Consiglieri Pd in visita al carcere

"L'Adige", 6 agosto 2009
«Una struttura vecchia e sovraffollata», dove si trovano anche fino a «dieci detenuti per cella» e dove le guardie carcerarie «sono poche». Una situazione ai limiti quella del carcere di via Pilati a Trento, visitato ieri dai consiglieri provinciali del Pd Mattia Civico e Bruno Dorigatti.

Per domani è anche previsto un incontro tra i due politici e la direttrice del carcere Antonella Forgione. Racconta Dorigatti: «La struttura è vecchia: era la prima volta che entravo nel carcere e sono rimasto stordito. C'è un problema di sovraffollamento, ci sono delle celle piene di persone, in una ne ho viste dieci. Da questo punto di vista la situazione non è positiva, anche perché ci sono 156 detenuti ed il limite sarebbe 95. Inoltre ci sono pochi agenti di custodia, sono cinquanta e dovrebbero essere cento. Quindi una situazione non sostenibile, questo perché mancano le risorse necessarie. Personale che denuncia anche la difficoltà, soprattutto nel periodo estivo, ad intervenire proprio per via del sovraffollamento: vivono una situazione di grande tensione». I due consiglieri hanno voluto incontrare chi è rinchiuso perché non ha il permesso di soggiorno, un «non reato» ma una questione di solidarietà e accoglienza, secondo Bruno Dorigatti: «Il filo conduttore di tutto è la presenza del 70% di stranieri, e tanti giovani: quindi direi che dovremo cominciare a rifletterci. Abbiamo cercato persone che sono in carcere per la violazione dell'articolo 14 della legge Bossi - Fini, cioè chi ha ricevuto un decreto di espulsione ma non è stato rimpatriato. È il caso di Ahmed Monged, un ragazzo egiziano di 23 anni che domani (oggi, ndr) sarà processato. È assurdo: è in Italia da tre anni ed ha sempre lavorato in nero, anche in un cantiere edile per un'impresa trentina. Dopo un controllo è risultato che non era regolare ed è finito in carcere».

ROVERETO - "Per certe cose meglio i domiciliari", D. Pivetti, "L'Adige", 6 agosto 2009
Una giornata intensa, faticosa quella vissuta ieri dai consiglieri provinciali Bruno Dorigatti e Mattia Civico, entrambi esponenti del Pd trentino. L'hanno trascorsa tra le celle del carcere di Trento e della casa circondariale di Rovereto, una sorta di full immersion voluta per toccare con mano la realtà carceraria provinciale e per capire gli effetti degli ultimi provvedimenti di legge (soprattutto quelli in materia di sicurezza) sul sovraffollamento carcerario. «Rispetto alla realtà del carcere di Trento - commentava ieri sera, tornando verso casa, Bruno Dorigatti - la situazione di Rovereto è meno pesante. Nel capoluogo abbiamo visto una struttura vecchia e fatiscente, con celle veramente sovraffollate (fino a 10 detenuti in una cella), con personale chiaramente preoccupato per le tensioni che questa situazione porta con sé. In comune i due carceri hanno comunque diverse cose. Ad iniziare dalla percentuale di detenuti stranieri, vicina al 70% sia a Trento che a Rovereto. Nella Città della Quercia il sovraffollamento è sensibile nella sezione maschile, mentre sembra essere più tollerabile in quella femminile, dove ci sono 25 detenute. Il personale è in sottorganico pure a Rovereto: ci lavorano 30 addetti e dovrebbero essercene 42. Vengono organizzati corsi di diverso tipo, tutti volti alla riqualificazione anche professionale dei detenuti, al loro reinserimento nella società civile. Interventi per i quali si chiede un maggiore sostengo da parte statale, proprio per evitare che alla libertà corrisponda poi il ritorno nell'illegalità». Dorigatti e Civico hanno visitato le due strutture ponendo molta attenzione agli effetti della normativa che colpisce i clandestini, ma a Rovereto hanno voluto affrontare anche il recente dramma di Stefano Frapporti, il roveretano suicidatosi in carcere la prima notte di detenzione. «Abbiamo incontrato le guardie carcerarie - dicono i due consiglieri Pd - e nessuno di loro si aspettava un gesto del genere. È un dolore anche loro, si sono trovati di fronte ad un episodio inatteso, che ha profondamente turbato molti di loro. Quanto accaduto, per fortuna, non ha però portato a momenti di tensione tra personale e detenuti. Sulle responsabilità sarà l'inchiesta a dire l'ultima parola». Altro discorso sul perché Frapporti sia finito in carcere: «All'origine del gesto un momento di disperazione, forse il timore di perdere la propria dignità - dice Dorigatti - ma la verità è che per reati di quel tipo non si dovrebbe finire in carcere, si dovrebbe ricorrere ai domiciliari». I due consiglieri hanno incontrato brevemente anche la direttrice dei due carceri, la dottoressa Forgione. Torneranno a farle visita domani per porle alcune domande su quanto visto ieri.