Le tragiche notizie, come quella dell’esondazione di un torrente in Veneto, che ha causato lutti e feriti ai quali va la solidale vicinanza di tutto il Trentino, scandiscono da tempo i nostri giorni, attraverso disastri ambientali dei quali questo Paese sembra spesso non incolpevole vittima. Davanti alle improvvise mutazioni ambientali in corso, causate probabilmente dall’irresponsabilità umana e di fronte a un disegno di sviluppo del territorio molte volte irrazionale e confuso, come nel caso dell’ abusivismo edilizio, anche le capacità di intervento preventivo dello Stato paiono, talvolta, in affanno.Bruno Dorigatti, "Trentino", 5 agosto 2014
Il fiume Seveso che esce dal suo alveo per tre volte consecutive in poco tempo a Milano; i dissesti del territorio nella provincia di Parma, così come in Liguria, nel Meridione e via dicendo, sono testimonianze drammatiche di una situazione che necessita ormai di una nuova regia programmatoria degli interventi, sia in fase preventiva come nei complessi momenti della ricostruzione; regia che le Amministrazioni centrali dello Stato, da sole, stentato a mettere a regime. E’ in questo contesto allora che più forte deve affermarsi il ruolo delle Regioni e delle Province autonome, sia sul versante della conoscenza concreta dei problemi e delle priorità, sia su quello più arduo di una revisione normativa, in grado di evitare le sovrapposizioni di responsabilità e quindi, in definitiva, il triste gioco dello “scarica barile”. E’ insomma - ed ancora una volta - l’ autonomia delle scelte politiche ed amministrative il nodo di un problema che si trascina da troppo tempo. Il Trentino, forte anche di una tradizione mitteleuropea consolidata, ha sempre cercato di “governare” il territorio utilizzando una giusta compensazione fra ragioni dello sviluppo socio-economico e tutela del patrimonio ambientale, nella consapevolezza che senza l’ uno anche l’ altro non può esistere. Non vogliamo impartire lezioni a nessuno, se non ricordare, ancora una volta, valore assoluto dell’ autonomia perfino in un simile delicato settore. Abbiamo infatti fatto tesoro dei devastanti errori del passato se solo ripensiamo, a puro titolo di esempio, alla revisione totale di tutte le concessioni minerarie dopo la tragedia di Stava ed all’ implementazione del ruolo dei Bacini Montani nel controllo delle acque torrentizie dopo l’ alluvione del ’66. Abbiamo provincializzato il Corpo Forestale attribuendo ad esso importanti funzioni di controllo ambientale; abbiamo attivato direttamente le funzioni di Polizia idraulica ed abbiamo cercato, dove possibile, di responsabilizzare la comunità intera, ottenendo in breve un diffuso modello di Protezione Civile, che oggi viene indicato fra i più evoluti almeno a livello nazionale, se non anche europeo. Certo, agendo avremo anche fatto errori, ma abbiamo cercato - e tutt’ ora stiamo lavorando quotidianamente - di mettere in sicurezza il nostro territorio, prestando un occhio di riguardo anche al contenimento dei costi di tali progetti. E questo non è forse un modello esportabile altrove, invece di continuare a caricare di costi e di azioni, che peraltro scarsamente si realizzano, quegli Organismi dello Stato che non sono oggettivamente in grado di far fronte al susseguirsi delle emergenze ambientali ? Sono queste le ragioni per cui ogni ritorno ad un centralismo esasperato dell’intervento pubblico è destinato al fallimento. La mole dei problemi e le differenze idrogeologiche delle varie realtà regionali non possono essere affrontate come una questione unica, perché si tratta di situazioni diversissime. Non è pensabile cioè affrontare il dissesto di un Paese così difficile come il nostro, immaginando soluzioni al solito “tavolo” ministeriale e dico questo senza togliere nulla alla buona volontà ed alla professionalità alta dei tecnici delle Amministrazioni statali. Affermo però che non è così, a mio modesto parere, che si risolvono le questioni. Di fronte a nodi importanti come questi, non servono dichiarazioni di principio, condoglianze di circostanza, annunci salvifici. Serve invece la capacità di comprendere come le autonomie dei territori sono l’ unica risorsa spendibile oggi, perché nessuno è così interessato a difendere la propria casa come colui che la abita e ne è il proprietario. Sono queste, ovviamente insieme ad altre, le ragioni anche della nostra autonomia e sono queste le ragioni che Roma sembra non voler sentire, in nome di un equilibrio finanziario dei conti pubblici che, talora, pare essere la giustificazione unica ed intoccabile di molte scelte anche rischiose. Non voglio fare la parte del pessimista, ma se, in un domani che ci auguriamo impossibile, anche in Trentino venissero meno le capacità d’ intervento dell’ autonomia ed un inverno straordinario, come quello trascorso, isolasse le nostre comunità ed infliggesse danni pesanti alle nostre economie di valle, da chi andremmo a farci aiutare? Ci basteranno solo le dichiarazioni pubbliche di apprezzamento per l’ autonomia o ci dovremmo arrangiare nonostante i continui tagli ad essa inflitti dalla sordità di Roma?
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Partito Democratico del Trentino