La risposta alla mia interrogazione sulla società di gestione impianti a fune Carosello Sky Folgaria fornisce numeri impressionanti: 26 milioni di debito a fronte di 4 milioni di fatturato, al 30 giugno 2013. I dati forniti sono impietosi, e se considerassimo anche le varie società satellite la situazione oggi sarebbe ancora più grave, si parla di altri 10 milioni di debito.
Luca Zeni, 3 ottobre 2014
Proviamo a analizzare Folgaria come esempio per l’intero Trentino, in modo da non eludere ma affrontare il problema, per evitare parallelismi con l’ormai noto “caso” della Cantina di La Vis.
Il “caso Folgaria”, scorrendo i numeri, pare emblematico di alcuni limiti che in molti casi hanno caratterizzato investimenti “pubblici” in Trentino, ed il cui comun denominatore è l’incapacità di programmare e pianificare gli investimenti.
Folgaria ha avuto una crescita importante, in termini di alberghi, piste, impianti. Fino ad un certo punto le cose sono andate bene, nel senso che impianti e alberghi avevano una loro dimensione “ottimale” e coerente. Poi, come succede spesso quando si fanno le cose con una alta percentuale di fondi pubblici, ci si è fatti prendere la mano, compiendo investimenti (ingenti) per ampliare piste (che a Folgaria devono sempre essere innevate e quindi costose, vista la quota), per costruire impianti e collegamenti anche arditi (ricordiamo le proteste e le contestazioni ambientaliste per Passo Coe), senza che sia aumentato il numero degli sciatori: il bacino è limitato e quindi i conti sono saltati.
I costi fissi sono mostruosamente alti dati il fatturato, ma il fatturato difficilmente può crescere più di tanto, perché quello è il bacino di utenza, il numero di sciatori. Certo, ci può essere l’anno sfortunato, come l’ultimo, dove quasi tutti i week end nevica o piove, ma anche cambiando di uno o due milioni le entrate (che sono il 50% in più!), con quell’indebitamento, cambia davvero poco.
Cosa accadrà ora?
In questa situazione pare difficile anche proporre un percorso in astratto auspicabile, ossia la fusione con altre società piccole, perché il debito così alto farebbe trascinare tutti verso il fallimento.
I debiti alla fine o si pagano (e chi mette i soldi, magari con un aumento di capitale sociale? Gli albergatori? Spero non la Provincia!) o si ristrutturano.
In questo caso l’unica soluzione seria e credibile avrebbe dovuto essere avviare il processo di concordato, in modo che non si pubblicizzino le perdite e invece qualcuno si assuma delle responsabilità, ma i tempi urgenti hanno reso problematico questo percorso.
A questo proposito è doveroso svolgere anche una considerazione politica: perché ci si è accorti che Folgaria era ormai in default a poche settimane dall’apertura della stagione? Se si fosse affrontato il problema già dalla primavera, quando la stagione invernale è terminata, si sarebbe potuto impostare il piano di risanamento in maniera seria. è grave che si sia scoperta questa situazione grazie a una interrogazione in Consiglio, alla quale tra l’altro si è risposto che si sarebbe pensato a come intervenire nel piano triennale di Trentino Sviluppo. A pochi giorni di distanza invece la Giunta ha stanziato 3,3 milioni per poter salvare la stagione invernale, e circa altri 8 successivamente: evidentemente in quei pochi giorni ci si è resi conto della situazione.
Ora l’importante è che si faccia davvero quanto dichiarato, ossia subordinare i contributi concessi per il salvataggio a un piano di ristrutturazione del debito, a un piano di rilancio serio, e a un radicale cambio di governance, perché non sarebbe credibile lasciare in mano la soluzione del problema a chi lo ha creato.
Soltanto percorrendo questa strada si può giustificare un piano di rilancio che preveda una partecipazione di risorse pubbliche, a sostegno di una zona la cui economia dipende in larga misura dal turismo, e non può essere abbandonata.
Diversamente si sarebbero riversate inutilmente risorse pubbliche per “tirare avanti” (fornire un po’ di ossigeno e di liquidità, si dice nel gergo politichese).
Questa è l’ennesima lezione che quando si fanno gli investimenti non basta la buona fede, e soprattutto quando ci sono contributi pubblici, non si possono dimenticare i costi di gestione e la sostenibilità economica, o il conto lo paga chi viene dopo.