L’Inps ha firmato la convenzione: a ottobre dunque dovrebbe partire il Reddito di attivazione, ovvero il nuovo ammortizzatore sociale a beneficio dei lavoratori licenziati, in particolare giovani e “over 55”, sommandosi all’Aspi già previsto dalla riforma Fornero. L’erogazione del Reddito di attivazione rimane condizionato al percorso di formazione e riqualificazione professionale. La Provincia riserverà, a partire da ottobre e per triennio 2014-2016, 28 milioni di euro a 36 mila trentini in difficoltà occupazionale. G. Lott, "Trentino", 22 settembre 2014
All'Inps spetterà l’individuazione dei beneficiari, e sarà sempre l’Istituto di previdenza ad erogare la somma, che varierà da 600 euro a 3 mila euro per ogni disoccupato, a seconda del periodo di disoccupazione e dell'indennità statale percepita. «La più importante misura degli ammortizzatori sociali messa in atto in Italia», così è stata presentata in agosto, all’atto dell’approvazione da parte della Provincia, prevede nel dettaglio che a beneficiarne siano del soprattutto lavoratori «adulti» (sopra i 35/40 anni) con alle spalle un certo periodo di lavoro coperto da assicurazione. Sulla base dei calcoli di Irvapp, gli importi percepiti da ogni beneficiario vanno da una cifra di circa 650 euro (per un disoccupato sotto i 50 anni) fino ai quasi 3 mila euro (per un disoccupato sopra i 54 anni al quale sono riconosciuti 4 mesi di reddito di attivazione». Tra le condizioni essenziale per goderne è l'iscrizione all'Agenzia del lavoro e la partecipazione attiva alla ricerca di nuova occupazione. Ma l’assessore Alessandro Olivi sta già pensando a un’ulteriore forma di ammortizzatore sociale, il “Reddito di continuità”, «cofinanziato da imprese e parti sociali, che va creato come fondo unico intercategoriale». Un segnale importante, sul piano delle politiche per il lavoro, dopo il boom della cassa integrazione in deroga registrato tra luglio e agosto, che non stupisce Olivi: «L’andamento riflette quello dei settori economici nelle loro diverse aree: aumenta la cassa in deroga, di cui beneficiano le piccole e medie imprese del commercio, del turismo e in misura inferiore dell’artigianato, cioè quelle che più hanno patito questa nuova fase della crisi a causa della contrazione dei consumi, mentre c’è un minor sfruttamento della cassa ordinaria e straordinaria da parte delle aziende più strutturate, che viceversa avevano pagato dazio nella prima fase ma nel frattempo si sono riconfigurate». A parere di Olivi, l’impiego della cassa in deroga non è un buon indicatore della situazione economica nel suo complesso. Rispetto ad altre regioni, nota l’assessore «le nostre politiche di sostegno al reddito sono più rigorose, per scoraggiare la tendenza delle imprese a utilizzare gli ammortizzatori sociali come “parcheggio di lungo termine” per i propri lavoratori, e sono vincolate ». Tra le politiche attive, Olivi saluta con orgoglio l’accreditamento di enti bilaterali e privati di intermediazione tra domanda e offerta: una forma di collocamento «di stampo privatistico». Certo, la situazione occupazionale non è serena in Trentino, ma ci sono fondi di enti bilaterali sottoutilizzati, che vanno invece impiegati per fare formazione, per dare ai disoccupati un profilo di competenze alto, che li rende più appetibili sul mercato del lavoro. Un mercato che oggi però langue. Secondo Lorenzo Pomini (Cisl), rimane fondamentale agganciare gli ammortizzatori sociali alla formazione e all’orientamento dei lavoratori «perché semina una cultura diversa, in cui non è tutto gratis, serve dimostrare l’impegno a trovare una nuova occupazione». Pomini se la prende invece con gli imprenditori trentini: «Vorrebbero che la Provincia li sgravasse dal rischio d’impresa. Il Trentino non ha bisogno di questo genere di imprenditori». La Provincia, sostiene il sindacalista, ha creato un sistema di ammortizzatori sociali moderno, in anticipo rispetto all’Italia, ma permangono rigidità dovute alle normative nazionale, che non consentono alle nostre imprese di essere competitive. Su tutte, il costo dell’energia. «É assurdo che con tutti i bacini idroeletrici e le centrali che abbiamo non si riesca ad abbattere i costi per le imprese, che per contro soffrono di un endemico nanismo». Tesi sposata anche da Walter Alotti (Uil), secondo il quale «ci sono troppi piccoli gestori, che andrebbero accorpati per costituire un grande gruppo capace di produrre a minor costo ed esportare energia, ma non c’è la volontà di prendere questa strada».
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