L'assessora alla salute, Donata Borgonovo Re, conferma la sua posizione sull'accentramento delle mammografie a Trento e Rovereto, all'indomani dell'approvazione quasi unanime da parte del consiglio provinciale della risoluzione che prevede la «capillarità del servizio».
"L'Adige", 18 settembre 2014
Confessa che la settimana scorsa, dopo lo scontro in maggioranza e in giunta proprio sulla questione delle mammografie, oltre che sul «caso» Flor, conclusosi con la sospensione della delibera e la conferma della fiducia al direttore dell'Azienda sanitaria, ha avuto il pensiero delle dimissioni ma poi aggiunge: «Ho pensato alla responsabilità dei voti che ho ricevuto. E poi, anche se forse pago l'inesperienza soprattutto nella comunicazione, come mi viene rimproverato anche nel Pd, non sono la persona che dice: o così o me ne vado. So che la politica è una salita, che a volte vede delle discese, ma penso che se riusciamo a registrarci come giunta e maggioranza possiamo riprendere la salita. Troveremo una linea comune».
Assessora Borgonovo Re, «capillarità del servizio» di mammografia vuol dire comprare i nuovi macchinari in 3D per tutti gli ospedali periferici? La definizione di capillarità apre spazi di interpretazione. Si può garantire in modi diversi. Io capisco l'obiezione di chi dice: oggi l'adesione allo screening sul tumore al seno è tra i più alti d'Italia, se si accentra il servizio potrebbe non essere più così. Ma penso che ci possano essere sforzi organizzativi che permettono di superare il problema. Gli orari dalle 7 alle 19.30, gli appuntamenti di screening fissati tenendo conto della stagionalità, come la raccolta delle mele o la stagione turistica. E poi so, per esempio, che già oggi ci sono donne della val di Ledro che si organizzano con un pullmino per andare a fare lo screening a Trento. Magari è l'occasione per andare al Muse o fare altro una volta ogni 2 anni.
Ma se la spesa in più per le nuove macchine anche negli ospedali periferici sarebbe di 800 mila euro, come dice l'Upt, perché non acquistarle? Non è una cifra proibitiva. La riorganizzazione prevede tre macchine in 3D che ci vengono date in comodato gratuito dall'Europa - due a Trento e una a Rovereto - le altre quattro dovremmo comprarle. Costano 210 mila euro l'una. Sarebbero quattro da comprare per Cavalese, Cles, Arco, Tione. Ma non è solo il costo d'acquisto. C'è un problema di tecnici radiologi. Non sono negli ospedali periferici ma si muovono da Trento, che vuol dire che se si spostano va ridotto l'orario di esami nel capoluogo. A meno che non si voglia assumere personale. E questo è un altro costo, sapendo però che le macchine negli ospedali periferici se va bene vengono usate una settimana al mese, quindi sarebbero sottoutilizzate. Noi vogliamo tenere insieme qualità ed equità per tutte le donne. I tecnici sono concordi su quale sia la soluzione migliore. E io penso che la politica, specie quando si parla di salute, non possa prescindere dalla consapevolezza delle competenze tecniche.
Lei si è espressa in modo molto critico nei confronti del direttore Flor. È scoppiata una polemica tale che la giunta ha dovuto fare un comunicato per confermargli la fiducia. È vero che non andate d'accordo? No. Per me questa polemica è stato un fulmine a ciel sereno. Dopo l'accaduto ci siamo parlati e l'ho chiarito con lui. Nell'intervista alla Rai avevo solo detto che se c'erano problemi organizzativi in un reparto era l'Azienda a dover intervenire.
Borgonovo: ecco perché non mi dimetto, P. Morando, "Trentino", 18 settembre 2014
TRENTO Domenica è salita in Cima d’Asta. E spiega Donata Borgonovo Re che quell’ultimo strappo, quando la vetta appare finalmente a un passo, è un’immagine che bene si sposa alle vicende di queste giorni: sembra di essere arrivati, ma invece si deve di nuovo scendere. Così in Cima d’Asta e così per le mammografie.
All’indomani del voto in Consiglio provinciale che l’ha sconfessata, attraverso una risoluzione “bipartisan” maggioranza-opposizione (da lei stessa votata), l’assessora alla salute imbraccia una corposa cartella gialla il cui frontespizio recita tutto maiuscolo, indovinate?, “mammografia”. Masticato e metabolizzato il dietrofront impostole dall’aula, con sorriso incrollabile - e altrettanta determinazione - mette subito in chiaro una cosa: chi ipotizza sue dimissioni, non ha ancor capito bene chi si trova di fronte.
L’ipotesi dimissioni. È una chiacchierata, non un’intervista. Ma stabilite le regole, il senso è comunque chiarissimo. Dunque, l’ipotesi dimissioni. Assolutamente no, non ora per lo meno. Ma attenzione, non è una minaccia: è solo che il futuro nessuno può prevederlo. Di certo, però, l’aver mandato giù quella risoluzione è un gesto politico che ha un significato preciso: ammette e comprende l’assessora che la coalizione ha sue regole, che la democrazia è fatta di confronto e di stop-and-go. Ma, come per la salita in Cima d’Asta, se a un certo punto ci si deve fermare e ridiscendere, l’obiettivo finale rimane quello iniziale. E così diventa digeribile anche il fatto che quella risoluzione fosse unitaria, che il presidente Rossi abbia un po’ sorprendentemente accolto la richiesta dell’opposizione di arrivare a un testo congiunto che rappresentasse l’intera aula.
Appunto, le regole della politica. Che Borgonovo Re accetta in nome di un altro obiettivo: se sono qui, spiega, è perché mi ci hanno voluta tanti elettori e per raggiungere risultati precisi. Dunque il dietrofront è solo momentaneo, una mossa tattica in una strategia che non cambia.
La mammografia. Ci sono i fatti e le opinioni. E ci sono anche da una parte i tecnici e dall’altra la politica. Come conciliare le cose? Un problema che anche il dibattito sulla centralizzazione del servizio di mammografia ha reso tangibile. I fatti che elenca l’assessora sembrano convincenti ma, spiega, «quelli dell’Upt non riesco proprio a convincerli». Vediamoli allora, questi dati: partendo dal fatto che oggi, negli ospedali di valle, i macchinari in uso vengono utilizzati per pochi giorni al mese. Quelli nuovi in 3D eliminerebbero quasi un terzo dei “falsi negativi” che costringono tante donne (4 mila all’anno, almeno un quarto del totale) a sottoporsi a un secondo esame a Trento. Non solo: ogni mille esami, consentirebbero di diagnosticare 3 carcinomi in più rispetto ad ora (da 5 a 8). Non sono gran cifre, ma andatelo a dire a quell’ottava donna (ma anche alla sesta e alla settima).
Capitolo costi aggiuntivi. Se davvero si volesse dotare di strumentazione in 3D tutti gli ospedali periferici, agli 840 mila euro per i macchinari in più (210 mila l’uno) andrebbero sommate le risorse necessarie per il personale tecnico e sanitario, anche da assumere ex novo se non dovesse bastare la “turnazione” (tutta da definire) da Trento e Rovereto. Le “idonee misure organizzative”. È la formulazione contenuta nel dispositivo approvato l’altro ieri dal Consiglio. Come va letta? Chi scherzando ipotizzava che a spostarsi potessero essere gli stessi macchinari, sappia che non si tratta di un’ipotesi del tutto campata in aria: in fondo, non hanno spostato anche la Costa Concordia? Ma si sappia che, già oggi, dalla val di Ledro ci sono gruppi di donne che si organizzano per scendere a Trento in pullman, tutte assieme.
Appunto, basta organizzarsi. O meglio, organizzare i trasferimenti. Sull’altro piatto della bilancia, il timore che il dover spostarsi per effettuarlo possa spingere molte donne a disertare l’esame: la questione va verificata, Borgonovo Re lo concede, ma sapendo che si parte dal tasso più alto d’Italia di adesione allo screening, attorno al 90%.