Olivi boccia la proposta Rossi - Daldoss: il Pd deve cambiarla: «Questa bozza di riforma non ha alcun segno riformatore ed è caratterizzata da un rigurgito di centralismo della Provincia». Il vicepresidente e assessore provinciale allo sviluppo economico, Alessandro Olivi, è tra gli esponenti di primo piano del Pd che hanno invitato la segretaria del partito Giulia Robol a fermare la riforma delle Comunità di valle nella riunione di maggioranza di lunedì scorso, convocata dal presidente Ugo Rossi per un via libera che non c'è stato per lo stop di Pd e Upt. L. Patruno, "L'Adige", 15 agosto 2014
Vicepresidente Olivi, cosa non la convince di questa bozza di riforma presentata da Rossi e Daldoss? Io sono tra quelli che hanno chiesto al mio partito si ponesse una questione di fondo. Il progetto che è stato costruito è un punto di partenza: rimuove delle questioni che rischiavano di non avere una sostenibilità giuridica, ma non è una riforma, è un'operazione di manutenzione straordinaria di una legge alla quale abbiamo sottratto quello che era complicato, con una eccessiva frenesia di costruire le leggi sul futuro dell'autonomia un po' inseguendo il vento centralizzatore, che oggi passa anche attraverso la giurisprudenza costituzionale. Non basta dire cosa togliamo, ma come vogliamo riempire di contenuti una nuova stagione dell'architettura istituzionale della nostra Provincia. Cosa manca nella bozza Rossi-Daldoss? Manca completamente una direzione politica: vedo il rischio di un rigurgito di Provincia e la ricostruzione di un bipolarismo Provincia-Comuni che le Comunità, pur con tutte le difficoltà che hanno incontrato, avevano provato a intaccare con una dimensione del Trentino più orizzontale e meno verticale. Io dico che di questa esperienza si deve salvare qualcosa, inserendola anche in prospettiva nella riforma del Terzo Statuto di autonomia di cui si sta parlando. Vuole inserire le Comunità di valle nello Statuto di autonomia? Esatto. Io vedo il rischio di una riformina fatta solo per mettere al riparo dai ricorsi, che insegue le ordinanze del Consiglio di Stato e risponde a una sacrosanta voglia di semplificazione, ma che manca di un approdo forte di una cornice costituzionale rinnovata. Il terzo Statuto dovrebbe avere il coraggio di dire quale modello istituzionale si prefigura. Se mettiamo nello Statuto il fatto che esistono delle competenze che vengono affidate necessariamente a una dimensione che mette assieme dei territori, allora tutto questo ragionamento che oggi facciamo in difesa potremmo farlo forti della previsione statutaria. Ma cambiare lo Statuto richiede tempi lunghi, mentre voi volete approvare subito la riforma delle Comunità. Come si fa a Statuto invariato? È chiaro che risentiamo di questa asimmetria, ma credo che sia ancora possibile l'innovazione, data dal valore di un governo di valle e dal chiedere ai territori di assumersi la responsabilità di progettarsi insieme, una innovazione che non passa dalla difesa strenua dell'elezione diretta dei componenti dell'assemblea. Sull'elezione diretta del presidente, invece, si potrebbe approfondire, ma starei attento a farne un "salvare il soldato Ryan". Cosa serve allora, secondo lei, perché le Comunità possano gestire realmente competenze trasferite dalla Provincia? Primo, che trasferiamo competenze completamente diverse da quelle fino ad ora immaginate. Abbiamo parcellizzato segmenti di filiera decisionale di un procedimento. E da lì è nata la conflittualità. Per me invece vanno date alle Comunità poche cose: innanzitutto il piano di sviluppo del territorio, che è più importante dell'urbanistica, e le politiche sociali. Secondo, questa progettazione del futuro di un territorio non possiamo pensare che riescano a farla i sindaci mettendosi insieme. L'unico modo è pensare di coinvolgere la popolazione in questo processo di responsabilità e maturità. In che modo? Al momento delle elezioni dei consiglieri comunali oltre che del sindaco, mettiamo in condizione i cittadini di scegliere un consigliere comunale a cui poter affidare anche il compito di partecipare allo sforzo di dare al Comune il compito di costruire insieme agli altri il progetto della Comunità. Questo doppio mandato a quel consigliere comunale da parte del corpo elettorale è l'unico modo per dare un'anima politica alle Comunità di valle. Altrimenti la mia proposta è di togliere le Comunità, lasciare le competenze alla Provincia e usare non la riforma istituzionale ma la legge regionale per accelerare in modo vigoroso, anche a costo di qualche strappo, il processo per avere Comuni più grandi, così da diventare interlocutori più forti nei confronti della Provincia centralista. Non crede alle fusioni spontanee dei Comuni? Il tema della polverizzazione dei Comuni la riforma istituzionale non lo risolve. Penso che la legge regionale dovrebbe mettere in campo qualcosa che vada al di là dello spontaneismo. Si dovrebbero tagliare le risorse non solo pensare a dare gli incentivi? Sì, io penso che per ridurre i Comuni si deve avere il coraggio di alzare soglie di prestazioni ed efficienza. Lo spontaneismo non basta. E ritengo che una soglia minima dovrebbe essere quella dei 3.000 abitanti.
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