L'idea di una significativa e rapida diminuzione del numero dei Comuni in Trentino non nasce certo da un'ostilità nei confronti delle realtà comunali: queste, ieri come oggi, sono il luogo primario in cui si svolge la vita civile, si esercitano diritti e si apprendono doveri, imparando a vivere assieme e a gestire i beni comuni. Michele Nicoletti, "L'Adige", 6 agosto 2014
È vero però che nel corso dei secoli la realtà comunale - l'orizzonte in cui un tempo si svolgeva la vita quotidiana delle persone - si è trasformata, come testimonia anche la storia del Trentino in cui le antiche proprietà collettiva di acque, boschi e pascoli si sono intrecciate con le entità amministrative tipiche dello Stato moderno. Non può dunque suonare come un attentato alla vita comunale il cercare di ridisegnare i suoi confini. È lo stesso legislatore regionale - se vogliamo prescindere da quello nazionale - a spingere da molti anni le piccole realtà a unirsi o a fondersi dando vita a realtà più forti e rispondenti non solo alle esigenze di contenimento dei costi, ma anche alle esigenze di servizi di qualità per i cittadini. Se le unioni e le fusioni non fossero un valore non si capisce perché il legislatore dovrebbe incentivarle.
Se siamo d'accordo su questo punto - e mi pare che tutti oggi convengono sull'utilità di arrivare a un numero inferiore di comuni - non è fuori luogo porsi due domande:
1) quanti e quali comuni rispondono oggi all'esigenza di una piena democrazia partecipata e di una amministrazione locale efficiente?;
2) Una volta individuato un orizzonte ideale condiviso, come possiamo raggiungerlo nel pieno rispetto degli ordinamenti e della volontà dei cittadini?
1) Alla prima domanda io credo si debba rispondere in modo franco: il numero dei Comuni in Trentino si potrebbe tranquillamente ridurre circa della metà senza rinunciare a nulla di una presenza capillare sul territorio dei nostri municipi (la cui permanenza è garantita dal processo di fusione). Bolzano ne ha 116, Belluno 67, Sondrio 78, Verona 98. Si tratta di province diverse, naturalmente, per territorio e popolazione, ma non possiamo nasconderci l'atipicità del nostro dato. Si aggiunga poi che, a parte la provincia di Bolzano, le altre province saranno interessate entro la fine dell'anno (non entro cinque o dieci anni) dal riordino nazionale degli enti locali che prevede le unioni per l'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali dei Comuni sotto i 10.000 abitanti (3.000 per le zone montane). Naturalmente i numeri non si decidono in astratto e bisogna curvarsi con pazienza sulle carte geografiche, studiare la vita delle persone, ascoltare i territori e avere una grande elasticità: la politica non si fa con il calcolatore. Ma se vogliamo fare una vera opera di riforma nemmeno possiamo accontentarci di qualche aggiustamento. In ogni caso chi è contrario a indicare un numero approssimativo, non può limitarsi a dire «decideranno i Comuni», deve assumersi la responsabilità di dire qual è a suo parere l'obiettivo da raggiungere. D'altra parte una funzione non solo ordinamentale, ma anche programmatoria in materia è chiaramente attribuita alla Regione dalla legge del 1993 (art.42 del TU) dove si dice che la Giunta Regionale - certamente sentite le Province e previo l'assenso dei Consigli comunali interessati - deve predisporre un «programma di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei piccoli Comuni», programma che deve essere aggiornato ogni cinque anni. Non mi risulta che tale programma abbia mai visto la luce. Se così fosse, perché l'attuale Giunta Regionale non si cimenta con un primo tentativo di programma? La legge lo prevede.
2) E veniamo alla seconda questione, ossia il «come» arrivarci. È chiaro a tutti che per Statuto e per legge i processi di fusione hanno bisogno di un pronunciamento delle popolazioni interessate. Ultimamente nella coscienza dei cittadini è maturato un orientamento decisamente favorevole. Perché allora non avviare da subito una riflessione collettiva in tutte le Comunità di Valle e in Provincia e ragionare assieme sui dati e sulle realtà esistenti e disegnare con coraggio una nuova carta amministrativa del Trentino da sottoporre agli organi competenti e poi, contemporaneamente, al voto di tutti i cittadini dei Comuni interessati? Sarebbe questa un'insopportabile violenza o non piuttosto il segno di una cittadinanza matura che non qui e lì, a macchia di leopardo, ma assieme, seguendo un disegno coerente e sensato, sostenuto dalle amministrazioni locali, accetta la bella sfida di portare nel futuro la ricchezza della nostra territorialità in un orizzonte sostenibile? Nel 1993 Douglass North ricevette il premio Nobel per l'economia perché riuscì a dimostrare che le istituzioni politiche democratiche influenzano la crescita e lo sviluppo economico.
Un bel programma, meditato ma coraggioso, di riforma delle nostre istituzioni può liberare risorse importanti per la crescita, economica e culturale, del Trentino.
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