Aicha Mesrar ha rassegnato le dimissioni dal Consiglio comunale, dove sedeva da quattro anni e mezzo per il Pd. Un addio a Palazzo Pretorio, a Rovereto, all'Italia. «I miei figli sono già all'estero. Inizieremo una nuova vita in un altro Paese europeo. Quale? Non intendo dirlo». "L'Adige", 4 settembre 2014
Di origine marocchina, cittadina italiana, 45 anni, moglie e madre, mediatrice culturale, attiva nel volontariato, figura di riferimento della comunità islamica lagarina, punto di congiunzione tra le istituzioni e una fetta sempre più consistente della popolazione cittadina, Aicha Mesrar lascia per le minacce di matrice razzista ed islamofobica ricevute nell'arco degli ultimi due anni.Minacce violente, arrivate attraverso una decina scarsa di lettere anonime. Missive violente ed inquietanti, in cui i precisi riferimenti personali alla famiglia del consigliere avevano indotto da subito gli investigatori a prendere molto sul serio la faccenda, predisponendo adeguati sistemi di protezione. «Ringrazio le persone del commissariato di Rovereto per la professionalità e l'attenzione che hanno dimostrato, come sempre, anche nel gestire la mia vicenda. Ma non puoi vivere sotto scorta per sempre. Soprattutto a Rovereto».Aicha Mesrar era, fino all'altroieri, la delegata del sindaco Andrea Miorandi per «l'incarico speciale per la promozione di "Rovereto città aperta al mondo"». Un incarico importante, nel quale ha investito energie e tempo, e che l'aveva portata agli onori delle cronache (anche nazionali), che alla prima consigliera di origine straniera sui banchi di Palazzo Pretorio - con tanto di velo - avevano a suo tempo riservato dello spazio. Un incarico il cui titolo oggi, alla luce di un pessimo epilogo, suona come una beffa.«Me ne vado con orgoglio, soddisfatta di quello che ho fatto in 23 anni a Rovereto, di quello che ho dato e di quanto ho ricevuto. Il mio cuore è legato a tantissimi roveretani. Sono soddisfatta dei progetti che ho avviato e di quelli ancora in corso. L'unico incarico che non ho ancora lasciato è di presidente della cooperativa Città aperta, con la quale stiamo dando oggi lavoro a tantissime persone».«Io non ho paura. Ma le minacce mi hanno toccato. È stato qualcosa che non mi aspettavo. Quando ho iniziato, prima quasi inconsciamente, a modificare le mie abitudini personali, ad evitare per esempio alcune strade la sera, ho capito che qualcosa era cambiato per sempre. Non è colpa dei roveretani. Ma di alcuni roveretani». Alcuni roveretani che armati di normografo hanno martellato di insulti e minacce Mesrar e Miorandi contro il progetto di realizzare un cimitero islamico e (ma in questo caso il progetto non è di fatto mai esistito, almeno di competenza comunale) una moschea.Benché a Palazzo Pretorio ci sia arrivata con i voti (149) di italiani, e il suo ruolo in seno al Consiglio non fosse ufficialmente quello di rappresentante della comunità islamica, Mesrar è stata per oltre un decennio una delle figure di riferimento nel rapporto tra la «vecchia» e la «nuova» Rovereto. Un rapporto a volte difficoltoso. Una sfida però inevitabile per l'amministrazione, obbligata a fare i conti con le duemila persone della comunità islamica, parte importante di quel 14% di cittadini non italiani (5.168 al 31 dicembre scorso), percentuale che nelle scuole dell'obbligo sale al 20%. «Parlando di integrazione - raccontava Mesrar qualche mese fa all'Adige - direi che a Rovereto, dal punto di vista amministrativo, siamo in una cornice quasi ideale. Non ci sono passaggi normativi che attendiamo. L'attenzione delle istituzioni è ottima. Con la variante luglio 2012 al Prg abbiamo anche eliminato l'ultimo vincolo che impediva alla nostra comunità di avere un luogo di culto. Ma dal punto di vista culturale e sociale ci sono ancora passi avanti da fare. Da parte di entrambe le comunità, l'italiana e la musulmana. Ci sono tante persone che ancora oggi ci giudicano ospiti in questo Paese. Ma dopo vent'anni di vita qui, che ospite sono? È casa mia». Non più.
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