Gli stimoli contenuti nelle riflessioni di Simone Casalini sono a mio avviso più che opportuni sia sul piano del metodo che su quello del merito circa le questioni che riguardano le politiche sul mercato del lavoro. Sono questioni che in radice si giocano su due fronti: i processi in atto (economici e produttivi certamente, ma anche sociali e culturali); e le persone che, in ragione di questi processi, vedono crescere la vulnerabilità loro e delle proprie famiglie nonchè i rischi di disagio se non d’impoverimento.
Alessandro Olivi, "Corriere del Trentino", 7 ottobre 2014
Sul metodo, quello di Casalini è un contributo allo sforzo che anche altri (pochi invero) stanno cercando di compiere per non ridurre il confronto politico ad una mera contrapposizione simbolica tra “conservatori” ed “innovatori”.
Nel merito la delega trentina sugli ammortizzatori perfezionata in questi giorni, com’è noto, dalla firma della convenzione con Inps che erogherà i miglioramenti delle prestazioni di cui si è fatta carico la Provincia, avrà un significato se coinvolgerà entrambi gli aspetti indicati: i processi e le persone.
I processi rendono empiricamente evidente che la crisi che viviamo porterà a una metamorfosi dei sistemi produttivi e della struttura delle professioni.
Da questo punto di vista la mobilità del lavoro crescerà e crescerà la qualità dei lavori richiesti: per quel che riguarda le credenziali formative, ma anche il rispetto ai contenuti e alla affidabilità fin per le attività meno qualificate.
D’altra parte, è vero che alle persone che potranno perdere, in questa prospettiva, il proprio lavoro, non basta il sollievo di poter ricevere per un certo tempo un sostegno al reddito, che peraltro, nell’attuazione della delega stessa così come voluta dalla Provincia, viene corrisposto in cambio di un impegno ad attivarsi nella ricerca di un nuovo lavoro.
E’ su questo nesso, tra politiche orientate al cambiamento e all’innovazione e la possibilità e capacità delle persone di tornare a mettersi in gioco, che vinceremo o perderemo la possibilità di un governo del mercato del lavoro che non comporti costi sociali destinati a pesare a lungo sul bene prezioso della coesione sociale e della percezione del valore di una cittadinanza attiva che va messa in grado di sostenersi da sé, senza derive di tipo assistenziale.
Il dibattito sull’art. 18, cioè sulla flessibilità in uscita, ha rievocato antichi steccati, e comunque rischia di essere fuorviante. Nella realtà dei fatti l’art.18 è ormai poco utilizzato. Il diritto al reintegro, quand’anche esercitato concretamente dopo la sua affermazione giudiziale, non restituisce necessariamente al lavoratore, al di là della mera rioccupazione del “posto di lavoro”, una dignità professionale vera ed una condizione lavorativa appagante. Se al centro si mette la persona, vanno costruite a suo favore le condizioni concrete affinchè la difesa a oltranza del posto perduto non rappresenti l’unica opportunità. E’ una questione di visione. Se deve contare il buon lavoro, più che il posto di lavoro, occorre promuovere la mobilità dei lavoratori, non accapigliarsi su come ostacolarla. E per promuovere la mobilità e sostenere i lavoratori e le imprese nel reciproco incontro virtuoso e soddisfaciente servono i servizi all’occupazione e le politiche attive. Serve anche che esse siano praticate all’interno di un contesto socialmente coeso assicurato da ammortizzatori sociali universali e proiettati a stimolare comportamenti proattivi.
Su questo programma dovrebbe concentrarsi la politica, a partire dalla politica territoriale, che ne è, per competenza costituzionale, protagonista imprescindibile. La Provincia di Trento ha dimostrato negli anni di avere chiaro il lavoro da compiere ed il metodo per perseguirlo.
Il lavoro da svolgere è fatto di costruzione di infrastrutture informative e di servizi e di strumenti di attivazione utili a trasformare il momento della perdita del lavoro nell’occasione di nuove opportunità. E’ un lavoro che negli ultimi mesi ha prodotto due grandi novità, quali il rafforzamento, come detto, degli ammortizzatori sociali trentini, caso unico a livello nazionale, e la realizzazione della rete provinciale dei servizi per l’occupazione. Con questa seconda novità, la politica pubblica per l’occupazione può ora servirsi del contributo di numerosi attori pubblici e privati, dotati delle professionalità richieste per l’erogazione dei servizi per il lavoro, per la diffusione su tutto il territorio di luoghi professionali di ricerca e incontro di manodopera.
Se è vero che la crisi sta mettendo a dura prova la tenuta della base produttiva, è vero anche che nonostante la crisi vi sono opportunità di lavoro che è doveroso soddisfare in tempi rapidi. Inoltre, dal confronto con i servizi professionali possono nascere idee e nuove vocazioni professionali, che proprio nella crisi è più facile sviluppare.
La vocazione concertativa del Trentino ha rappresentato e continua a rappresentare un valore aggiunto fondamentale nelle politiche del lavoro. I segnali di crisi della rappresentanza sindacale, accentuati oggi dal dibattito nazionale, non possono giustificare alcun atteggiamento di contrapposizione o, ancora peggio, di indifferenza istituzionale. Proprio ora, invece, è più che mai necessario rinserrare le fila e stringersi in un lavoro concertativo che produca, da un lato, strumenti di risposta concreti ai problemi del lavoro, dall’altro, partecipazione corale e coordinata al sostegno delle imprese e dei lavoratori.
L’idea forte alla fine è quella di una gestione del mercato del lavoro da mantenere efficiente attraverso adeguati servizi per il lavoro, erogati attraverso un’organizzazione a rete, sotto la guida di istituzioni e corpi sociali uniti dalla ricerca di obiettivi condivisi ed in collegamento stretto con le politiche per lo sviluppo. Ma è un’idea praticabile solo con il contributo di tutti, compreso il protagonismo delle persone alla ricerca di un lavoro.
Non è più tempo di discussioni sull’adeguatezza della normativa statale a tutela dei posti di lavoro. Questo è il tempo dell’azione per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro. C’è spazio, appunto, per tutti, anche e soprattutto per le parti sociali, alla cui contrattazione la legge assegna ambiti importanti per l’adattamento delle regole alle esigenze dei singoli comparti e dei singoli territori.
Il jobs act sarà indubbiamente importante per ridurre le fratture (normative e non) che fanno male al nostro mercato del lavoro. Non potrà essere però decisivo. Dipenderà da cosa la società e la politica, ognuna per la propria parte, saranno in grado di costruire.