Spuntano le «Case della maternità»

«I tempi? Saranno larghi». L’aggettivo estratto dall’assessora Borgonovo Re la dice lunga sulla complessità del confronto in giunta sul tema della sanità: per prima di fine ottobre non è lecito attendersi alcuna “quadra”, benché la stessa assessora si dica convinta che alla fine sarà trovata.
P. Morando, "Trentino", 24 settembre 2014


D’altra parte la “road map”, su un tema politicamente così delicato (e tecnicamente complesso) prevede giocoforza tutta una serie di passaggi: dopo la riunione di giunta di ieri, domani la patata bollente passerà all’esame dell’intera maggioranza, mentre la settimana prossima (probabilmente mercoledì 1 ottobre) ci sarà il confronto tra l’esecutivo e il Consiglio delle autonomie.
E in prospettiva altri passaggi in giunta. In mezzo, il punto di domanda del Consiglio provinciale: già, perché con l’assemblea bloccata dall’ostruzionismo sul ddl contro l’omofobia, è per ora impossibile pensare a come calendarizzare il tema nell’ambito dei lavori della commissione competente, la Quarta presieduta da Giuseppe Detomas. E su tutto incombe poi la sentenza del Consiglio di Stato relativa all’appalto per il Nuovo ospedale.

Il compromesso possibile c’è e si chiama “Case della maternità”. Cioè strutture sanitarie distribuite in periferia e attrezzate per i parti fisiologici, categoria “basic” peraltro non sempre univoca. Strutture comunque, ed è la cosa che conta, in cui a operare sarà solo personale ostetrico e non medico. Il che consentirebbe da un lato di venire incontro alle richieste dei territori, “salvando” così la bandierina del punto nascita di Tione (e in prospettiva magari anche di altri) e dall’altro di procedere comunque nella direzione di quella rete ospedaliera incentrata sugli hub di Trento e Rovereto (punti d’eccellenza) ma allo stesso tempo articolata nelle vallate: a Borgo, Cavalese, Tione e Cles.

È durata un paio d’ore, ieri pomeriggio, la riunione straordinaria della giunta provinciale sul tema della sanità, con il piano complessivo di riorganizzazione per la prima volta concretamente al centro della discussione tra l’assessora Donata Borgonovo Re, il presidente Rossi e l’intero esecutivo, riunione a cui ha preso parte anche il direttore generale dell’Azienda sanitaria Lucianio Flor.

Non ne è uscito alcun documento che metta nero su bianco questioni nodali come appunto i punti nascita, o la dislocazione dei nuovi macchinari per la mammografia in 3 dimensioni, pure al centro da settimane di polemiche per via della determinazione dell’assessora di centralizzare il servizio su Trento e Rovereto. Anzi, su quest’ultimo punto sembra proprio che ieri la giunta abbia sorvolato.

La discussione è però servita a smussare molte incomprensioni di questi ultimi giorni e a incanalare il confronto su questioni di merito, cifre e progetti alla mano. Come appunto il nervo scoperto dei punti nascita, su cui si è concentrata gran parte della discussione. Che sostanzialmente verte su quanto segue: fatti salvi gli ospedali di periferia, ne vanno definite le “missioni” specifiche, in un quadro in cui comunque, in ognuno di essi, saranno salvaguardati i servizi di prossimità, cioè quelli principali, dal pronto soccorso alla medicina, dalla psichiatria alla diagnostica. Poi, appunto, le altre funzioni specifiche da assegnare a Cles piuttosto che a Cavalese: e qui si va ad esempio dalla chirurgia all’ortopedia. Manca allo stato un documento che finalmente definisca queste “riallocazioni”, e non è un caso: è evidentemente questo il cuore della riorganizzazione.

Si attende ancora una mappatura complessiva di ciò che viene fatto, in termini anche quantitativi, in ognuno dei reparti dei singoli ospedali. L’impostazione di fondo però c’è: verrà valorizzato ciò che, già ora, ha assunto livelli di eccellenza. Anche numerica.

Questo livello tecnico si incrocia però con quello politico. Vale a dire: che cosa va considerato servizio di prossimità e che cosa no? I punti nascita, ad esempio, lo sono? Al di là dei livelli standard nazionali (cioè le cifre “soglia” di parti sotto a cui un punto nascita non si giustificherebbe), è qui che entra appunto in gioco la politica. Ed ecco così che ieri Gilmozzi e Mellarini, i due assessori dell’Upt, hanno più volte fatto riferimento al concetto di sussidiarietà: l’esigenza cioè di mantenere le funzioni (in questo caso i servizi sanitari) il più vicino possibile ai cittadini. Calata in questo quadro, la questione dei punti nascita è stata così affrontata anche sulla base di esperienze di territori analoghi al Trentino.

Ad esempio il Canton Grigioni in Svizzera, dove appunto le “Case della maternità” sono da tempo state individuate come risposta possibile all’esigenza di mantenere il servizio (ma come detto senza personale medico) in maniera capillare su un territorio orograficamente complesso. Flor ha però portato anche i casi dell’Emilia, dove si è proceduto diversamente: in provincia di Bologna centralizzazione sull’ospedale del capoluogo, non così a Parma e Reggio Emilia. Al fondo, il rischio che il problema possa comunque ripresentarsi un domani: saranno davvero utilizzate la “Case della maternità»? Chi è in grado di garantire che le partorienti possano fidarsi fino in fondo di una struttura senza personale medico?