Tornare dopo quattro anni in Uganda con Acav, l'Ong trentina che opera in Uganda e Sud Sudan, è stata un'esperienza intensa e per molti aspetti nuova.Non per le strade in costruzione, o per gli accordi commerciali, monetari, economici: l'immagine simbolo che mi rimarrà nella memoria è legata a un settore diverso.
Luca Zeni, "L'Adige", 18 ottobre 2014
Mentre sobbalziamo sul furgone, percorrendo la strada che collega la capitale ugandese, Kampala, con Koboko, sul confine di nord ovest con Congo e Sud Sudan - una zona priva di elettricità, di acquedotti, di impianti di irrigazione - a fianco della strada centinaia di operai scavano. Con badili e picconi, per decine di chilometri un fossato affianca la strada. Dentro viene inserito un tubo blu: la fibra ottica!Ma come, sono anni che in Trentino discutiamo del progetto per portare la banda larga nelle case, con rallentamenti, intoppi e uno stallo che dura da troppo tempo, ed in mezzo al nulla, in una delle zone più povere al mondo, installano la fibra ottica?
Poi ti guardi intorno, vedi capanne con i tetti di paglia. All'interno dormono in terra, spesso insieme a qualche gallina; fuori vedi un pannellino fotovoltaico da venti centimetri per venti, al quale è attaccato il cavo del caricabatterie per il cellulare.Il primo pensiero è legato ai troppi casi italiani (e trentini) di ammortizzatori sociali che diventano assistenzialismo: c'è chi riceve sussidi pubblici, rifiuta lavori «perché non voglio perdere l'assegno», e poi lo vedi con l'I-phone 6.. Sta accadendo la stessa cosa qui? Non hanno le scarpe ma il cellulare sì?Poi capisci che nel cuore dell'Africa il cellulare non serve per giocare. Dove l'auto è un lusso accessibile a pochi, il cellulare è quello che permette di verificare il costo dei prodotti agricoli nel vicino mercato, senza farti 30 chilometri a piedi, e così decidere quando vendere i tuoi 7 ananas e i 3 sacchi di cassava che hai coltivato.In un sistema dove il sistema bancario non esiste, il cellulare ti permette di caricare sul tuo conto quanto riesci a risparmiare, così da mettere da parte un po' alla volta un gruzzoletto di qualche decina di dollari, che potrai poi investire per acquistare delle piante di mango e incrementare la tua coltivazione.
Sono sistemi talmente semplici da essere rivoluzionari, in un Paese dove già oggi una persona su due ha un telefonino: che abbia ragione quel vecchio visionario di Rifkin, per il quale siamo agli albori di una nuova fase dell'umanità, dove la rete porterà a sviluppare un nuovo concetto di democrazia con nuovi riflessi sull'economia? Forse siamo ancora lontani da tutto questo, ma in mezzo alle capanne di Koboko, la domanda si insinua dentro la testa.Quattro anni fa ero tornato dall'Uganda con la convinzione che intervenire in contesti di forte povertà fosse un dovere etico, ma che non sia facile cambiare davvero la situazione.
Questa volta ho potuto apprezzare cosa sia cambiato in soli quattro anni, e come un lavoro progettuale serio possa davvero modificare la situazione. Con un centro di formazione agricola Acav ha formato centinaia di contadini, ora coltivatori diretti, ma soprattutto sta creando una «cultura della coltivazione», capace di avviare un processo che possa portare uno sviluppo a lungo termine. E grandi opportunità di collaborazione «alla pari».Cosa significa? Che ci sono due tipi di interventi che le istituzioni occidentali possono mettere in campo.Il primo è legato all'emergenza. Di fronte a guerre, carestie ed emergenze umanitarie, viene chiamato in causa il dovere etico di non girare la testa dall'altra parte, quando un essere umano muore. Il coordinamento, in casi come questi, dovrebbe essere delle Nazioni unite, con l'Europa al fianco.
Al di fuori di questi casi, gli interventi dovrebbero essere sempre meno legati alla solidarietà, intesa come «elemosina», e sempre più alla cooperazione allo sviluppo.Infatti ormai tutti i Paesi, che chiamiamo «in via di sviluppo», hanno delle potenzialità notevoli, intorno alle quali si possono costruire opportunità di lavoro e benessere per le popolazioni locali, e momenti di collaborazione reciprocamente convenienti per le imprese straniere. Trentine nel nostro caso.Cosa può fare la politica provinciale?
A livello legislativo, sicuramente seguire la via intrapresa dallo Stato italiano, adeguando la legge vigente, e passare dalla solidarietà alla cooperazione internazionale, sostenendo i soggetti capaci di promuovere progetti di sviluppo che possono essere volano anche per l'impresa trentina, lasciando invece perdere l'elemosina che serve più a mettere a posto la coscienza di chi «va lì a dare una mano», che a cambiare davvero le cose. A livello di moral suasion, spronare i soggetti trentini, a partire dal sistema della cooperazione, a «sfruttare» la credibilità e le relazioni che le Ong trentine hanno costruito negli anni, e a realizzare collaborazioni che possano, nel medio periodo, aprire nuovi rapporti commerciali.Le opportunità ci sono. Possiamo coglierle o lasciarle a imprese inglesi, cinesi, indiane. A noi la scelta.