Comitato europeo dei Diritti sociali relative alla procedura dei reclami collettivi, la celebrazione del 50° anniversario della Carta a Strasburgo nell’ottobre 2011 – con la partecipazione del Sindaco di Torino e l’adozione della Dichiarazione politica del Comitato dei Ministri – i lavori dell’Assemblea parlamentare e del Parlamento europeo e le attività del Commissario per i diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa, nonché il ruolo svolto dalla Rete accademica sulla Carta, che ha saputo suscitare l’interesse e sviluppare le conoscenze e le ricerche su questo fondamentale trattato.
Della centralità e attualità della Carta si è fatto portavoce il Segretario Generale Jagland che ha posto con forza la questione del rispetto dei diritti sociali e del rafforzamento della Carta Sociale Europea al centro del suo secondo mandato.
Grazie agli scambi di opinioni, alle presentazioni, agli interventi, è emerso con forza, senza la minima ombra di dubbio, che i diritti sanciti dalla Carta sociale europea fanno parte dei diritti umani, che non sono diritti variabili, dipendenti da criteri opzionali, diritti che non si possono esercitare, per mancanza di mezzi, nei periodi di austerità e che non hanno alcuna utilità nei periodi di prosperità economica. Si tratta di diritti che appartengono a tutti gli esseri umani, come i diritti civili e politici e in misura ancora maggiore, perché sotto molti aspetti sono la condizione preliminare per potere godere effettivamente dei diritti civili e politici.
Abbiamo per anni considerato i diritti sociali come diritti secondari e per così dire aggiuntivi, scordandoci che il contenuto dei diritti sociali ossia l’accesso ai beni vitali (cibo, vestiario, riparo, salute, istruzione …) rappresenta – sia sotto il profilo teorico che sotto il profilo storico – il presupposto per la rivendicazione e la fruizione dei diritti civili e politici fondamentali.
Un torinese: Norberto Bobbio: “Ritengo che il riconoscimento di alcuni diritti sociali fondamentali sia il presupposto o la precondizione di un effettivo esercizio dei diritti di libertà. L’individuo istruito è più libero di uno incolto; un individuo che ha un lavoro è più libero di un disoccupato; un uomo sano è più libero di un malato.” (Sui diritti sociali…).
Il fatto che l’accesso ai beni vitali sia un presupposto necessario per l’esercizio di altri diritti è del tutto evidente sul piano antropologico: senza vita non c’è possibilità di esprimersi liberamente. Per questo sul piano morale le situazioni in cui la povertà o la malattia minacciano l’esistenza stessa fondano obbligazioni assolute: Hans Jonas ha espresso questo concetto con forza richiamando l’esempio del lattante che con la sua stessa esistenza e la sua stessa incapacità di sopravvivere da solo impone un’obbligazione assoluta a chi gli sta vicino di provvedere alla sua esistenza. La stessa cosa potremmo dire della situazione del “ferito lungo la strada” che ci impone di fermarci e di soccorrerlo: l’indifferenza è colpevole non solo sul piano morale ma anche giuridico (omissione di soccorso).
Ma questo è vero anche sul piano sociale. Che il godimento dei diritti sociali sia un presupposto per il godimento dei diritti politici era chiaro agli aristocratici dell’’800: solo chi aveva proprietà e istruzione poteva votare ed essere eletto in parlamento. Questo è inaccettabile per i regimi democratici. E per questo sono nate le misure relative all’istruzione pubblica e le politiche del lavoro e l’assistenza sanitaria e tutto il resto. Forse che vogliamo riprecipitare in un panorama ottocentesco fondato sull’esclusione sociale che diventa anche esclusione politica?
È chiaro a tutti che i diritti sociali hanno una dinamica diversa rispetto ai diritti civili e politici perché richiedono politiche attive e risorse economiche (ma quale diritto a dire il vero non le richiede ?); ma ciò non significa che il loro rispetto possa essere demandato alla decisione totalmente arbitraria dei governi o di organismi tecnici. Proprio in quanto “presupposti”, il loro rispetto rientra tra i “compiti costituzionali” delle democrazie (le Costituzioni italiana e dtedesca rappresentano un esempio in questo senso).
In democrazia l’allocazione delle risorse pubbliche non può ignorare il problema dell’accesso di tutti alle risorse. E ciò riguarda sia la distribuzione delle risorse pubbliche che la regolazione delle relazioni sociali nella convinzione che la lotta alla disuguaglianza è un fattore di sviluppo economico e che – come ha detto con efficacia il Segretario Jagland – c’è una produttività della giustizia sociale. È assolutamente vero – e il tema è emerso con forza nella discussione – che anche le politiche di austerità possono essere motivate da ragioni di giustizia “intergenerazionale” per evitare di scaricare – come troppo spesso è stato fatto – i costi sociali sulle generazioni future. Ma è anche vero che vi sono degli standard che non possono essere comunque ignorati in termini di livelli minimi di vita dignitosa.
Quando diciamo che la lotta contro la povertà e l’esclusione è un compito costituzionale delle democrazie, intendiamo dire che dobbiamo fare di questo impegno non l’impegno di una parte politica o sociale, ma l’impegno di tutti. La protezione dei diritti sociali dovrebbe essere preoccupazione trasversale nei Parlamenti e non solo appannaggio di una maggioranza o minoranza. Come Habermas ha invocato un patriottismo costituzionale per le democrazie se noi diciamo che la lotta alla disuguaglianza è un compito costituzionale, dobbiamo sviluppare un “patriottismo sociale” che sottragga finalmente i diritti sociali all’idea che siano “diritti dei poveri” o “poveri diritti”: sono invece diritti universali attinenti la pienezza, ossia la “ricchezza” della vita umana. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale europeo che prenda esempio dalle migliori pratiche dei governi locali, come abbiamo potuto apprezzare dal sindaco di Torino, Piero Fassino.
La conferenza è stata ricchissima di spunti non solo sotto il profilo politico e giuridico generale, ma anche in termini di misure concrete.
Penso all’indicazione pressante ai Parlamenti nazionali di sottoporre la legislazione in materia sociale ed economica ai principi della Carta sociale:
- attraverso un confronto tra i diversi Parlamenti che potrebbe tradursi in una Conferenza interparlamentare con i Presidenti delle Commissioni parlamentari sul Lavoro e gli Affari sociali;
- attraverso un intenso dialogo sociale: più volte è emersa la necessità di un confronto tra Governi, Parlamenti e associazioni di lavoratori, imprenditori e ONG in materia di diritti sociali;
- attraverso attente politiche di monitoraggio e valutazione dell’impatto delle politiche sociali ed economiche sui diritti sociali condotte da agenzie indipendenti quali ad esempio università o centri di ricerca;
- attraverso un più stretto rapporto tra Parlamenti e Comitato Europeo dei Diritti sociali;
- attraverso l’attivazione di procedure specifiche tipo quella adottata dall’Unione Europea di early warning in caso di legislazioni comunitarie non rispettose della Carta sociale;
Penso anche all’importanza di far sì che la Carta e la giurisprudenza del Comitato europeo dei Diritti sociali possano essere conosciute ed applicate, nei limiti fissati a livello costituzionale tra diritto interno e diritto internazionale, da corti e tribunali nazionali.
La Conferenza ha portato la Carta sociale in primo piano. Prima di tutto per noi stessi. Abbiamo dovuto rileggerla e meditarla e forse ci siamo resi conto che anche la nostra istituzione, il Consiglio d’Europa, ha corso il rischio di farne una questione settoriale, di competenza di una sottocommissione dell’Assemblea parlamentare o dei 15 membri del Comitato europeo dei Diritti sociali e non invece uno dei pilastri di ogni nostra considerazione.
Da questo punto di vista, è fondamentale che l’insieme delle istituzioni dell’Organizzazione – e mi riferisco qui specificamente al Comitato dei Ministri, all’Assemblea parlamentare, al Congresso dei poteri locali e regionali, alla Corte europea dei diritti dell’Uomo e al Commissario dei diritti dell’Uomo – coordinino le proprie iniziative in vista del rafforzamento della Carta quale trattato primario dell’Organizzazione. In questo ambito l’apporto della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa rappresenterà un prezioso punto di appoggio.
In questo quadro, saranno preziose le proposte elaborate dal Comitato europeo dei Diritti sociali che riguardano tra l’altro il rafforzamento del proprio statuto; in questa stessa prospettiva, dovrà essere garantito che il lavoro dei comitati intergovernativi del Consiglio d’Europa si iscriva nel processo politico avviato da questa Conferenza.
L’apporto del Segretariato Generale, qui rappresentato dalle sue massime autorità, Thorbjørn Jagland e Gabriella Battaini Dragoni, costituisce una componente essenziale per il raggiungimento di questi obiettivi. Più in generale, ci si dovrà preoccupare di adeguare la comunicazione relativa alla Carta affinché, sia a livello europeo che a livello nazionale, possa essere mantenuta all’alto livello raggiunto grazie alla Conferenza.
Ma la Carta non è solo un bene nostro di cui andare orgogliosi. È il bene comune di numerosi soggetti, di più istituzioni nazionali e sovranazionali, di associazioni e movimenti, ma soprattutto dei cittadini. La Presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, rappresentata alla Conferenza dal Ministro Muslumov, ha incoraggiato gli Stati membri che non l’hanno ancora fatto a ratificare la versione riveduta della Carta. Più specificamente, è stata richiamata l’importanza di fare in modo che altri Stati accettino il Protocollo dei reclami collettivi affinché i reclami, quale espressione di una relazione democratica tra regole e cittadini, democratico diventino il sistema “normale” di controllo dell’applicazione della Carta. È positivo rilevare che in occasione della Conferenza alcuni Stati si siano formalmente impegnati in questo senso.
Come testimoniato dalla Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Conferenza ha confermato che Consiglio d’Europa e Unione si fondano sugli stessi valori e che questi comportano il rispetto dei diritti sociali. La Conferenza ha permesso di aprire un dialogo effettivo con l’Unione europea e in particolare con la Commissione europea. La Commissione riconosce ormai l’importanza delle decisioni del Comitato europeo dei Diritti sociali e il principio che gli Stati membri dell’Unione non possono invocare una direttiva come giustificazione del non rispetto della Carta sociale. La Conferenza ha anche messo in luce l’importanza della relazione tra la Corte di giustizia dell’Unione e il Comitato europeo dei Diritti sociali e l’opportunità di rafforzare questa relazione. In tale contesto, è stato osservato che le ragioni che militano in favore dell’adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo sono ugualmente valide per sostenere l’adesione dell’UE alla Carta sociale. Manca tuttavia la volontà politica. Si può dunque seguire un approccio pragmatico: utilizzare tutto il potenziale rappresentato dai riferimenti alla Carta che si trovano nei trattati dell’UE, al fine di garantire una migliore coerenza tra i due sistemi giuridici,
La Carta è al centro dei tre pilastri dell’Organizzazione: democrazia, diritti umani, preminenza del diritto. Oltre al Consiglio d’Europa, oltre all’Unione europea, si tratta di dare consistenza al concetto stesso di Europa e alla sua realtà. Un’Europa che deve riprendersi, che può ripartire, senza mai più dimenticare la sua dimensione umanistica, che dovrà porre al centro di tutte le sue attività. Da ora in poi, tocca a ogni istituzione coinvolta nella vita della Carta partecipare allo sforzo comune di sviluppo e di valorizzazione della Carta tramite misure adeguate sulla base delle proposte che abbiamo espresso e la cui traduzione – il più presto possibile – nel diritto e nella prassi rimane essenziale.
Dobbiamo indirizzare un messaggio forte e rapido alle persone a cui la Carta è destinata, ai manifestanti intorno al Teatro Regio, agli astensionisti delle consultazioni elettorali sull’Europa, senza aspettare né sperare che cambino idea: sta a noi andare verso di loro, e su questo cammino, la rivalorizzazione della Carta, della loro Carta, è uno strumento decisivo.
Al momento di lasciare Torino, non dobbiamo abbandonare l’impegno di tenere presente lo spirito di Torino – città di lavoro e industria, di cultura e università – e la certezza che gli Europei giudicheranno la nostra azione futura alla luce dei valori, dei principi e dei diritti di cui abbiamo discusso in questa sede.
La riflessione sui diritti sociali ci costringe a riscoprire sempre di nuovo la natura “sociale” dei diritti, il fatto cioè che i diritti delle persone hanno a che fare con le loro relazioni, che nessuno è un’isola e che nessuno può realizzare se stesso se non dentro il rispetto e il riconoscimento degli altri. E per questo dobbiamo batterci per il rispetto dei diritti sociali perché senza diritti si è spogliati della propria socialità, del proprio stare in relazione con gli altri e alla fine del proprio essere se stessi.
Come ci ha spiegato Joel Feinberg: “Having rights enables us to “stand up like men and women,” to look others in the eye, and to feel in some fundamental way the equal of anyone. To think of oneself as the holder of rights is not to be unduly but properly proud, to have that minimal self-respect that is necessary to be worthy of the love and esteem of others. Indeed, respect for persons (this is an intriguing idea) may simply be respect for their rights, so that there cannot be the one without the other; and what is called “human dignity” may simply be the recognizable capacity to assert claims”.
Il “Processo di Torino” è avviato.